Musica e Suoni nei Mondi di 007

james_bond_logo.jpgUna mappatura, o anche solo una semplice ricognizione, di ciò che ha rappresentato l'universo-007 dal punto di vista degli apparati sonori, non può non partire dal confronto con un doppio nucleo centrale: la cui prima parte è costituita dal "James Bond Theme" composto nel 1962 dall'inglese Monty Norman, compositore all'epoca 34enne con alle spalle un paio di horror-fantasy di serie B, e che azzeccò con questo tema l'esempio più assoluto, inossidabile e immediato di associazione, diciamo pure di sinonimia, fra un "character" e un leit-motiv musicale nell'intera storia della musica cinematografica; la seconda parte trova invece la propria ragion d'essere nella natura squisitamente sperimentale, avveniristica, laboratoriale che – dal punto di vista dell'utilizzo del sonoro – caratterizza l'intera serie di 007, ma in particolar modo tutta la sua prima parte, diciamo grosso modo coincidente con l'era-"Cubby" Broccoli (o l'era-Connery, per dare agli spettatori un riferimento più agevole).
Quindi: da un lato estrema riconoscibilità, attraverso un "logo" – anche visivo – mantenuto intatto per quasi mezzo secolo; e dall'altro ricerca continua, attraverso soluzioni mutevoli e "mutanti", di un sound che "suonasse" – se ci si passa la ridondanza – sempre un passo più avanti della produzione parallela e corrente. Intorno a questi due poli, continuamente in movimento, a volte anche sino a sovrapporsi (con una punta massima di intersezione che si registra probabilmente in Goldeneye), si sviluppa la ricca storia dei soundtrack e degli score zerozerosettiani i quali, malgrado la perdita di omogeneità e il carattere frammentario, dispersivo acquisito negli ultimi anni, dopo l'era-Barry, costituiscono ancor oggi un corpus creativo straordinariamente unitario e compatto.

Facciamo però un passo alla volta e torniamo al "James Bond Theme". Cos'è, innanzitutto, questa pagina, e in cosa risiede la sua formidabile struttura, musicale e drammaturgica, che ne ha fatto una specie di refrain della postmodernità, un "motto" sonoro di fulminea, inoppugnabile referenzialità?
L'ossatura del brano, nella sua versione classica (resa tale dall'orchestrazione di John Barry, ma su questo torneremo), è nota: un forte stacco introduttivo di ottoni e batteria, in puro stile kentoniano, con sapiente uso di sincopi e di ribattute, sul quale si stratificano subito i tre elementi fondanti: il celeberrimo cromatismo altalenante d'accompagnamento, un "si-do-do diesis" e ritorno giocato su continui crescendo e diminuendo, sul quale una chitarra elettrica, in perfetto stile Sixties, comincia a martellare un tema ostinato modulato su quattro note, praticamente perpetuo; su questi due pilastri, ottoni e percussione alzano poi furiosamente il terzo elemento, un tema quasi urlato, nuovamente di stampo jazz-sinfonico, ricco di evoluzioni e abbellimenti, rinforzato da una percussione anomala (compreso il gong!), che si ribalta in una nuova serie di martellamenti a ripetizione prima di riprendere esattamente dall'inizio, con perfetta circolarità e concludersi a sorpresa su un pacato accordo "aperto". E' circolare, del resto, anche la prima immagine di ogni Bond-movie; la celebre soggettiva "impossibile" della canna della pistola di un ipotetico avversario che inquadra la silhouette di 007 e, allo sparo di questi, si vela di un sipario di sangue cominciando ad oscillare e trasformandosi poi in mascherino d'apertura sulla prima sequenza.

