Musica per film senza film…in TV o negli Spot!

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Non si effettua una scoperta memorabile nell’osservare che, così come l’opera, il repertorio sinfonico classico, il jazz, il rock, il balletto e ogni altro genere musicale, anche la musica per film è ampiamente utilizzata dal mondo della pubblicità e, più in generale, dall’universo televisivo sotto varie forme e in vari contesti. La sua referenzialità può essere sfruttata con metodologie differenziate, o per creare un nesso col prodotto – o con il programma – o, al contrario, come mezzo di contrasto e di decontestualizzazione: ove necessario, anche con intento parodistico.  Il risultato comunque, se il brano scelto ha un forte potere di attrazione, è garantito. Il fenomeno ha fasi periodiche altalenanti, ma negli ultimi mesi sembra essersi intensificato e sembra anche rivelare, nei “creativi” che se ne occupano, insospettabili passioni collezionistiche e filologiche nel settore. Il campo delle “sigle” fa storia a sé da un pezzo; almeno da quel 22 gennaio 1996 quando la memorabile, sontuosa e travolgente pagina per ottave che Max Steiner aveva scritto per Via col vento (Gone with the Wind, 1939, Victor Fleming) cessò di essere il “Tema di Tara”, la fattoria dove si svolge la saga storico-sentimentale di Rossella O’Hara e di Rhett Butler, e divenne per tutti la sigla con cui l’ineffabile Bruno Vespa accoglie da allora suoi ospiti nell’ovattato e compiacente salotto di Porta a porta. Nessun dubbio permanga su una scelta eventualmente “meditata” e motivata nella scenografia, vagamente ispirata al neoclassico palladiano americano, del programma: a mia domanda precisa, il conduttore rispose che quel brano era stato scelto “perché una programmista aveva il disco in casa”. Sic!
Più contestuale, anche se fa sobbalzare per il livello trash della trasmissione, l’utilizzo dei Main title di Psyco (Psycho, 1960, Alfred Hitchcock), e più in generale di tutto il blocco musicale iperdinamico e convulso che agita la prima parte del film, con la disperata fuga di Marion verso la propria fine, in Quarto grado; il programma-inchiesta che Salvo Sottile conduce su Rete 4 infatti ambisce ad una caratura thriller che le inquietanti dissonanze di Herrmann garantiscono ben oltre i suoi meriti oggettivi. Del resto proprio Psyco si è trovato in condizioni ben peggiori nella nostra tv, allorché le allucinanti ottave diminuite e settime maggiori degli archi in glissando sovracuto che trafiggono la nostra memoria nelle sequenze dell’omicidio sotto la doccia e altre, furono degradate nientemeno che a “jingle” dei pacchi nella prima serie del preserale Affari tuoi (2003-2004) condotto da Paolo Bonolis su Raiuno!
Del resto, il love theme herrmanniano da Marnie (Id., 1964, Alfred Hitchcock) si era trovano declinato non molti anni fa a veicolo di un’acqua di colonia (prodotto che va per la maggiore e che attira, come vedremo, non pochi “soundrack collectors”); mai comunque quanto il nostro Ennio Morricone, divenuto di fatto “colonna sonora” italiana di qualunque contesto, ivi comprese le suonerie dei telefonini, nelle quali imperversa particolarmente il tema da Il Buono, il Brutto, il Cattivo (1966, Sergio Leone).. L’esempio forse più recente e sorprendente è il tema del Carillon da Per qualche dollaro in più (1965, Sergio Leone) che, con appena qualche allusione situazionistica, è stato scelto per cantare le gesta della Lancia Delta, con un effetto straniante a dir poco bizzarro. Ma il Morricone che va per la maggiore in tv è quello dei film di mafia e/o dintorni, puntualmente associati a inchieste o servizi giornalistici d’assalto (una sorte che tocca anche a molti soundtrack di Pino Donaggio nonché, recentemente, al poderoso Inception – 2010, Christopher Nolan - di Hans Zimmer ): temi dal televisivo La logo_quarto_grado.jpgPiovra 2 (1986, Florestano Vancini) o da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970, Elio Petri) scandiscono in modo inequivocabilmente allusivo le investigazioni soprattutto nel sottobosco della politica in programmi come Ballarò, Presa diretta, Report, moltiplicandone sicuramente l’effetto disvelatorio.
Ma dicevamo di balocchi, e soprattutto profumi. Qui il repertorio si amplia a sorpresa. La new entry più recente e un po’ “libera” è l’attrice Eva Mendes che si cimenta per il profumo “Angel” di Thierry Mugler cantando la meravigliosa, avvolgente “The windmills of your mind” scritta dal maestro francese Michel Legrand per Il caso Thomas Crown (The Thomas Crown Affair, 1968, Norman Jewison): brano che, per altro, può contare su qualcosa come una ventina di cover, da Josè Feliciano a Oscar Peterson, dai Vanilla Fudge a Henry Mancini. Ma, sempre in tema di odorato fine, è sorprendente il dittico di Dolce & Gabbana: che per la fragranza maschile, nello spot interpretato dallo statuario Matthew McConaughey, ha pescato in uno dei momenti più notturni e affascinanti del paesaggio sonoro jazzistico creato da Miles Davis nel 1957 per Ascensore per il patibolo (Ascenseur pour l’échafaud, Louis Malle), virandone dunque l’atmosfera di tensione in puro glamour. Operazione riuscita ancor più efficacemente nello spot della stessa casa per l’essenza femminile, protagonista una loquace Scarlett Johansson che si racconta mentre in sottofondo si srotola quella pagina di struggente, languida e desolata bellezza che è lo “slow” scritto da Franz Waxman per Un posto al sole (A place in the sun, 1951, George Stevens), tragica storia americana dell’amore fra il disgraziato Montgomery Clift e la splendida ereditiera Liz Taylor.
Naturalmente vi sono anche attingimenti all’insegna di una maggiore lievità, come nel caso del valzerino di Nino Rota da Il Gattopardo (1963, Luchino Visconti) con il  quale Leo Gullotta ci ricorda che le caramelle del cavalier Condorelli “sono sempre un piacere”; e colpisce per la sua sobrietà e delicatezza lo spot della logo_report.jpgBanca Popolare di Vicenza che, in un momento diciamo così di non grande popolarità per gli istituti di credito, cerca una nuova verginità come ente al servizio del cittadino e della gente mostrando immagini di gente comune accompagnate da quel meraviglioso esercizio di barocco vivaldiano, modernizzato e sentimentale, che fu la partitura (vincitrice di un Oscar) del grandissimo francese Georges Delerue, il musicista di Truffaut, per Una piccola storia d’amore (A little Romance, 1979, George Roy Hill), delicata e sommessa love story preadolescenziale sullo sfondo di una Venezia minore, diretta dal regista di Butch Cassidy e interpretata da una Diane Lane ancora quasi bambina.
Come si vede, ma l’elenco è solo un appunto e vale solo per gli esempi più recenti e in vista, la musica cinematografica è ben percepita nel suo potere evocativo anche oltre la propria destinazione d’uso. Un dato che può infastidire, se male interpretato o male utilizzato, ma che dovrebbe indurre a far riflettere ancora maggiormente sulla sua universalità.

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