Storia dell'evoluzione della musica nei videogiochi - Parte seconda

Storia dell’evoluzione della musica nei videgiochi
PARTE SECONDA

Introduzione
Nella prima parte di questo dossier abbiamo avuto modo di osservare come la “storia” dei videogiochi sia per molti aspetti inconfrontabile con quella del cinema. Prodotto puramente tecnologico e dalle possibilità estremamente limitate, alla sua nascita il videogioco non ha trovato nelle arti un supporto che lo “nobilitasse” agli occhi di critica e grande pubblico. Per questo stesso motivo, la musica dei primi videogiochi non era niente di più che un “prodotto accessorio” ad opera degli stessi programmatori, priva quindi del benché minimo contenuto artistico o anche solo tecnico.La nostra analisi si era fermata alla fine della seconda generazione di console, ovvero di macchine da gioco domestiche, la cui massima rappresentante fu la mitica ATARI 2600, primo prodotto della neonata industria ad ottenere un significativo successo di mercato.
La stessa Atari 2600 fu però indiretta causa e protagonista di un evento disastroso per l’intera industria video ludica statunitense: nel 1983 il mercato dei videogiochi letteralmente “implose” portando alla bancarotta molte compagnie del settore in una crisi che, con le dovute proporzioni e limitatamente al mercato specifico, fu confrontata per gravità al crollo della borsa del 1929. Benché evento non direttamente correlato allo sviluppo musicale ed in generale artistico del prodotto, merita raccontare brevemente cosa accadde e perchè dal momento che da quella crisi, dalle ceneri delle compagnie fallite e dall’esperienza maturata nella crisi, il mercato videoludico delle consoles rinacque dominato da nuovi attori e con nuove regole in grado di portare l’intera industria al definitivo successo mondiale di cui ancora oggi siamo spettatori.

La grande crisi del 1983
Nel 1983 l’Atari 2600 era sul mercato da circa sei anni, periodo che, considerata la velocissima evoluzione delle tecnologie, può considerarsi un’eternità. Gallina dalle uova d’oro, il mercato del videogioco fu letteralmente invaso da macchine dalle prestazioni simili o poco superiori al 2600 ma comunque incapaci di portare vera innovazione nel settore. In parole semplici, nel 1983 il prodotto disponibile era “vecchio” e l’industria non era ancora in grado di introdurre una nuova generazione di macchine.
In quella situazione di stasi commerciale, vennero introdotti gli “Home Computers”, ovvero i primi computers in grado di essere acquistati a prezzi ragionevoli dal grande pubblico ed in grado di offrire un’interazione con l’utente più profonda del semplice videogioco. Tutti ricorderanno il Commodore VIC-20 o il successivo, famosissimo Commodore 64. Sicuramente macchine da gioco di successo ma che, per esempio, potevano essere programmate in BASIC dall’utente che quindi aveva modo di avvicinarsi a concetti nuovi e sicuramente più istruttivi di un semplice “giochino”. Per capirci, queste macchine vennero lanciate sul mercato con lo slogan “Why Buy Just a Video Game?” e su questa base rubarono una consistente fetta di mercato alle console. Approfondiremo comunque l’argomento “home computer” nel seguito di questo dossier in quanto alcuni modelli furono realmente fondamentali per lo sviluppo della musica videoludica.
Il fenomeno che però più gravemente portò al disastro fu il mancato controllo da parte dei produttori di Hardware, ATARI in primis, sui giochi prodotti per le loro macchine. Atari infatti, per ingenuità tecnologiche e legali, non aveva possibilità alcuna di controllare la qualità di ciò che poteva essere prodotto e venduto per la sua console. Immediatamente a valle del boom, tutti iniziarono così a programmare giochi. Nacquero molte piccole compagnie di sviluppo che si buttarono nel mercato spesso senza la necessaria preparazione tecnica o la necessaria professionalità. Il risultato fu che i negozi vennero letteralmente inondati di titoli di pessima qualità. Questo naturalmente implicò che il grande pubblico, confuso ed incapace di distinguere il prodotto valido nel mucchio, perse ogni tipo di interesse verso il “videogioco”, assolutamente non disposto a spendere nemmeno pochi dollari per prodotti ingiocabili. I negozianti, a ruota, persero fiducia verso il settore merceologico cessando ogni tipo di promozione.
Il risultato fu una quantità incredibile di materiale invenduto (si narra di TIR di cartucce per Atari sepolte nei deserti americani per essere smaltite!), il fallimento delle piccole compagnie, meritevoli o meno, ed il ritiro dal mercato delle più grandi (Magnavox, Coleco, Mattel...). Per la stessa Atari iniziò un inesorabile declino che la portò lentamente in una decina d’anni a ritirarsi dal mercato dell’hardware per diventare esclusivamente produttrice di software per le piattaforme di successo altrui.