Siamo già qui dinanzi ad una struttura ingegneristica e fortemente diegetica, ma anche ipertestuale, dei rapporti immagine-suono strettamente connessa con la struttura visiva. A questa "intro" segue infatti un prologo, di lunghezza variabile (quello di Goldfinger rimane il più celebre, nonché il più geniale), che defluisce nel momento fondamentale dei titoli. Sui "Main Titles" della serie 007 si potrebbe scrivere un trattato a parte, specie finché a concepirli e a realizzarli (cioè sino a License to Kill) fu un genio della grafica e del design come il newyorkese Maurice Binder, insieme a Saul Bass il massimo titolista del cinema di ogni tempo, che lavorava soprattutto sulla mescolanza certosina, artigianale e fortemente evocativa di silhouettes umane su sfondi onirici, puntando particolarmente sull'elemento erotico e sul corpo femminile, ma anche sull'evocazione di una violenza raffinata, crudelmente sottesa.
Si declinano così fin dall'incipit le due valenze principali dell'universo bondiano, Eros e Tanatos, la seduzione e la minaccia, l'eccitazione e il pericolo, attraverso un'elementarietà, quasi una primitività di sensazioni che si accompagna però ad un'estrema ricercatezza linguistica.
L'unicum dei titoli grafici con i "Title Song", ovviamente, è parte integrante di questa complessa costruzione mitopoietica. E, a partire da From Russia with love, da quando cioè l'inglese John Barry poté mettere mano in prima persona sulle partiture – canzoni comprese – l'insieme di questi due elementi ha fornito risultati rimasti indimenticati per tutti gli anni Sessanta. E' nota la lunga vicenda giudiziaria che vide contrapposti Norman e Barry sulla "paternità" del "James Bond Theme": vicenda dovuta al fatto che il tema sarebbe stato orchestrato e diretto dal grande maestro britannico (peraltro all'epoca nemmeno trentenne) anche nel primo capitolo, Dr.No, dove peraltro nei titoli figura solo Norman quale compositore mentre a Barry è attribuita solo l'orchestrazione e la direzione del theme. Al di là del riconoscimento, poi indiscusso e da allora ribadito ad ogni uscita, del merito autoriale iniziale di Norman, non v'è dubbio che la qualità, l'inconfondibile imprinting sonoro del Theme sia dovuto alla sapienza strumentale dell'autore di La mia Africa, il quale veniva da composite esperienze pop-rock nella Swinging London, ma era nel contempo un musicista di solidissima formazione sinfonica e – come dimostrerà proprio nella serie 007 – di acuta, irrequieta sensibilità classica.

foto_giovane_john_barry.jpgPer quasi un quarto di secolo, sia pure con alcune interruzioni, Barry è infatti l'architetto sonoro dei film della serie, l'inventore continuo di una miriade di soluzioni, di frammenti, di pagine, di temi, di sfondi, di effetti senza i quali quei film medesimi oggi non sarebbero concepibili e il personaggio di 007 nemmeno. In questo periodo, l'associazione James Bond-Connery-John Barry somiglia ad un ulteriore, monolitico unicum comunicativo. Al quale va aggiunto anche un altro elemento forte di referenzialità: la scelta, per i cantanti dei titoli, di voci molto particolari, caratterizzate, e spesso con grandi pedigree. La tigre del soul Shirley Bassey, la forza della natura Tom Jones, il tocco quasi belcantistico di Nancy Sinatra, l'ineffabile Louis Armstrong, ma persino la classe di un "crooner" come Matt Monro, afferiscono ad una concezione del title song completamente originale e anomala, anch'essa nettamente diegetica. I testi infatti (inizialmente di parolieri illustri come Don Black, Hal David o Leslie Bricusse) preludono, o si riferiscono, a tratti dei personaggi, delle storie ("the man with the Midas touch", "his heart is cold", ammonisce la Bassey in Goldfinger; mentre in Thunderball Tom Jones tuona "every woman he wants, he'll get"…, e siamo nel film dove per la prima volta la figura della Bond-girl si sdoppia nettamente – secondo uno schema destinato a ripetersi - tra una "buona", Claudine Auger, e una "cattiva", Luciana Paluzzi, destinata a soccombere).

Barry "autorializza" musicalmente il mondo, i mondi di 007, come nessun altro compositore aveva fatto con un genere o un filone o un regista, né farà mai con altrettanta continuità e ricchezza di titoli. Le sue influenze sono molteplici, si espandono dal sinfonismo tardoromantico, con evidenti citazioni, soprattutto nel trattamento degli ottoni e nell'adozione di forme come il canone o l'iterazione, dalla scrittura sinfonico-organistica di Bruckner, sino al filone autoctono delle "pump and circumstance marchs" alla Elgar: si pensi soprattutto all'incedere solenne, ma su un sussultorio sfondo ritmico, del brano titolato "007", varato in Thunderball e destinato a contrapporsi quasi provocatoriamente come alternativo al Theme normaniano. E d'altronde proprio l'incipit strumentale del song title di quest'ultimo titolo, in un diluvio di arpeggi e sontuose percussioni, cita alla lettera, ma con gli accenti spostati, la parte iniziale della terza sezione del "James Bond Theme"… Tutti i song di Barry eccellono comunque per raffinatezza contrappuntistica e sviluppo melodico, soprattutto in fase di ripresa del refrain: si pensi alla circonvoluzione dei violoncelli in "Goldfinger" o all'incipit a salire e la folgorante idea circolare che sta al nucleo di "You Only Live Twice", ripreso nel '98 da Robbie Williams per il suo "Millennium", o alle fioriture dei violini in sottofondo in "We Have All the Time in the World". Ma soprattutto Barry lavora sui vari song title trasformandoli immediatamente in materiale leitmotivico utile al film e integrandone gli elementi nello score. Golfdfinger costituisce l'apogeo di questa metodologia, ma anche You Only Live Twice, Thunderball, Moonraker, The Living Daylights

