"Horror Soundtrack": La musica e il cinema Horror - Ultima Parte

foto_john_carpenter.jpg"Horror Soundtrack": La musica e il cinema Horror - Ultima Parte

Cap. 6 - John Carpenter e John Carpenter

Qualcuno mi disse, una volta, che la musica, o la sua essenza, possono farti vedere meglio. Ne sono convinto.
John Carpenter                                             

Per l’approccio utilizzato in questo lavoro, John Carpenter rappresenta la figura più importante e il punto di arrivo più alto, all’interno del genere horror, nel rapporto tra musica e immagini e nell’importanza dell’elemento musicale all’interno del tessuto filmico, rispetto alla produzione filmica e nei confronti della fruizione spettatoriale. L’indiscutibile riconoscibilità di temi e di stile e il filo rosso invisibile che attraversa tutta la sua filmografia sono due degli elementi grazie ai quali la critica, quasi all’unanimità, conferisce al regista l’innegabile status di autore. Carpenter è l’autore o il co-autore di gran parte delle sceneggiature dei suoi film. A questi elementi va aggiunto quello musicale altrettanto riconoscibile, personale e inconfondibile, che lega fra loro tutti i film del regista, quasi come in un’unica, grande colonna sonora.
Dividendo in due macro-aree espressive la sostanza dello spettacolo cinematografico, e cioè audio e video, un autore sarà colui che darà uguale ed enorme importanza ad entrambe, e che ideerà, creerà e curerà entrambe le dimensioni del film. Sarà lui a stabilire sia ciò che si vede sia ciò che si sente. John Carpenter, in quanto compositore di quasi tutte le colonne sonore dei suoi film, è il regista horror che assume in sé la completa creazione del prodotto filmico come vero e proprio formato audiovisivo, non rilegando a terzi la stesura della musica, come solitamente opera la generalità degli autori, pur con le indicazioni del caso e la supervisione della stessa. Inoltre, “a differenza di colleghi «registi-musicisti» come Jim Jarmusch, Gus Van Sant, Mike Figgis o Hal Hartley, lui è sempre stato qualcosa di diverso. Negli anni ha infatti riscosso consensi musicali come nessun altro cineasta, rivelandosi anche e soprattutto, una fonte di ispirazione per molti musicisti. (…) Rispetto poi a colleghi come Jarmusch o Van Sant – che girano ascoltando e respirando musica ma restando pur sempre registi – Carpenter è considerato anche e soprattutto un musicista.” (62) Infatti ha composto anche le musiche per film di altri registi, come i cinque sequel della saga di Halloween, e perfino per il videogioco Sentinel Returns del 1998.
Carpenter cominciò a comporre le musiche dei suoi film per esigenze economiche e per risparmio di tempo, all’interno di un modo di fare cinema lontano dal sistema produttivo industriale, nel quale, per la rigorosa standardizzazione della produzione e per la divisione del lavoro all’interno dell’equipe cinematografica, è difficile ed assai raro che le figure di cineasta e di compositore delle musiche da film vengano a coincidere. La natura semi-indipendente del suo cinema ha favorito questa prassi. La formazione musicale di Carpenter deve molto al padre, che era direttore del Musical Department della Kentucky University, il quale, oltre ad avvicinarlo alla ricerca sonora elettronica, lo condusse spesso negli studi di registrazione in cui praticava l’attività di session-man, permettendogli di assorbire influenze eterogenee fra loro e di estendere l’orizzonte delle sue conoscenze musicali. Inoltre il regista è stato co-fondatore dei Coup De Ville, tipica band da college-party specializzata nel repertorio anni cinquanta. Infine egli ha vissuto in gioventù la nascita e lo sviluppo del rock sia come fan che come giornalista, collaborando come critico per il Los Angeles Free Press e intervistando perfino Jim Morrison.

