Storia dell'evoluzione della musica nei videogiochi - Parte prima

STORIA DELL’EVOLUZIONE DELLA MUSICA NEI VIDEOGIOCHI
Parte Prima


Introduzione
Recandosi al cinema, magari per vedere un film d’azione o comunque un film destinato al pubblico più giovane, ultimamente non e’ raro assistere prima della proiezione a trailer che pubblicizzano videogiochi. In televisione i più grandi produttori del mercato (Microsoft, Sony, Nintendo…) si sfidano a suon di spot che talvolta vedono protagonisti persino star hollywoodiane, mentre per le strade delle nostre citta’ addirittura alcuni manifesti pubblicizzano il lancio dell’ultimo episodio di una nota serie videoludica.
Tutto questo e’ ben rappresentativo del fatto che oggi il giro d’affari che ruota intorno al mercato dell’home entertainment e’ davvero ingente: i budget necessari alla produzione di un titolo di successo sono infatti ormai assolutamente confrontabili con quelli impiegati per i più “impegnativi” blockbuster cinematografici. Nello stesso modo, l’impegno in termini di risorse umane e tecnologiche necessarie per realizzare un prodotto competitivo è diventato assolutamente assimilabile a quello necessario all’industria del cinema. Programmatori, disegnatori, grafici, artisti, sceneggiatori, doppiatori, specialisti in effetti sonori e talvolta attori in carne ed ossa vengono assoldati dalle grandi software house per realizzare i loro prodotti, videogiochi, di livello qualitativo sufficientemente elevato da riuscire a conquistarsi un posticino sugli scaffali del giovane (ma non troppo) popolo di videogiocatori.
Naturalmente anche la musica nel videogioco ha “giovato” di questi grandi investimenti e di questa poderosa “spinta” del mercato: esistono oggi musicisti impegnati nella composizione di partiture espressamente dedicate ai videogiochi che vengono poi eseguite da orchestre sinfoniche anche blasonate e registrate senza risparmio di mezzi. In altri casi, esattamente come accade per il cinema, compilation di brani di artisti famosi vengono assemblate per sonorizzare le esperienze ludiche dei giocatori, target su cui viene “tarata” la scelta dei brani.
Se è vero che i mezzi economici e tecnologici dell’industria videoludica sono oggi quindi decisamente adeguati a garantire risultati del massimo livello, è altrettanto vero che, almeno dal punto di vista musicale, i risultati artistici lasciano ancora il fianco esposto a critiche. La musica per videogiochi scritta fino ad oggi sembra infatti non sia stata ancora in grado di trascendere l’ambito della “musica applicata” nella sua forma peraltro più didascalica e meno “espressivamente” autonoma. Non mancano esempi di artisti particolarmente ispirati ed apprezzabili anche ad un ascolto isolato (cito, solo a titolo di esempio, Michael Giacchino o Nobuo Uematsu che non a caso hanno prestato la loro musica anche al cinema, o Martin O’Donnell autore delle musiche per la serie di HALO) ma si tratta ancora di rare, isolate, eccezioni. In parole semplici, un John Williams o un Ennio Morricone del videogioco ancora non e’ emerso, per lo meno all’attenzione del grande pubblico.
Questa situazione è determinata essenzialmente da due cause strettamente correlate tra di loro: la prima ragione risiede essenzialmente nella (relativa) giovinezza dell’industria specialmente se confrontata a quella del cinema. Come avremo modo di approfondire, il videogioco nasce poco più di 30 anni fa con più di mezzo secolo di ritardo rispetto al cinema e nasce, tra l’altro, con limiti tecnologici tali da impedire all’origine ogni forma di espressione artistica eventualmente ambita dagli sviluppatori.
La seconda causa, diretta conseguenza della prima, è “endogena” allo stesso mercato videoludico e consiste nel modo in cui oggi il media interpreta se stesso e l’approccio che deliberatamente propone al consumatore-fruitore-giocatore. Game designer e produttori di videogiochi stanno ancora cercando una dimensione propria ed esclusiva del loro prodotto e del suo linguaggio espressivo. Non a caso mai come in questi anni si è discusso, e non solo nell’ambiente, relativamente alla questione se considerare il videogioco arte o banale oggetto di consumo. Questo determina spesso da parte dei produttori di videogames uno “scimmiottamento” del media cinematografico, preso, forse erroneamente, come unico riferimento con risultati prevedibilmente discutibili non solo musicalmente.
L’analisi di questo secondo aspetto è molto interessante ma merita una trattazione dedicata che esula dallo scopo del presente articolo. Ciò su cui invece verrà posta l’attenzione in questa sede sarà la storia del videogioco nonché, necessariamente, della tecnologia e dell’arte che vi ruota intorno, per comprendere il motivo per cui oggi questo medium non possa considerarsi ancora giunto alla sua completa maturazione artistica ed espressiva.