foto_vecchio_john_barry.jpgLe procedure di Barry sono chiare, trasparenti, molto "europee", orgogliosamente autonome e nello stesso tempo formidabilmente incollate all'immagine. Il musicista fa spesso e volentieri uso anche della tecnica del "mickeymousing" tipica del cinema d'animazione, ovvero la mimesi musicale stretta, quando non il vero e proprio raddoppio, dell'effetto sonoro rappresentato sullo schermo, con una presa di sincroni che per tutta la serie rimarrà uno dei tratti tecnici salienti e più accurati. D'altronde anche lo stesso Norman aveva aperto questa strada, proprio nel Dr.No, nella celeberrima sequenza della vedova nera infilata nel letto di Bond: con una pagina di magistrale quanto "convenzionale" suspence musicale (tremoli, dissonanze, scalette) che si chiude con un furioso "prestissimo" orchestrale culminante in cinque violenti accordi ribattuti in sincrono con i colpi di pantofola inferti da 007 sul micidiale animaletto. Un pezzo "chiuso", e anche Barry procederà spesso così, "chiudendo" le sequenze in brani compiuti, autonomi: memorabili, in tal senso, la pagina che accompagna il duello fra gitane in From Russia With Love, ma soprattutto la splendida scena della morte di Aki in You Only Live Twice, partitura somma fra tutte, dove tra l'altro Barry gestisce magistralmente e modernamente tecniche, strumenti e moduli esotici, nella fattispecie orientali, assorbendoli completamente nella propria coltissima poetica (tutta la sequenza delle nozze al villaggio): un lento tema discendente dei legni sul tremolo degli archi e i rintocchi funebri del gong a descrivere l'inesorabile scendere del veleno lungo il filo destinato all'agente addormentato, e che finirà invece per colpire la sua ragazza (e "moglie") giapponese, che perisce accompagnata da una lamentosa, sobria coda del corno inglese sul mestissimo tema che era stato introdotto dagli archi.

Goldfinger, tuttavia, è il titolo che perfeziona meglio anche il concetto – fondamentale – di sinergia fra "sound" e "music" nella serie. Ed è Barry, con lungimiranza, a farsene carico assieme al sound department capitanato da Gordon McCallum. Già in Dr.No le sonorità artificiali, gli echi e i riverberi, le distorsioni vocali dovute ai caschi, insomma un intero apparato "rumoristico" di estrema finezza, erano divenuti parte integranti della colonna sonora svelandosi come suoni "nuovi", avveniristici, veri trademarks della saga; in Goldfinger le medesime cure vengono apposte ad esempio per l'effetto del laser, o per il sibilo del gas con cui Goldfinger uccide i gangster, o quello – altrettanto letale – del cappello-ghigliottina di Oddjob che vola nell'aria. Proprio Oddjob, personaggio muto, suggerisce a Barry il felicissimo mickeymousing dell'accordo improvviso, vitreo del vibrafono ad ogni sua apparizione; ed è ancora una semplice serie di accordi, quasi di suoni immoti, spenti, di vibrafoni e arpa a fare da epitaffio a Jill Masterson, ricoperta da vernice d'oro, preceduti da una serie di cupi, crescenti e armonicamente instabili accordi di tuba e ottoni che sono quasi un marchio minaccioso di morte su tutta la partitura. E ancora: i suoni "spaziali" di You Only Live Twice e Moonraker s'integrano perfettamente con le ariose melodizzazioni del compositore inglese, ancora una volta spesso e volentieri strutturate secondo forme chiuse: si pensi, nel primo caso, alle sequenze di "inghiottimento" delle astronavi russe e americane da parte di quelle di Blofeld, scandite da un ritmo di marcia progressivo inesorabile, quasi una "trauermarsch" mahleriana; o, nel secondo, al ralenti nel sottofinale avvolto da struggenti modulazioni che ne ritualizzano l'andamento sino a renderlo quasi astratto, psichedelico. In altri termini, la musica in 007 sembra provenire, originarsi direttamente dalle fonti sonore profilmiche, evolversi nell'immaginario a partire dai suoi stessi congegni di messinscena. La sofisticazione timbrica di Barry in questo periodo non ha eguali: accensioni sinfoniche brutali, al calor bianco, si alternano a parentesi idilliache, ammiccamenti burlesque (il "Flying Circus" di Pussy Galore in Goldfinger, con tanto di assolo sexy-sax all'apparire del suo esercito di amazzoni aviatorie…), virtuosismi assoluti (il crescendo dei bongos nella morte di Fiona in Thunderball), distensioni neoclassiche (il requiem per archi dedicato a Tracy in OHMSS)…