foto_john_carpenter2.jpgTuttavia Carpenter è privo di una conoscenza accademica della musica, non è un esperto strumentista esecutore ed ha affermato più volte di non sapere né leggere né scrivere la musica. La sua figura ricorda molto quella del musicista non-musicista Brian Eno. La maggior parte delle sue musiche è composta improvvisando mentre le scene del film appena girato scorrono sullo schermo, attraverso un televisore sincronizzato con i sintetizzatori, a loro volta collegati all’impianto di registrazione. Colonna sonora, quindi, che è pura evocazione di ciò che le immagini suscitano, da parte di chi quelle stesse immagini ha creato, performance estemporanea completamente separata dal momento delle riprese, e unico elemento del film non pianificato. Pura ispirazione che conferisce sonorità alla visione, privata dello scarto creativo derivante dal fatto che audio e video sono creati, generalmente, da due personalità differenti. E’ di estrema rilevanza, nonché rappresentare un caso unico nel genere horror, il fatto che entrambi nascano da una stessa sensibilità artistica. Ed è questo che conferisce ai film del regista l’impressione immediata di uno straordinario grado di omogeneità e di coesione col materiale visivo, al punto che “le immagini sembrano, letteralmente, generare i suoni che le accompagnano.” (63) Il suo sound nobilita i sintetizzatori, dimostrandone le ampie potenzialità cinematografiche, la natura di strumento da solo bastante a creare  un universo sonoro completo e autosufficiente, fatto di “sonorità elettroniche nervose e pulsanti, dalle quali sono banditi effetti mimeticamente orchestrali (alla Vangelis o alla Moroder) e che si innestano organicamente nel contesto di una messa in scena al contempo «barocca» e tecnologica.” (64) E’ un sound che risente e influenza l’immaginario tecnologico degli anni ‘80, periodo in cui la tecnologia penetra sempre più nella quotidianità della vita individuale e collettiva e influisce in maniera determinante nei modi e nelle forme di creazione artistica. Basti pensare alla diffusione nelle case dei computer e allo sviluppo del rock elettronico. La sua musica, come il suo cinema, è moderna, meta-rappresentazione tecnologica, suono della metropoli e dei suoi orrori di massa. Le musiche di Carpenter sono state spesso rivisitate da Dj e rapper, influenze del suo sound si riscontrano in gruppi del calibro di Depeche Mode e Air. Questi ultimi hanno addirittura ristampato la colonna sonora di Distretto 13: le brigate della morte (1977).
Carpenter è il maestro riconosciuto dell’horror music, in grado di trasmettere, attraverso la musica, emozioni primarie, cioè emozioni “appartenenti ad ogni individuo indipendentemente dalla società o cultura di appartenenza” (65), quali paura, ansia e angoscia. La mancata conoscenza tecnica e professionale della musica, inoltre, dimostra come l’espressione di determinati fattori emotivi sia un procedimento innato e indipendente dal sapere individuale o appartenente ad una determinata cultura.

L’“incompetenza” musicale del regista dimostra quanto il significato delle sue musiche sia motivato e mostri omogeneità di tipo interculturale, quanto si fondi su fattori “naturali”. Il significato attribuito alle strutture discorsive musicali “non è solo frutto di abitudini culturali e non dipende esclusivamente dalla conoscenza di codici pre-formati (convenzioni arbitrarie e culturalmente determinate), che fanno riferimento imprescindibile alla competenza dell’ascoltatore.” (66) In questo caso, la transculturalità e l’universalità dei fattori emotivi non si ferma all’ascoltatore, ma appartiene anche al creatore stesso della musica. “Il senso stesso è iscritto nelle strutture sonore” (67), non è mediato da accademismo e teorie musicali. I fattori emotivi si trasferiscono naturalmente e nell’immediato dal compositore al fruitore.
Sebbene molti dei suoi film rientrino nel genere horror, lo stile di John Carpenter risulta irriducibile ad una classica logica produttiva di generi, e attraversa, molto spesso all’interno di uno stesso film, generi diversi tra loro quali, oltre all’horror, la fantascienza, il fantastico, l’avventura, il western, il thriller. Uno stile ibrido e personale, nato dalla molteplicità e varietà del cinema che lo ha influenzato e appassionato: da un lato Howard Hawks, Alfred Hitchcock, John Ford, Orson Welles, grandi cineasti classici americani, dall’altro i b-movie della science-fiction e dell’orrore anni cinquanta e sessanta. In musica gli corrisponde uno stile altrettanto ibrido, che tocca l’elettronica, il minimalismo, il soundtrack classico, il rock, l’ambient.
All’influenza artistica che egli stesso individua in Bernard Herrmann ed Ennio Morricone, il quale ha composto per lui le musiche di La Cosa (1982) (con indicazioni, selezione ed esclusione di brani e aggiunte sonore del regista), si contrappone la vicinanza e l’influenza produttiva della factory dei b-movie horror di Roger Corman: basso budget che impedisce di sostenere le spese per un compositore, tanto più se, come spesso accade, è richiesta un orchestra; collaboratori fissi, come Dan Wyman, Alan Howarth e Jim Lang, che nella composizione lo coadiuvano nella componente tecnologica ed esecutiva; tempo limitato, il quale, molto probabilmente, comporta la creazione di musiche più spontanee, istintive e meno ragionate.