Una premessa: l’alba della musica per il cinema
Benché poc’anzi si sia affermato come il confronto tra cinema e videogioco sia spesso scorretto se non addirittura fuorviante, nel seguito verrà preso a riferimento proprio il cinema al fine di mettere in evidenza come la storia dei due media li ponga su piani estremamente differenti. Il fine è anche quello di evidenziare quanto possa essere “pericoloso” o ingiusto ai giorni nostri un paragone diretto della qualità dei prodotti delle due industrie, somiglianti solo per alcuni aspetti.

Nella storia del cinema, storia che inizia circa un secolo fa, la musica fu sin dal principio una colonna portante dell’opera cinematografica. Addirittura, ai primi del ‘900, fu proprio la musica a colmare le lacune artistiche e tecnologiche di un “prodotto” che era poco più di un esperimento tecnico di alcuni pionieri. Laddove le tecniche di ripresa, la fotografia, l’illuminazione, la regia, la sceneggiatura e la recitazione stessa erano arti appena nate e quindi immature, almeno nell’ambito cinematografico, la musica offriva un naturale e fondamentale supporto ad opere altrimenti improponibili al grande pubblico. Basti pensare al cinema muto che si presentava necessariamente accompagnato da un pianista per fornire agli spettatori l’unico apporto sonoro possibile in quel tempo.
Se poi, ancora, si pensa ad un regista come Sergej Michajloviè Ejzenštejn, che visse la transizione dal cinema muto a quello sonoro e che fu tra i primi ad utilizzare il montaggio come meccanismo narrativo ed espressivo, è importante osservare ch’egli si avvalse dell’opera di Sergej Prokoviev per “musicare” alcuni suoi film tra cui Alexander Nevskij del 1938 a poco più di una decina d’anni di distanza dai primi film “sonori”. Si tratta quindi di un musicista “assoluto”, Prokoviev, le cui opere sono tutt’oggi apprezzate, vendute ed eseguite, che compose per un cinema a tutti gli effetti giovanissimo e quasi sperimentale.
Tutto questo fu possibile essenzialmente grazie al tipo di fruizione e grazie alla tecnologia che caratterizzavano ed in parte tutt’oggi caratterizzano il cinema. La proiezione cinematografica è sempre stata infatti uno spettacolo collettivo, come il teatro, ambientato in grandi locali in grado di ospitare un pubblico, spesso pagante. Nel ‘900 questo consentiva di ospitare “fisicamente” musicisti ed orchestre, unico modo, all’epoca, per sonorizzare un film. La musica entrava al cinema quindi nella sua forma più pura e potente: l’esecuzione dal vivo.
Successivamente, l’invenzione e la diffusione dei dischi fonografici permise di “risparmiare” sui musicisti introducendo musica preregistrata e talvolta espressamente composta per il film. Il sistema Vitaphone acquisito dalla Warner Bros nel 1926, infine, permise di sincronizzare la riproduzione dei dischi alle sequenze proiettate. Se è vero che la qualità audio dei primi dischi certamente lasciava molto a desiderare, è anche vero che ciò che vi era registrato era l’esecuzione di una vera orchestra e di veri cantanti, quindi di musica perfettamente compiuta.