Se Diamonds are Forever è ancora una partitura eccezionalmente ricca e particolarmente (auto)ironica, dove Barry sconta tuttavia una certa ripetitività – anche a fronte di una storia che evidentemente non lo stimola molto – ma si riserva comunque guizzi geniali (tutta la "funny music" che accompagna i due killer gay Mr. Kidd e Mr. Wint), è evidente che la cesura globale rappresentata da Live and Let Die (il primo Casino Royale è capitolo parodistico e iper-apocrifo e il song-writer Burt Bacharach non si rapporta nemmeno lontanamente ai modelli preesistenti) lascia il segno anche nel futuro della musica bondiana.
Affidando lo score a George Martin, il produttore dei Beatles, e il song title a Paul McCartney, la produzione compie un'evidente scelta di discontinuità, in linea con la scelta di un interprete molto meno problematico e più "pop" quale Roger Moore (il quale aveva già incrociato il proprio nome con quello di Barry nella serie Attenti a quei due!); se la canzone scala immediatamente le hit parades, la partitura è oggi dimenticata nel proprio genericissimo "London sound", condito da esotismi afrocubani di dubbia attendibilità e ancor più dubbio gusto.

foto_giovane_marvin_hamlish.jpgAl grande compositore di Sua Maestà viene da qui in avanti sottratta l'esclusiva sulla serie, si dice per motivi di cachet divenuti nel frattempo esorbitanti (Barry nell'85 vince l'Oscar per lo score di La mia Africa). Così i suoi contributi si fanno via via più generici, svogliati, mentre la serie paga lo scotto di una concorrenza soffocante sul piano dell'action movie e della spettacolarità, oltre che vedersi rapidamente scavalcata nella suggestione e nelle tematiche dai mutati scenari mondiali. The Man With the Golden Gun è davvero un B-movie ed un B-score, a cominciare dalla bruttissima title song; e così, a seguire, subentra una giovane leva, Marvin Hamlisch, enfant prodige della Hollywood musicale progressista (Come eravamo, Prigioniero della Seconda Strada, La scelta di Sophie), il quale, non avendo alcuna dimestichezza con il genere d'azione, compie stoicamente e intelligentemente una scelta opposta, ovviamente perdente: rarefare i toni, abbassare il volume, giocare di alleggerimenti strumentali, ingentilire insomma l'apparato sonoro, in linea con lo smodato naturalismo e romanticismo del film, a cominciare dalla dolce title song offerta con voce soave da una folksinger come Carly Simon. Il successivo Moonraker, che vede anche il ritorno della possente voce di Shirley Bassey, possiede uno score di pregevole fattura dove Barry, richiamato all'opera, evita – malgrado le circostanze incoraggianti – di ripetere alcune soluzioni già adottate per You Only Live Twice, è forse l'ultima grande partitura della serie ma l'horror vacui che riempie ormai i soundtrack dagli anni '80 in poi contagia in parte anche il maestro inglese, che altrove era stato capace di silenzi, pause, attese estremamente significative in quanto destinate a integrarsi con quel "sound" profetico, suggestivo, incantatore che è una delle carte vincenti della serie. L'altalena di compositori continua, coinvolgendo anche Bill Conti (il musicista di Rocky e Gloria di Cassavetes) che in For Your Eyes Only sta molto a ridosso del theme di Norman – ormai divenuto un paratesto sul quale tutti i musicisti esercitano le loro doti di orchestratori, variatori e manipolatori – ma, pur nel piglio adrenalinico e molto giovanilistico dei ritmi, è poco incline a quella ridondanza e a quell'allusività spesso invece necessarie alla stratificazione complessiva del prodotto.

