Storia dell’evoluzione della musica nei videgiochi - Parte terza

Storia dell’evoluzione della musica nei videgiochi
PARTE TERZA


Introduzione
In conclusione della seconda parte di questo dossier abbiamo accennato al fatto che una storia della musica nei videogiochi non sarebbe completa se non si raccontasse ascesa e declino (commerciale) di quelli che furono gli home computers. Nel seguito verrà quindi brevemente raccontata la genesi di questo tipo di macchine e verranno presentati alcuni modelli della prima generazione a 8 bit che, sia per l’enorme successo di mercato sia per alcune caratteristiche tecnologiche, hanno avuto un significato particolare nell’ambito che più interessa i lettori di Colonne Sonore, ovvero, la musica applicata al gioco. In una prossima parte del dossier verrà poi raccontata l’evoluzione a 16 bit ed, infine, il declino.

Gli Home Computers – Le origini
Negli anni ‘70 gli “elaboratori elettronici” erano oggetti tecnologici costosissimi il cui utilizzo era riservato alle università, ai laboratori di ricerca o agli studi di ingegneria con maggiori possibilità. Il costo di questi strumenti era decisamente proibitivo per un privato ed anche la loro interfaccia era tutt’altro che user friendly, accessibile primariamente a specialisti come programmatori, sistemisti e ricercatori. Il PC domestico come lo intendiamo oggi era quindi ben lungi dall’apparire sul mercato.
L’evoluzione tecnologica nel frattempo stava portando alla nascita di un nuovo mercato, quello che oggi viene chiamato “consumer electronics”, ovvero, il mercato dell’elettronica applicata a prodotti di largo consumo: come abbiamo visto, verso la fine degli anni ‘70 una forma di “elettronica domestica” fu proprio rappresentata dalle prime console per videogiochi che si andavano diffondendo massivamente. Abbiamo anche già avuto modo di osservare come queste macchine fossero espressamente ed esclusivamente dedicate al gioco ottenendo in questo modo di essere considerate dai detrattori degli inutili e spesso alienanti passatempo (fama di cui in parte ancora oggi “godono” i videogiochi, purtroppo).
Questo dualismo del mercato, costituito dall’avere su un fronte i costosissimi elaboratori professionali e sull’altro le “becere” console per videogiochi, nel 1977 suggerì ad alcune compagnie americane di provare a progettare, proporre e lanciare in commercio un “oggetto diverso” che potesse ottenere i favori del pubblico offrendo features innovative.
Mantenendo una tecnologia a basso costo confrontabile con quella utilizzata nelle console, venne in questo modo concepito un “computer per tutti”, un prodotto dal costo abbordabile, dotato di tastiera simile a quella degli elaboratori professionali, di un dispositivo per salvare informazioni personali su supporti esterni e soprattutto in grado di essere “programmato” dall’utente finale.
In pratica, questo prodotto della consumer electronics dei tardi anni ’70 portò il concetto di “elaboratore elettronico” nelle case di tutti proponendo al consumatore l’”Home Computer”.

Nel 1977 vennero quindi introdotti in commercio i primi esemplari; tra i più famosi, l’Apple II (in realtà preceduto da un semi-prototipale Apple I) ed il Commodore PET. Apple e Commodore, americane entrambe, divennero protagoniste del mercato dell’informatica domestica e, mentre la seconda chiuse i battenti una decina d’anni dopo a seguito della concorrenza della stessa Apple e dei PC IBM compatibili, la prima ancora oggi si pone molto aggressivamente sul mercato dell’elettronica di consumo.

Non è probabilmente interesse dei lettori di Colonne Sonore ripercorrere nei dettagli la storia della tecnologia degli home computers così come non è questa la sede nemmeno per analizzare l’utilizzo che di questi prodotti si fece, comunque per breve tempo, in ambito professionale ed al di fuori delle mura domestiche. L’obiettivo del nostro articolo è come sempre scoprire quale contributo questo mercato diede alla musica dei videogiochi ed, in generale, alla musica elettronica.
E’ possibile quindi evitare una noiosa trattazione storico-tecnologica semplicemente osservando che gli home computers, introdotti nel 1977 e “scomparsi” approssimativamente alla fine degli anni ‘80, ebbero vita “parallela” alle console di seconda, terza e quarta generazione (generazione, quest’ultima che andremo a “raccontare” nella prossima parte del dossier). Come accennato, infatti, questi nuovi “elaboratori domestici” furono un prodotto diverso ma basato sulla stessa tecnologia che caratterizzava le console e per questo motivo furono contraddistinti da limitazioni simili e, almeno per una decina d’anni, da una affine evoluzione.