1. Halloween: la notte delle streghe

Halloween (1978) fu il primo vero successo di Carpenter, un knife-movie basato sulla figura del boogey-man, l’uomo nero, l’ombra della strega. A detta dello stesso regista, il film a cui maggiormente si ispirò per la sua realizzazione fu Psycho di Hitchcock. La protagonista, Laurie Strode, una babysitter dalla sessualità repressa, è interpretata da Jamie Lee Curtis, figlia di Janet Leigh. Il piano-sequenza iniziale è una evidente citazione della scena dell’assassinio sotto la doccia. Carpenter, come Hitchcock, costruisce una scena dalla tensione memorabile, utilizzando, prima di Kubrick, una soggettiva dal movimento di macchina regolare, idea dalla quale era ossessionato, attraverso la steadycam. Non concedendo nulla allo splatter, il regista sviluppa l’estetica della visione dello stesso Hitchcock e del Michael Powell di Peeping Tom, facendo coincidere l’occhio del regista, dell’assassino e dello spettatore, ottenendo una “sorta di percezione alterata che impone e imporrà il proprio quadro visivo su ogni inquadratura, insinuando in chi guarda il terribile sospetto che il suo occhio sia tutt’uno con lo sguardo fisico del male.” (68) La musica stessa dà all’ascolto l’impressione di essere intrisa di questo stesso male, una sonorità malsana che definisce le sonorità di questa “tragica” identificazione.
Come Hithcock ne influenza la visione, così Herrmann è il suo principale punto di riferimento nella stesura della musica. Lo stesso Carpenter ha affermato: «L’abilità di Herrmann nel creare uno score suggestivo e potente, con l’uso di un’orchestra limitata, il significativo uso del suono di base di un particolare strumento, acuti o bassi, era impressionante.» L’essenzialità strumentale, processi simili di modulazione (cambio di tonalità), scrittura musicale semplice ma efficace e pregnante di senso, acuti improvvisi nei momenti di shock visivo che spaventano lo spettatore: sono questi gli elementi che rendono evidente l’influsso del compositore.

Poniamo la musica di Halloween come colonna sonora horror esemplare e maggiormente rappresentativa del genere. Essa possiede tutti i caratteri tecnici e formali tipici e ricorrenti dell’horror music:

1- Funzione identificativa del tema principale, che contribuisce notevolmente al successo e alla fama del film.
2- Tonalità minore costante.
3- Tempo dispari (5/4) del tema principale (come in L’esorcista e Profondo Rosso), che, in quanto “innaturale” può avere, soprattutto nell’ascoltatore non abituato, un effetto “disordinante” e disturbante.
4- Cambi continui di tonalità, centro tonale quindi instabile e mancanza di una direzione d’ascolto precisa e prevedibile.
5- Presenza di cromatismi e di dissonanze sonore.
6- Creazione di sentimenti di attesa e di tensione irrisolti.
7- Punti di sincronizzazione tra IMMAGINE e musica che enfatizzano la sorpresa visiva. Carpenter stesso li chiama stingers, pungiglioni.
8- Potenziale continuità ciclica dei temi, data dall’assenza di uno sviluppo strutturale ordinato, progressivo e compiuto della musica; mancanza quindi di effetti sonori conclusivi e risolutivi.