L'inizio dell'ultima fase dell'era-Barry, con Octopussy, coincide con l'episodio destabilizzante di Never Say Never Again, remake apocrifo di Thunderball produttivamente sottratto a Broccoli e concepito come ironico congedo conneryano, che ovviamente per motivi di diritti non può avvalersi di nessun referente testuale alla serie parallela. L'ingrato compito delle musiche viene inopinatamente affidato al francese Michel Legrand, pianista eccellente, educato alla Nouvelle Vague e al jazz americano, sofisticatissimo e malinconico autore di Les parapluies de Cherbourg e Messaggero d'amore; a differenza di tutti i suoi predecessori e successori (Bacharach escluso) Legrand non può neanche azzardarsi a parafrasare lontanamente il logo musicale di Norman. Ne risulta uno score surreale, a tratti visibilmente gonfiato sul piano sinfonico laddove serve dell'action music, anche se é l'occasione per scoprire in Legrand insospettate ascendenze stravinskyane (addirittura dal Sacre!...), altrove spensieratamente chansonnier, altrove ancora dance-jazzistico, anche se Legrand – come Barry – cerca di inglobare la canzone iniziale nel tessuto connettivo della partitura. In pratica una tavolozza mista di colori assemblati un po' a caso nella quale emerge soprattutto lo spiccato polistilismo del compositore, trionfante nel memorabile e sarcastico tango ballato da Bond e Domino-Kim Basinger.

foto_eric_serra.jpgfoto_bill_conti_vecchio.jpgMa il Barry's touch è ancora troppo forte perché la produzione rinunci facilmente a lui; A View to a Kill paga uno scotto altissimo ad una moda-hitparade che da questo capitolo comincia a contagiare i title song, dove sfilano rockstar o popstar di grido ma spesso di nessuna reale "pertinenza" mitologica con il film e il personaggio. Qui tocca ai Duran Duran, mentre il musicista accompagna quello che è anche il congedo dell'anziano Roger Moore dal ruolo cercando di forzare i toni e di ripescare vecchi escamotages (le iterazioni ossessive, i pedali degli archi divisi, le subitanee incursioni percussive), subendo però l'inesorabile deterioramento del genere ed anche il lento trasformarsi della sua dimensione sonora da scenografia fantastica a puro e semplice frastuono tra i frastuoni. A Barry spetta anche tenere a battesimo il primo dei due commercialmente sfortunati (ma assai sottovalutati) 007 con Timothy Dalton, The Living Daylights, che è anche l'ultimo titolo in cui figura come producer Albert R. "Cubby" Broccoli; ed è per il compositore un ultimo guizzo di genio, dove il sinfonismo altrove compresso esplode in una serie di sbalzi al calor bianco, sottolineando il nuovo, inusitato registro di violenza impresso alla serie (ormai siamo negli anni '90!...) anche con il – parco – ricorso all'elettronica.

Morto Broccoli e congedato definitivamente Barry, la serie 007 musicalmente – e non solo – parlando brancola nel buio per quasi un decennio. Tuttavia, proprio per questo, è anche un periodo di interessanti sperimentazioni. Come una meteora, sfreccia il folgorante talento di Michael Kamen, divulgatore entusiasta del rock sinfonico, sodale dei Queen e dei Metallica, compositore (Highlander, Die Hard, Robin Hood), ex oboista e direttore d'orchestra eccelso cresciuto alla Juilliard School, e che il destino ci ha sottratto troppo presto. Kamen agguanta la faccenda License to Kill di petto, con un'orchestrazione epica, infarcita di canzoni e di riferimenti, rielaborando furiosamente il "James Bond Theme", ma riscoprendo un'atmosfera completamente nuova, ariosa, che riecheggia gli score d'azione del periodo, ben noti al compositore, ma senza mai perdere di vista le ragioni dell'omogeneità, dell'unitarietà musicale e soprattutto della serrata sinergia con le immagini che Barry aveva custodito così accuratamente e gelosamente per oltre vent'anni. Ma l'esperimento in assoluto più bizzarro, anomalo è quello di Goldeneye che vede chiamato all'opera un altro francese, Eric Serra. Si tratta, com'è noto, del compositore di fiducia di Luc Besson, nonché di una figura estremamente eclettica: chitarrista rock-jazz, band-leader cresciuto fra computer e videoclip, grande miscelatore di fonti e materiali che utilizza orchestra o synt con criteri bipartisan ma che punta sempre e soprattutto all'evocazione di un climax, non alla mera sottolineatura dell'azione. Serra fa terra bruciata di tutto l'interregno fra Barry e se stesso, sbalordisce l'uditorio con la versione più delirante del "James Bond Theme" mai udita, confonde voci e chips con abilità diabolica, e quando scrive per orchestra palesa un taglio impressionistico, quasi debussyano, quantomeno insolito. Per di più il film si vale dell'ultimo grande song title della serie, quel "Goldeneye" scritto da Bono & The Edge per la mitica Tina Turner.