La terza generazione
Ci fu però chi riuscì a farsi coinvolgere solo marginalmente dalla crisi, facendo anzi tesoro degli errori altrui. Nel 1985 Nintendo lanciò sul mercato statunitense una macchina nuova e per alcuni aspetti piuttosto rivoluzionaria: il Nintendo Entertainment System o NES (in realtà lanciato in Giappone due anni prima con il nome Famicom).

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Il NES, insieme con il Master System di Sega (1986) ed, in misura minore, con l’Atari 7800 portò a piena maturazione la tecnologia a 8 bit su cui già si basavano le macchine degli anni precedenti. Per questo motivo questa terza generazione è quella che viene considerata come la vera “8-bit generation” nonché la prima ad avere un successo misurabile su scala mondiale.

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Per raggiungere il successo di vendite sperato Nintendo dovette vincere le ritrosie di un mercato e di un pubblico, quello americano, che si era fatto ostile nei confronti del prodotto videoludico. Per non incorrere negli errori di Atari, il NES per prima cosa fu dotato di un meccanismo per impedire l’avvio di giochi non autorizzati prodotti da compagnie che non avessero superato il severissimo controllo qualità imposto. Questo garantì a Nintendo una line-up di giochi validi che poco alla volta riconquistarono la fiducia del consumatore americano pur, decisamente, limitando la libertà d’espressione di programmatori e game designer. La logica del controllo introdotta da Nintendo divenne peraltro un requisito imprescindibile per tutte le generazioni successive di console di qualunque produttore fino alle macchine più recenti come Playstation 3 e XBOX 360.

In pochi mesi Nintendo e SEGA riuscirono a spartirsi il mercato mondiale in una sana competizione che vide Nintendo prevalere in USA e Giappone e SEGA vincere in Europa ed Australia. Finalmente, l’hardware, significativamente più potente del vecchio Atari 2600, consentiva ai game designer di esprimersi più liberamente. Aumentò la risoluzione dell’immagine, il numero di colori a video e la potenza di calcolo per poter animare e gestire il tutto; il videogioco cominciò ad offrire al giocatore un’interazione più profonda nonché, in alcuni titoli, persino una narrazione ed una trama da disvelarsi giocando (p. es. Final Fantasy per NES). Il medium inoltre cominciò a definire ed identificare una varietà di generi differenti (platform, giochi di ruolo, giochi di guida, avventure…) in grado di attrarre differenti fasce di pubblico e valida ancora oggi.
Su queste basi, Nintendo e Sega con le loro macchine di terza generazione riuscirono a lanciare alcuni degli IP più famosi e di più successo del mondo dei videogiochi, brand, titoli e personaggi che ancora oggi vengono giocati nelle loro incarnazioni tecnologicamente più evolute dell’ultima generazione. Stiamo parlando di titoli come Final Fantasy, Super Mario Bros, The Legend of Zelda, Castlevania (per Nintendo) e come, per esempio, Sonic the Hedgehog o Alex Kidd (per Sega).

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Naturalmente, e ho tenuto per ultimo l’argomento più “succoso”, anche dal punto di vista del sonoro, le macchine di terza generazione compirono un significativo passo in avanti. Il NES innanzitutto sviluppò la tecnologia della generazione precedente potenziandola e migliorandola: maggiore polifonia (ovvero maggior numero di note suonabili contemporaneamente), maggiore estensione e maggiori possibilità sia timbriche che in termini di modulazione della nota in altezza ed in intensità.
Nintendo però compì un ulteriore passo tecnologico fondamentale ed innovativo: introdusse nel NES la possibilità di riprodurre suoni campionati cioè registrati dal “vero”, digitalizzati e riprodotti elettronicamente (la stessa tecnologia su cui si basa il Compact Disc che proprio in quegli anni veniva sviluppato ed introdotto sul mercato).
La qualità dell’audio campionato offerta dalla console non era comunque ancora adeguata a supportare tutto il comparto sonoro del gioco limitandosi quindi a qualche dialogo o a qualche effetto e delegando quasi sempre la parte musicale alle tecnologie tradizionali. Del resto il NES utilizzava per i giochi cartucce, non disponeva di una grande quantità di memoria e nemmeno di potenza di calcolo sufficiente a riprodurre musica campionata di qualità. Ciononostante, l’introduzione della tecnologia audio digitale su una console domestica fu davvero una rivoluzione che avrebbe indicato la strada da seguire per il futuro per tutti i produttori.
Un’ulteriore innovazione introdotta da Nintendo, limitatamente però al mercato giapponese, fu quella di aggiungere un nuovo chip sonoro basato sulla stessa tecnologia dei moderni sintetizzatori (la sintesi FM), tecnologia che permette ai programmatori ed ai musicisti di “inventarsi” suoni sintetici programmando la forma d’onda specifica. Pochi giochi, comunque, sfruttarono questa possibilità.