Halloween fa parte dell’horror moderno, in cui l’happy end, a differenza che nell’horror classico, è un elemento spesso assente. Il male invade Haddonfield, una tipica cittadina del middle west americano, i cui abitanti trascorrono vite tranquille e serene. Ma anche nelle comunità più benestanti e pacate, nonostante lo scetticismo dei suoi abitanti, il male può penetrare di nascosto e rendersi indistruttibile. Michael Myers (Nick Castle) è il protagonista psicopatico che racchiude in sé un male atavico e disumano, è l’incarnazione del demonio. La sua sconfitta è solo momentanea, nonostante fosse stato abbattuto da una scarica di proiettili, riesce a rialzarsi e a scomparire. Come a dire che il male, la morte, o, se si vuole, più banalmente, il crimine, sono inestirpabili dalla umanità come razza o come società. Il film si chiude, come era iniziato, con il tema principale, potenzialmente infinito, perpetuabile e inconcluso, fine sonora apparente e irrealizzata come quella visiva.
Lo stesso Carpenter racconta di un episodio riguardante la produzione di Halloween assai significativo e ulteriore dimostrazione dell’estrema importanza dell’elemento musicale all’interno del cinema horror. Il montaggio finale del film fu proiettato per una giovane produttrice esecutiva della 20th Century Fox, la quale stava prendendo in considerazione l’opportunità di affidare al regista un altro lavoro. Il film era ancora privo di musica e di effetti sonori e non le suscitò affatto paura o orrore. Così il regista decise che lo avrebbe «salvato con la musica», riuscendo nel suo intento, in quanto, qualche mese dopo, la stessa executive gli manifestò apprezzamenti per il film.

2. Film successivi



La stessa mancanza di happy end caratterizza anche The Fog (1980). Le musiche consistono in un minimalismo elettronico, fatto di brevi frasi ricorrenti ed evocative. Carpenter si conferma il “regista della notte; una notte intensa non solo come evocatrice di orrori e pericoli che poi il giorno provvede a dissolvere, ma soprattutto come unità di tempo drammatico.” (69) Anche sonoramente la sua musica è una sorta di ambient notturna, che trova giustificazione e collocazione visuale solo o principalmente nel buio e nell’oscurità. La colonna sonora è sulla stessa lunghezza d’onda di quella di Halloween e presenta uno stesso tipo di horror theme. Tuttavia è più atmosferica e rarefatta, quasi spettrale. In alcune sequenze del film il regista opera una originale sovrapposizione di musica da schermo, proveniente dalla radio della cittadina di Antonio Bay (che trasmette brani del gruppo giovanile del regista), e della sua musica da buca. Infine dimostra come anche una semplice nota grave tenuta a lungo tempo possa bastare a creare tensione.



Il Signore del male (1987) presenta la musica che, forse al pari del film, è la più cupa ed inquietante della filmografia del regista. Manca stavolta un vero e proprio horror theme, sono presenti ostinati ritmici e melodici dalla sonorità greve e sacrale, che traduce in suono l’angoscia suscitata dalla profondità della narrazione e dei temi trattati, i quali uniscono scienza e religione: Cristo è Satana e Dio, suo padre, dopo la sua morte lo ho seppellito all’interno di un contenitore; la chiesa è una setta che lo ha tenuto nascosto per duemila anni. Come in tutti i suoi film, costante è la sintonia tra i ritmi dell’azione, sempre predominanti in Carpenter rispetto a dialoghi e testi, e l’andamento sonoro.