filmografie_kamen.jpgForse l'insieme è davvero troppo innovativo, in un prodotto nel quale il pubblico ha già il suo da fare a familiarizzare con il nuovo arrivato, Pierce Brosnan (che si rivelerà, almeno finora, il più degno erede di Connery), ma soprattutto si avverte la necessità di ridare un'impronta omogenea, continuativa, al mondo musicale della serie. Che nel frattempo, però, è divenuta terribilmente più complicata, rumorosa, confusionaria, kitsch, esplosiva, schiava degli effetti speciali. Serve dunque un musicista di classe ma che tenga sempre i toni alti, il volume al massimo, non più integrandosi o contrappuntandosi al sound ma divenendone di fatto parte essenziale. La scelta cade su David Arnold, significativamente ancora un inglese, giovane (classe 1962) musicista cresciuto nell'evidente influenza williamsiana, dagli accenti "muscolari" travolgenti, e per questo volentieri usato da Roland Emmerich (Independence Day). Arnold è l'unico che sembri possedere qualcosa di simile all'imprinting barryano: la capacità di zittirsi quando la situazione lo impone, o di asciugare gli interventi, di "chiuderli" in zone fisse, di trovare anche momenti estatici, lirici. Non è tanto Tomorrow Never Dies, che non sembra scostarsi troppo da precedenti lavori del musicista (anche se l'impatto con le sue orchestrazioni e la sua capacità di scatenare l'inferno, seconda solo a quella di Elliot Goldenthal, è subito sconcertante), quanto il successivo, ambiziosissimo The World is not Enough a dimostrare che la serie 007 forse ha trovato davvero un nuovo "metteur en musique" all'altezza; con un orecchio in discoteca e l'altro alla Carnegie Hall Arnold erige una cattedrale sonora infinitamente sfaccettata, tritura il "James Bond Theme" in ritmi tellurici (ma la sua orchestrazione è la più fedele a quella originaria dai tempi di Barry), si lascia andare a siparietti da night-club, e quando si tratta di inventare un tema si mette al pianoforte e tesse un lied quasi schubertiano per l'ambigua, affascinante Elektra di Sophie Marceau. Anche Die Another Day è partitura ricca di sorprese e di ulteriori elementi di arricchimento; d'altronde è forse il film migliore del periodo-Brosnan, sin dall'incipit. Il lungo prologo coreano e la choccante sequenza dei titoli sulla tortura di 007, scandita dal brano ipertechno, quasi alieno di Madonna, trovano nel musicista britannico non solo un commentatore all'altezza ma un illustratore musicale che recupera alcuni di quelli che erano gli stilemi più efficaci di Barry, comprese l'ironia e il romanticismo (si pensi all'uscita dall'acqua al ralenti di Jinx, sottolineata da una sapiente movenza sensuale dell'orchestra). Ovviamente la necessità di stare costantemente su di giri spinge Arnold, con l'aiuto del suo formidabile direttore d'orchestra Nicholas Dodd, ad esibizioni di forza bruta sonora spesso defatiganti e rinforzate in sede di missaggio; crescendi circolari, progressioni che sembrano non finire mai, strappi urlati degli ottoni (cui non sono comunque estranee tecniche jazzistiche), sismi percussionistici del decimo grado Richter si susseguono in partiture delle quali, con il passare del tempo, si fatica a memorizzare un leit-motiv ma non il martellante impatto di quantità sonora.

foto_david_arnold.jpgPer il momento Casino Royale sembra l'acme di questa poetica arnoldiana; è anche lo score dove il musicista lavora meglio, più sottilmente sul Bond theme, complice il fatto che siamo in un prequel e quindi anche "quel" tema è, di fatto, una sorta di ur-motiv. Ma soprattutto è un dispiego di potenza di fuoco a 360 gradi; l'inseguimento iniziale in Africa, il corpo a corpo sulle scale, lo spettacolare crollo del palazzo sul Canal Grande, sono altrettante occasioni di palestra orchestrale per Arnold, che tuttavia riesce sempre a dare una "forma" precisa alle sue pagine, una struttura rigorosa. Particolarmente originale il trattamento immalinconito e severo impartito al celeberrimo "intro" cromatico del "James Bond Theme" e stupefacente poi, anche per i dichiarati riferimenti a Barry, il tema di Vesper per piano e archi, ma anche l'accorta suspence messa in campo durante la partita a poker, a base di suoni vitrei, tremoli dei bassi e violini in flautando. Sotto questo profilo in particolare, cioè quello dei riferimenti espliciti all'avanguardia storica, Casino Royale è davvero il più avanzato e dirompente degli score bondiani.
Ovviamente è passato oltre un quarantennio da Dr.No, che in termini di evoluzione della musica cinematografica equivale a ere geologiche. Per un ciclo cinematografico che ha subìto e rispecchiato su di sé come nessun altro il fascino referenziale della serialità, l'appeal del film d'azione, le tecniche dei più arditi ed estremi esperimenti audiovisivi, il mix irripetibile tra spy-story, fantascienza, melò e commedia, occorre riconoscere che il contributo dei musicisti succedutisi nel tempo è stato fondamentale. I fan continuano, altrettanto ovviamente, a sperare che, ove la serie proseguisse – come sicuramente avverrà visto il buon esito del debutto di Daniel Craig - il vecchio Barry voglia prima o poi tornare a mettere mano su un personaggio che gli deve il cinquanta per cento del proprio successo (e viceversa).
Ma il punto non è questo: nell'era della riproducibilità tecnica moltiplicata sino alla clonazione di fonti e supporti, l'intera saga-007 si offre oggi allo spettatore-ascoltatore anche nella propria analitica periodizzabilità, come oggetto multiforme d'indagine e di approfondimento nelle sue diverse componenti e nei suoi infiniti contributi creativi, di cui John Barry è stato uno dei principali protagonisti. Per il resto, come c'insegna James Bond, il domani non muore mai…