Le origini (dei limiti) del medium videoludico
Il videogioco non fu altrettanto fortunato. Benché nato più di 70 anni dopo i primi esperimenti dei fratelli Lumière, la sua natura tecnologica ed il tipo di “esperienza” che proponeva al pubblico gli impedirono di poter immediatamente contare sul supporto delle arti grafiche, musicali o narrative che nel frattempo erano maturate anche in ambito cinematografico.
Già nella sua forma più embrionale, il videogame si è sempre rivolto ad uno o poco più giocatori offrendo quindi un’esperienza “personale”, se non domestica, piuttosto che collettiva e non potendo quindi disporre di infrastrutture e mezzi anche solo confrontabili con quelli del cinema. Per esprimere il concetto umoristicamente, i primi videogiochi muti non potevano certamente godere del supporto di un pianista “personale” per sonorizzare l’esperienza di gioco.
Si consideri, inoltre, che per sua natura, il gioco è “interattivo”, ovvero, gli avvenimenti di gioco sono determinati dal giocatore che agisce in un ambiente regolato dai meccanismi creati dal game designer; questo fatto introduce necessariamente una “variabilità” degli eventi possibili contrariamente al cinema il cui narrato viene filmato, montato e presentato “AS IS” agli spettatori. Questo concetto è sempre stato valido ovviamente anche per il videogioco.
Considerato quanto sopra, la tecnologia fu quindi il vero limite che relegò per molto tempo il neonato medium a non essere niente più di uno sfizioso passatempo piuttosto che un’alta espressione di sinergia tra tecnica ed arte come da tempo era il cinema. Tale limite, tra l’altro, non si può considerare del tutto superato nemmeno oggi, alle soglie del 2010, dopo 40 anni di vertiginosa rivoluzione tecnologica.

Sonoro e musica nei videgiochi
Gli anni 70 - La prima generazione

L’”interazione” del giocatore a cui si accennava poc’anzi introdusse la necessità di trovare una soluzione per poter adattare in tempo reale il sonoro del gioco all’evento che si andava verificando sullo schermo. Le tecnologie per l’audio domestico di allora erano essenzialmente il disco fonografico in vinile e, in misura minore, la musicassetta. Evidentemente entrambi i mezzi erano assolutamente inadeguati allo scopo (benché in un caso venne utilizzato un’LP in un cabinato da sala giochi).

La prima console che venne introdotta sul mercato ottenendo successo di vendite fu la Magnavox Odyssey (1972). Macchina in bianco e nero che conteneva alcuni giochi tra cui una sorta di tennis da tavolo, che venne in seguito chiamato Pong, diventando un successo mondiale. L’Odyssey non emetteva alcun tipo di suono così come tutte le sue versioni immediatamente successive (Odyssey 100 e 200 del 1975)... la prima console della storia era quindi una console muta.
Tale fu il successo raggiunto da Pong, una vera e propria Pong-mania, che Atari, competitor di Magnavox, vi dedicò una console, l’Atari Pong appunto. Rispetto all’Odyssey, la macchina Atari introdusse il suono nel gioco sebbene questo consistesse semplicemente in un beep quando un giocatore colpiva la “pallina”.

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Gli anni 70-80 - La seconda generazione
Nel 1976 venne introdotta sul mercato la Fairchild VES (Video Entertaining System), la prima macchina in grado di far uso di “cartucce” esterne contenenti il codice (il gioco) eseguito dal microprocessore interno. La VES inaugurò così la seconda generazione di console, conosciuta anche come “Early 8-bit generation” ovvero la generazione delle prime macchine a 8 bit.
Si tenga ben presente questa definizione, “8 bit”, in quanto pur identificando l’architettura tecnologica di quel periodo (microprocessore, bus dati, memoria etc.), in tempi molto più recenti ha dato il nome a un genere di musica underground, la 8-bit music appunto, che trae le sue origini e la sua ispirazione proprio dal sound offerto da quelle macchine e da quelle della generazione successiva. L’argomento, degno di un approfondimento, verrà trattato in un articolo dedicato.
Se la VES potè considerarsi il primo apparecchio della nuova generazione, la console veramente protagonista di questa seconda fase evolutiva fu invece l’Atari VCS, successivamente rinominato Atari 2600 in stretta competizione con il Mattel Intellivision ed il ColecoVision.