Sega con il suo Master System non rimase indietro. Esattamente come Nintendo potenziò la tecnologia tradizionale e, come Nintendo, aggiunse alla re-release giapponese del 1987 della console un chip di sintesi FM in questo caso progettato e prodotto addirittura da Yamaha, che sappiamo essere ancora oggi una delle aziende leader nella produzione di strumenti musicali elettronici.

Quanto descritto evidenzia chiaramente come “l’obiettivo qualità” perseguito nelle macchine da gioco di terza generazione non trascurò alcun aspetto tecnologico curando attentamente ogni dettaglio dell’esperienza di gioco tra cui, quindi, anche il suono e la musica. Tutto questo ebbe ovviamente una forte ricaduta sulle figure professionali che iniziarono a ruotare intorno all’industria video ludica. Se è vero che Nintendo e Sega furono in grado di produrre Hardware di qualità, è altrettanto vero che le Software House dovettero evolvere ad un livello di professionalità prima sconosciuto. Cominciò a tramontare la figura del singolo programmatore in grado di scrivere codice, musica, disegnare la grafica e fare da solo il 100% del lavoro. Le aziende produttrici di giochi iniziarono a dotarsi di “team” composti da specialisti con compiti differenziati e precisi… programmatori, designer, grafici, addetti al marketing, musicisti e registi con il compito di mantenere una visione “trasversale” e complessiva del prodotto che il team stava realizzando.

La musica e la figura del compositore
Dal punto di vista dell’evoluzione musicale, la terza generazione di consoles (insieme agli Home Computer di cui ci occuperemo nella terza parte del dossier) rappresentò quindi una vera rivoluzione, in particolar modo per quanto riguarda l’approccio che l’industria videoludica iniziò ad adottare verso questa componente del medium. Si può infatti tranquillamente affermare che durante le generazioni successive, dalla IV a 16 bit fino ai giorni nostri, l’industria si è limitata a evolversi dal punto di vista tecnologico continuando però a seguire la direzione indicata da Nintendo e Sega negli anni 80.
In altre parole, tecnicamente le possibilità musicali del NES e del Master System non erano “straordinariamente” superiori al buon vecchio Atari. “Straordinariamente” superiore era invece l’attenzione che l’industria pose sulla qualità del medium, in toto e quindi anche dal punto di vista musicale.
A questo proposito, ho citato poc’anzi il fatto che sia nel caso del NES che nel caso del Master System, i produttori di giochi (giapponesi, in questo caso) percepirono addirittura un limite nelle possibilità tecnico-musicali dell’hardware che avevano a disposizione introducendo, a loro spese, il famoso chip sintetizzatore aggiuntivo. Incredibilmente quindi le esigenze creative di registi e game designer lamentarono per la prima volta l’inadeguatezza tecnologica delle piattaforme per cui sviluppavano: la tecnologia stava quindi finalmente diventando “strumento” di espressione della creatività anziché  considerare la musica come “accessorio” non indispensabile dell’esperienza di gioco.

Abbiamo accennato al fatto che le software house si dotarono di team composti da specialisti addetti ciascuno alla cura e allo sviluppo di singole componenti del gioco. Questo implicò che, finalmente, la musica dei videogames era scritta da musicisti “veri”. Inevitabilmente, la qualità delle composizioni crebbe significativamente e fu in quel periodo che iniziarono ad affacciarsi sulla scena nomi di musicisti che fecero la storia della musica videoludica. E’ comunque bene notare che la figura del “video game music specialist” presentava all’epoca caratteristiche peculiari che ben lo distinguevano dai grandi compositori “assoluti” o dedicati al cinema:

• Prima di tutto, il polo economico, produttivo e creativo dell’industria videoludica negli anni 80 si era spostato verso il Giappone e di conseguenza la grossa maggioranza dei compositori proveniva dal Paese del Sol Levante. Fu semmai con il successo degli Home Computer, mercato capitanato dall’americana Commodore, che emerse qualche compositore occidentale. Ad ogni modo, come vedremo, è solo in tempi recenti che il baricentro dell’industria creativa videoludica si è riequilibrato tra occidente ed oriente arrivando ad offrire oggi un’interessante varietà di approcci culturali sia nel game designing che nella produzione musicale.
• In secondo luogo, i musicisti erano di regola assunti e quindi impiegati dipendenti di Nintendo, Sega o, in generale, delle Software House. Non esisteva quindi, in ambito videoludico, la figura del free-lance, del grande artista chiamato a collaborare per uno specifico prodotto, figura peraltro rara ancora oggi.
• Infine, ma non meno importante, la formazione musicale degli artisti per videogames era raramente accademica. La quasi totalità dei musicisti si era avvicinato alla musica per passione sviluppando tecnica ed arte da autodidatta o con preparazione classica ma “privata”. Pochi quindi completarono la propria formazione artistica presso istituti, conservatori o college “ufficiali” e ciononostante alcuni riuscirono a raggiungere comunque vette di eccellenza davvero singolari. L’occidente, in compenso, non si era ancora liberato completamente del retaggio della seconda generazione. Molti musicisti occidentali erano in realtà entrati nel business da programmatori e solo per predisposizione ed interesse personali si erano dedicati agli aspetti sonori e musicali del prodotto.

Gli artisti della terza generazione
Tra i nomi più importanti apparsi sulla scena all’epoca non si può non citare Nobuo Uematsu che rappresenta perfettamente la figura del compositore orientale descritta poc’anzi. Nato a Kochi in Giappone nel 1959, studiò musica da autodidatta per passione ed iniziò a comporre per spot televisivi prima di entrare in Square (oggi Square Enix) e cimentarsi con la musica per videogames. La carriera di Uematsu è indissolubilmente legata alla saga di Final Fantasy che, iniziata ai tempi del NES, dopo una moltitudine di episodi che hanno raggiunto tutte le epoche e tutte le piattaforme, non si è ancora conclusa. Le colonne sonore di Uematsu hanno raggiunto, specialmente in Giappone, un successo di vendite incredibile e ancora oggi Nobuo dirige le proprie composizioni in concerti organizzati in tutto il mondo.

Musicista dalla preparazione più classica è invece Koji Kondo autore delle musiche per la serie di Super Mario e Zelda. Le sue composizioni evidenziano la differente formazione di Kondo la cui scrittura è intrisa della tradizione musicale orientale in netto contrasto con la musica di Uematsu dal sound spiccatamente occidentale. Tra gli altri apprezzabili artisti giapponesi che si sono fatti notare negli anni 80 si possono citare ancora Koichi Sugiyama (Dragon Quest), Hirokazu Tanaka (Donkey Kong, Metroid) e Yuzo Koshiro (Sonic The Hedgehog).

Osservando la scena occidentale, merita menzione Martin Galway: figlio del noto flautista classico Sir James Galway, Martin si avvicina al mondo dei videogiochi da programmatore sebbene la musica sia da sempre la sua passione. Seguendo questa naturale predisposizione in poco tempo diventa responsabile del sound dei giochi di cui si occupa, sia per quanto riguarda gli effetti sonori che i temi musicali. Si possono infine ancora ricordare Matt Furniss, prolifico compositore autore di decine di score per videogames e David Wise, musicista “impiegato” in Rare (software house inglese) ed autore legatissimo a Nintendo per la quale ha firmato le colonne sonore di molti giochi proprio per il NES e per il Gameboy.

Conclusioni
Benché la “terza generazione” di console abbia rappresentato una vera e significativa evoluzione nel modo di intendere il medium videoludico, siamo ancora lontani dalle possibilità del cinema. Il videogame iniziò però in quegli anni a prendere seriamente “coscienza di sè”, dei propri obiettivi e delle proprie possibilità quasi come un cavallo scalpitante in attesa che la tecnologia gli spalanchi la possibilità di esprimersi appieno. Negli anni del NES e del Master System la musica resta decisamente ancora limitata espressivamente dall’hardware che la genera e quindi dallo strumento. Il musicista però ha finalmente la cultura adeguata e la volontà di arricchire con la propria opera l’esperienza videoludica del giocatore in sinergia con i “colleghi” grafici, programmatori e designers con un approccio allo sviluppo del medium che diventa in questo modo poco alla volta simile a quello del cinema.
Nel seguito del dossier avremo modo di vedere come la rivoluzione avviata negli anni 80, continuò negli anni successivi su base strettamente tecnologica arricchendo ogni giorno la “tavolozza dei colori” dei produttori di videogiochi e degli artisti coinvolti nella creazione del nuovo medium.

La storia della rivoluzione della terza generazione sarebbe però incompleta se non facessimo cenno alla nascita e al declino del mercato degli Home Computer che, nati contestualmente alle macchine della seconda generazione, contesero il mercato alle console fino ai primi anni 90. Di queste macchine e del loro contributo alla musica per videogames ci occuperemo nella prossima parte del dossier.

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