Schede filmusicali:

- DR.NO (Agente 007 Licenza di uccidere), 1962, reg. Terence Young. Musica: Monty Norman*. Orchestrazioni: Burt Rhodes. James Bond Theme orchestrato e diretto da John Barry. Direttore d'orchestra Eric Rodgers.
- FROM RUSSIA WITH LOVE (A 007 Dalla Russia con amore), 1963, reg. Terence Young. Musica: John Barry, Lionel Bart, Monty Norman. Canzone "From Russia with love", testo e musica di Lionel Bart, vocal Matt Monro. Direttore d'orchestra John Barry.
- GOLDFINGER (Agente 007 Missione Goldfinger), 1964, reg. Guy Hamilton. Musica: John Barry. Canzone "Goldfinger", testo di Leslie Bricusse e Anthony Newley, musica di John Barry, vocal Shirley Bassey. Direttore d'orchestra John Barry.
- THUNDERBALL (Agente 007 Operazione tuono), 1965, reg. Terence Young. Musica: John Barry. Canzone "Thunderball", testo di Don Black, musica di John Barry, vocal Tom Jones. Direttore d'orchestra John Barry.
- YOU ONLY LIVE TWICE (Agente 007 Si vive solo due volte), 1967, reg. Lewis Gilbert. Musica: John Barry. Canzone "You only live twice", testo di Leslie Bricusse, musica di John Barry, vocal Nancy Sinatra. Direttore d'orchestra John Barry.
- JAMES BOND 007 – CASINO ROYALE (Casino Royale), 1967, reg. John Huston, Ken Hughes, Robert Parrish, Joseph McGrath, Val Guest. Musica: Burt Bacharach. "Casino Royale Theme" di Herb Alpert & The Tijuana Brass; canzone "Look for love", testo di Hal David, musica di Burt Bacharach, vocal Dusty Springfield. Direttore d'orchestra Burt Bacharach.
- ON HER MAJESTY'S SECRET SERVICE (Agente 007 Al servizio segreto di Sua Maestà), 1969, reg. Peter Hunt. Musica: John Barry. Canzoni; "We have all the time in the world", testo di Hal David, musica di John Barry, vocal Louis Armstrong; "Do you know how Christmas trees are grown?'", testo di Hal David, musica di John Barry, vocal Nina. Direttore d'orchestra John Barry,
- DIAMONDS ARE FOREVER (Agente 007 Una cascata di diamanti), 1971, reg.Guy Hamilton. Musica: John Barry. Canzone "Diamonds are forever", testo di Shirley Bassey, musica di John Barry, vocal Shirley Bassey. Direttore d'orchestra John Barry.
- LIVE AND LET DIE (Agente 007 Vivi e lascia morire), 1973, reg. Guy Hamilton. Musica: George Martin. Canzoni: "Live and let die", testo di Paul McCartney, musica di George Martin, vocal Paul McCartney; "Just A Closer Walk With Thee "/" New Second Line", Harold A. "Duke" Dejan & The Olympia Brass Band; "Fillet Of Soul-New Orleans" / "Live And Let Die" /" Fillet Of Soul-Harlem", P.J. Arnau. Direttore d'orchestra George Martin,
- THE MAN WITH THE GOLDEN GUN (L'uomo dalla pistola d'oro), 1974, reg. Guy Hamilton. Musica: John Barry. Canzone "The man with the golden gun", testo di Emiliana Torrini, musica di John Barry, vocal Lulu. Direttore d'orchestra John Barry.
- THE SPY WHO LOVED ME (Agente 007 La spia che mi amava), 1977, reg. Lewis Gilbert. Musica: Marvin Hamlisch. Canzone "Nobody does it better", testo di Carole Bayer Sager, musica di Marvin Hamlisch, vocal Carly Simon. Direttori d'orchestra Marvin Hamlisch e Geoff Westly.
- MOONRAKER (Moonraker, operazione spazio), 1979, reg. Lewis Gilbert. Musica: John Barry, Canzone "Moonraker", testo di Shirley Bassey, musica di John Barry, vocal Shirley Bassey. Direttore d'orchestra John Barry.