Il seme della follia (1994) è il film più ambizioso di Carpenter, il quale comincia a circondarsi di session-man professionisti e a toccare sonorità metal e hard rock. La maggior parte della colonna sonora è però nello stile classico carpenteriano, che tuttavia abbandona il minimalismo per affidarsi a sonorità più orchestrali e complesse. E’ l’intero film a presentare particolare complessità narrativa: sovrapposizione e confusione tra realtà e fantasia, riferimenti all’orrore cosmico della letteratura di Howard P. Lovecraft (le creature del passato, gli Antichi), riflessione sul condizionamento dell’immaginario operato dai mezzi della comunicazione e della cultura di massa, meta-narrazione folle in cui l’unica dimensione d’interpretazione possibile è quella dell’incubo.



Vampires (1998), pur non rientrando tra i film migliori del regista, in quanto l’orrore abbandona l’ambiguità della visione e l’impossibilità di riconoscere il male, rendendosi conoscibile e identificabile, forse è il miglior esemplare dello stile ibrido di cui si è detto. Un ennesimo cripto-western, con tematiche e archetipi horror e sconfinante nell’action-movie e nell’avventura. La colonna sonora è una delle più riuscite del regista e da lui stesso è considerata la migliore. Carpenter unisce rock, blues, country, minimalismo, elettronica e sonorità che richiamano le colonne sonore di Ennio Morricone per i western di Sergio Leone. Assieme ai primi piani sul cacciatore di vampiri Jack Crow (James Woods), che richiama i personaggi interpretati da Clint Eastwood, la musica è uno dei riferimenti al maestro italiano del western.



Conclusioni

Come afferma Michel Chion, nel cinema immagine e suono non possono essere considerate come due componenti distinte. Un film non viene solo “visto” ma anche ascoltato. La colonna sonora, e con essa tutta la componente audio, viene spesso trascurata nella sue funzioni fondamentali e nel suo apporto alla percezione dello spettatore, solitamente è appena accennata nelle recensioni, nei saggi, nelle critiche ed anche nelle monografie dedicate a singoli registi, e a volte non è nemmeno minimamente considerata. Ciò accade in quanto spesso, erroneamente, è data per scontata, come un elemento non essenziale e complementare rispetto a quello visivo, il quale di per sé risulta sufficiente a definire la sostanza dello spettacolo filmico.  
In questo lavoro ho dimostrato l’importanza della musica nel cinema Horror, ne ho descritto le funzioni narrative, spettacolari e gli effetti di senso psicologico sullo spettatore.  Ho seguito gli sviluppi delle colonne sonore percorrendo l’evoluzione del genere, dall’horror del cinema muto fino all’horror moderno, illustrando quanto ciò che è visibile influenzi la colonna sonora e viceversa.

foto_john_carpenter3.jpgUna fondamentale differenza tra l’horror classico e l’horror moderno, e forse il più importante fattore di distinzione, consiste nel fatto che mentre nel primo, come già detto, la musica interviene nel suggerire l’orrore, compensando i limiti della visione, nel secondo il suo ruolo è diventato sempre più quello di evidenziarlo, farlo risaltare all’eccesso, impattarlo agli occhi e alle orecchie dello spettatore. Nell’horror contemporaneo, ad una visione mostruosa o cruda, improvvisa e inaspettata, corrisponde quasi sempre una sonorità forte, inquietante e altrettanto improvvisa senza la quale la sola immagine sarebbe poco efficace, esaurendo, in questo modo, le possibilità immaginarie dello spettatore e i risvolti psichici della visione.

Nel suo saggio sull’horror Danse Macabre del 1981, Stephen King divide il genere in tre livelli emozionali distinti, ognuno un po’ meno fine del precedente. L’emozione più fine, afferma, è il terrore, non si vede niente di tremendo, ma è ciò che vede la mente a far paura. Al secondo livello c’è l’orrore, meno fine e non interamente mentale, che invita ad una reazione fisica mostrando qualcosa di fisicamente sbagliato. L’ultimo livello, il meno fine e più superficiale, è quello della repulsione. Potremmo dire che ad ogni livello corrisponde un’audiovisione diversa e che la colonna sonora ha sempre contribuito alla resa delle tre diverse emozioni. Nel cinema di Fisher e Tourner la musica aiutava la mente a vedere suscitando terrore; l’audiovisione violenta di Psycho segna il passaggio dal terrore all’orrore; l’energico terrore fisico di Argento corrisponde ad una musica altrettanto energica e potente; la repulsione dello splatter di Romero priva la musica delle funzioni narrative e compensatorie, creando un primo dominio visivo; L’esorcista tocca magistralmente tutti e tre i livelli, possedendo invisibilmente l’audiospettatore; in Shining il terrore psicologico non è solo un’emozione trasmessa allo spettatore, ma appartiene al film stesso, Kubrick tocca anche l’orrore conferendo psico-musicalità alle immagini; infine in Carpenter il perfetto equilibrio creativo e fruitivo dell’audiovisione determina uno spettro emozionale multi-genere e orrorificamente ricco, ambiguo e poliedrico.