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Queste macchine introdussero finalmente il suono nell’esperienza offerta al giocatore. Oltre agli effetti sonori tipici del gioco, apparve quindi anche una prima più che rudimentale forma di musica per videogiochi. Le possibilità tecniche dell’hardware erano però estremamente limitate. L’Atari 2600 poteva al più generare due suoni contemporaneamente. Si badi bene, con questo non si intende la possibilità di riprodurre i due canali stereo tipici della musica di oggi, possibilità che apparirà parecchi anni dopo. Con “due suoni” si intendono proprio “due note” al massimo in contemporanea, monofoniche, sintetiche, modulabili e programmabili dal game designer. Persino il volume di queste due note poteva assumere solo due valori, “medio” e “massimo”.
I rivali dell’Atari erano più potenti: sia l’Intellivision che il ColecoVision potevano arrivare a riprodurre ben tre note contemporaneamente più un quarto “rumore” (p. es. per esplosioni o percussioni).
Quanto descritto dovrebbe rendere l’idea di quale “musica” potesse essere prodotta da una console della seconda generazione. Si tenga in considerazione inoltre che la musica, essendo creata e calcolata dalla macchina e non riprodotta da una sorgente indipendente, sottraeva potenza di calcolo al gioco stesso. Per questo motivo quasi sempre si limitava a jingle di pochissimi secondi introduttivi (“Ready!”), conclusivi (nel momento del famigerato “Game Over”) o tra un livello e l’altro.
Naturalmente, i “compositori” di queste semplici melodie erano gli stessi programmatori dei giochi, quindi professionisti molto preparati dal punto di vista tecnico (e nemmeno sempre...) ma privi di una qualsiasi formazione artistico-musicale accademica.
Le limitazioni tecnologiche delle console di 2° generazione non si limitavano ovviamente al comparto sonoro ma anche alla grafica ed in genere a “concept” e gameplay del gioco. Tra i più grandi successi dell’epoca si possono ricordare Pac Man, i celeberrimi Asteroids, Space Invaders e Breakout! (il famoso muro di mattoni da demolire con una pallina), tutti giochi, giocati ancora oggi, che diventarono un fenomeno di costume lasciando definitivamente il segno nella cultura popolare. Tali giochi però non erano altro che un passatempo privo di vero spessore, costituiti da pochi colori sullo schermo senza alcuna ambizione (ne’ possibilità) di realismo visivo ne’ tantomeno narrativo.

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Conclusioni prima parte
Riprendendo il tema introdotto nella premessa, da quanto esposto si evidenzia quanto inconfrontabile sia la genesi del medium videoludico rispetto a quella del cinema. Volendo approssimare in poche parole il concetto, il cinema è già nato come una nuova forma d’arte. La tecnologia è stata solamente un nuovo strumento messo a disposizione degli artisti dai tecnici che ne hanno poi curato in sinergia lo sviluppo nel tempo.
Il videogioco invece è nato quasi esclusivamente come prodotto tecnologico. Gli artisti sono stati chiamati in causa in un secondo tempo per dare valore aggiunto alla tecnologia che per anni è stata in effetti in grado di farne a meno.
Nella prossima parte vedremo come continuò l’evoluzione tecnologia del medium e quali strumenti mise a disposizione dei game designer i quali, poco a poco, iniziarono a percepire l’esigenza di esprimere creatività non solo tramite la stesura di codici di programmazione ma anche tramite grafica, storia e... musica.

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