- FOR YOUR EYES ONLY (Agente 007 Solo per i tuoi occhi), 1981, reg. John Glen. Musica: Bill Conti. Canzone "For your eyes only", testo di Sheena Easton, musica di Bill Conti, vocal Sheena Easton. Direttore d'orchestra Bill Conti.
- OCTOPUSSY (Octopussy – Operazione Piovra), 1983, reg. John Glen. Musica: John Barry, Canzone "All time high", testo di Tim Rice, musica di John Barry, vocal Rita Coolidge. Direttore d'orchestra John Barry.
- NEVER SAY NEVER AGAIN (Mai dire mai), 1983, reg. Irving Kershner. Musica: Michel Legrand. Canzoni: "Never say never again", testo di Marilyn e Alan Bergman, musica di Michel Legrand, vocal Lani Hall; "Une chanson d'amour", testo di Sophie Della e Jean Drejac, musica di Michel Legrand, vocal Sophie Della. Direttore d'orchestra Michel Legrand.
- A VIEW TO A KILL (007 Bersaglio mobile), 1985, reg. John Glen. Musica: John Barry. Canzone "A view to a kill", testo e musica dei Duran Duran. Direttore d'orchestra John Barry.
- THE LIVING DAYLIGHTS (007 Zona pericolo), 1987, reg. John Glen. Musica: John Barry. Canzoni: "The living daylights" testo e musica degli A-ha; "If there was a man" e "Where has everybody gone" testo e musica dei Pretenders. Direttore d'orchestra John Barry.
- LICENSE TO KILL (007 Vendetta privata), 1989, reg. John Glen. Musica: Michael Kamen. Canzoni: "License to kill", testo e musica di Narada Michael Walden-Jeffrey Cohen-Walter Afanasieff, vocal Gladys Knight; "Wedding Party" di Jimmy Duncan e Philip Brennan, vocal Ivory; "Dirty Love" di Steve Dubin e Jeff Pescetto, vocal Tim Feehan;"If you asked me to", testo e musica di Diane Warren, vocal Patti LaBelle. Direttore d'orchestra Michael Kamen.
- GOLDENEYE (GoldenEye), 1995, reg. Martin Campbell. Musica: Eric Serra. Canzoni: "Goldeneye" di Bono & The Edge, vocal Tina Turner; "Experience of love", testo di Rupert Hine, musica di Eric Serra, vocal Eric Serra. Direttore d'orchestra John Altman.
- TOMORROW NEVER DIES (007 Il domani non muore mai), 1997, reg. Roger Spottiswoode. Musica: David Arnold. Canzoni: "Tomorrow never dies" di Sheryl Crow e Mitchell Froom, vocal Sheryl Crow; "Surrender", testo di Don Black, musica di David Arnold e David McAlmont, vocal K.D. Lang; "James Bond Theme" eseguito da Moby. Direttore d'orchestra Nicholas Dodd.
- THE WORLD IS NOT ENOUGH (007 Il mondo non basta), 1999, reg. Michael Apted. Musica: David Arnold. Canzoni: "The world is not enough", testo di Don Black, musica di David Arnold, vocal Garbage; "Only myself to blame", testo di Don Black, musica di David Arnold, vocal Scott Walker. Direttore d'orchestra Nicholas Dodd.
- DIE ANOTHER DAY (007 La morte può attendere), 2002, reg. Lee Tamahori. Musica: David Arnold. Canzone "Die another day" di Madonna e Mirwais Ahmadzaï, vocal Madonna. Direttore d'orchestra Nicholas Dodd.
- CASINO ROYALE (Id.), 2006, reg. Martin Campbell. Musica: David Arnold. Canzone "You know my name", testo di Chris Cornell, musica di David Arnold, vocal Chris Cornell. Direttore d'orchestra Nicholas Dodd.
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* In tutti i titoli successivi, ad eccezione di James Bond 007 – Casino Royale e Mai dire mai, è presente il "James Bond Theme" composto da Monty Norman.

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