La tendenza di molti horror degli ultimi anni, come Saw (2004) di James Wan e la saga seguitane, è spesso quella di cadere nel grossolano, in un eccesso di visione che mostra in dettaglio le nefandezze e le atrocità più impensabili. Manca il terrore, l’emozione mentale, prevale il ribrezzo fisico. Il coinvolgimento più profondo dello spettatore è compromesso, in quanto la reazione corporale a scene che fanno del corpo un ricettacolo infinito di effetti speciali splatter distrae la mente, occupa l’intero spettro delle sue ricezioni emozionali. Tutto questo è derivato soprattutto da tre fenomeni: l’evoluzione digitale, che attraverso la computer-graphic permette la realizzazione dal nulla di qualsiasi effetto e la ripresa di qualsivoglia sequenza; il venir meno della censura visiva, che perde ogni senso e funzione in una società in cui le tecnologie telematiche, come internet e cellulari, permettono l’accesso, la circolazione e la produzione di tutti gli orrori e i mali reali del mondo, abituano lo spettatore, almeno in parte, alla sovrabbondanza visuale, abbassando la soglia di ciò che è ritenuto spaventoso; l’idolatria individuale del corpo, prima fonte moderna di benessere e impero di migliorie estetiche, e di conseguenza prima e più grande fonte potenziale di paure e angosce contemporanee. Da tali fenomeni ne deriva uno spettatore viziato dal vedere, che pretende il massimo per l’occhio e non ammette invisibilità, deviato da un’attrazione morbosa di voyeurismo macabro senza limiti, una fruizione in cui il senso della vista è tiranno. Per questo, a mio modo di vedere, le colonne sonore degli horror contemporanei hanno perso importanza, interesse e funzionalità, in quanto relegate a cornice sonora anonima dell’orgia visiva, mero sottofondo atmosferico, sonorità standardizzate e spesso indistinguibili l’una dall’altra. A conferma di quanto, per la loro realizzazione e ricezione, siano determinanti i modi e le forme del vedere che appartengono allo spettatore non solo rispetto al medium cinematografico, ma anche a partire dall’intero apparato mediale della società di appartenenza, in quanto l’audiovisione stessa vissuta nella collettività si riflette in quella consumata nelle forme di cultura e intrattenimento di massa.

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Sitografia

www.archiviokubrick.it
www.theofficialjohncarpenter.com

Filmografia

Il carretto fantasma (1921) di Victor Sjostrom

Nosferatu (1922) di Friedrich W. Murnau, musiche di Hans Erdmann

M – Il mostro di Dusseldorf (1931) di Fritz Lang.

Dracula (1931) di Tod Browning

Freaks (1932) di Tod Browning

Il traditore (1932) di John Ford, musiche di Max Steiner

La pericolosa partita (1932) di Ernest Shoedsack e Irving Pichel, musiche di Max Steiner

King Kong (1933) di Ernest Shoedsack e Merian C. Cooper, musiche di Max Steiner

Via col vento (1939) di Victor Fleming, musiche di Max Steiner

Quarto potere (1941) di Orson Welles, musiche di Bernard Herrmann

Casablanca (1942) di Michael Curtiz, musiche di Max Steiner

Il bacio della pantera (1942), di Jacques Tourner, musiche di Roy Webb

Dracula il vampiro (1958) di Terence Fisher, musiche di James Bernard

Psycho (1960) di Alfred Hitchcock, musiche di Bernard Herrmann

Peeping Tom - L’occhio che uccide (1960) di Micheal Powell, musiche di Brian Easdale

Gli uccelli (1963) di Alfred Hitchcock, sonoro di Remi Gassmann,  Bernard Herrmann, William Russell, Oskar Sala, Waldon O. Watson.    

Dracula, Principe delle tenebre (1966), di Terence Fisher, musiche di James Bernard

La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero, musiche da repertorio (Capitol Hi-Q discoteca) e di Karl Hardman (effetti elettronici aggiunti)

L’esorcista (1973) di William Friedkin, musiche originali di Jack Nietzche, musiche non originali di Krzysztof Penderecki, Hans Werner Henze, Gorge Crumb, Anton Webern, David Borden, Mike Oldfield.

Regie di Dario Argento:
Profondo rosso (1975), musiche dei Goblin e di Giorgio Gaslini
Suspiria (1977), musiche dei Goblin, con la collaborazione di Dario Argento
Inferno (1980), musiche di Keith Emerson
Tenebre (1982), musiche di Massimo Morante, Fabio Pignatelli e Claudio Simonetti
Phenomena (1985), musiche dei Goblin, con Simon Boswell, Fabio Pignatelli, Claudio Simonetti, Bill Wyman, Iron Maiden, Motorhead, Andi Sex Gang.

Carrie lo sguardo di Satana (1976) e Vestito per uccidere (1980) di Brian De Palma, musiche di Pino Donaggio

The Amityville Horror di Stuart Rosenberg (1979), musiche di Lalo Schifrin

Zombi – Dawn of the Dead (1979) di George A. Romero, musiche dei Goblin

Regie di Stanley Kubrick:
Dottor Stranamore (1963), musiche di Laurie Johnson
2001 Odissea nello spazio (1968), musiche di AA. VV.
Arancia Meccanica (1971), musiche di Wendy Carlos, Nacio Herb Brown, AA. VV.
Barry Lyndon (1975), musiche di AA. VV.
Shining (1980), musiche originali di Wendy Carlos e Rachel Elkind, musiche non originali di  Béla Bartok, Gyorgi Ligeti e Krzysztof Penderecki

Nightmare – Dal profondo della notte (1984) di Wes Craven, musiche di Charles Bernstein

Il giorno degli Zombie (1985) di Gorge A. Romero, musiche di John Harrison

Attrazione fatale (1987) di Adrian Lyne, musiche di Maurice Jarre

Frantic (1988) di Roman Polanski, musiche di Ennio Morricone

Psycho (1998) di Gus van Sant, musiche di Bernard Herrmann dall’originale film di Alfred Hitchcock, rieseguiete e riarrangiate da Danny Elfman.

Regie di John Carpenter:
Distretto 13: le brigate della morte (1977), musiche di John Carpenter
Halloween (1978), musiche di John Carpenter
The Fog (1980), musiche di John Carpenter
La Cosa (1982), musiche di Ennio Morricone
Il Signore del male (1987), musiche di John Carpenter con Alan Howarth
Il seme della follia (1994), musiche di John Carpenter e Jim Lang
Vampires (1998), musiche di John Carpenter

Saw (2004) di James Wan, musiche di Charlie Clouser e Danny Lohner

NOTE:

62. AA. VV., John Carpenter, a cura di Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto, Lindau, Torino, 1999. Saggio di Francesco Adinolfi, Le musiche di John Carpenter, pp. 231, 232.  
63. Giuseppe Gariazzo (a cura di), John Carpenter, la visione oltre l’orrore, S. Sorbini, Roma, 1995.
64. Ibidem, p. 116.
65. Cristina Cano, La musica nel cinema. Musica, immagine racconto, Gremese Editore, Roma, 2002, p. 105.
66. Ibidem. p. 34.
67. Ibidem.
68. Lorenzo Esposito, Carpenter Romero Cronenberg, Roma, Editori Riuniti, 2004, p. 31.
69. Fabrizio Liberti, John Carpenter, il Castoro Cinema, Milano, 2003, p.32.

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