Ecco quindi che i primi home computers, a 8 bit come le prime console, furono come quest’ultime limitatissimi dal punto di vista di grafica e sonoro: l’Apple I (1976) era completamente muto, il già citato Commodore PET poteva emettere solo qualche desolante beep mentre i primi Apple II, sprovvisti di qualsivoglia circuiteria di sintesi sonora, potevano generare solo dei “tic” che, con vari accorgimenti, i programmatori “modulavano” nel tentativo di emettere note o voci.
Per questo motivo, il lettore che volesse farsi un’idea delle generazioni tecnologiche che nel corso degli anni caratterizzarono lo sviluppo degli Home Computers, in particolar modo dal punto di vista delle possibilità sonore e videoludiche, può, in prima approssimazione, fare riferimento alla storia dell’evoluzione delle console.
Nel seguito andrò quindi a presentare solo quei modelli che apportarono un contributo importante sia al mercato del videogioco che, conseguentemente, alla musica videoludica ed, in generale, alla musica elettronica “fatta in casa”.

La generazione a 8-bit – I primi esemplari
Tra le cause del crash del mercato delle console di 2° generazione citato nella seconda parte del dossier, avevamo accennato proprio all’avvento degli home computers che, con lo slogan “Why Buy Only a Game?” ambivano a proporsi come prodotti più “seri”, più “istruttivi” e meno alienanti.
Queste macchine indubbiamente offrivano qualcosa in più di un semplice videogioco. Tutte offrivano, per esempio, un interprete BASIC (un semplice linguaggio di programmazione per principianti inventato nel 1964) direttamente “Out of the Box” permettendo all’acquirente di avvicinarsi per la prima volta ai concetti della “programmazione di un elaboratore digitale” in modo amichevole, semplice e, soprattutto, approcciabile direttamente nel salotto di casa o nella camera dei ragazzi. Inoltre, per queste macchine venivano talvolta prodotte semplici applicazioni quali elementari elaboratori di testi o limitatissimi data-base che ne permettevano un utilizzo più “maturo” (almeno dal punto di vista di coloro che consideravano il concetto di “gioco” come “immaturo”).
Se però il “Core Use” dell’home computer fosse stato esclusivamente lo studio del BASIC o l’archiviazione delle ricette di cucina, le console non avrebbero avuto nulla da temere. Nella realtà invece l’aspetto istruttivo di questi prodotti, così efficacemente pubblicizzato, fu il Cavallo di Troia per convincere all’acquisto i genitori o, in generale, il consumatore dubbioso e maldisposto verso “gli inutili giochini elettronici”. In brevissimo tempo, infatti, alcuni di questi home computers, a prescindere da tutti i seriosi “plus” offerti, divennero leggendarie macchine da gioco ancora oggi oggetto di culto e collezionismo, entrando in diretta e feroce concorrenza proprio con le disprezzate console.

Apple e Commodore esordirono quindi sul mercato nel 1977 insieme alla meno nota (in Italia) Tandy con il suo Radio Shack 80 basato sul microprocessore Zilog Z80. Solo due anni dopo, nel 1979, altre due aziende statunitensi entrarono nel business degli H.C.: la Texas Instruments con il TI-99/4 e la Atari con la serie 400 ed 800.
E’  importante notare come Atari stessa, cioè la compagnia “campione di incassi” nel mercato delle console con il noto Atari 2600 (seconda generazione), entrò nel business dei computer domestici intuendone il potenziale e soprattutto comprendendo che le console, da sole, non sarebbero state in grado di soddisfare le esigenze sempre crescenti dei consumatori americani.
Peraltro proprio gli Atari 400 ed 800 erano, al momento della loro introduzione, i prodotti tecnologicamente più avanzati tra i loro concorrenti: per quanto riguarda le capacità sonore e musicali, Atari progettò ed inserì nelle macchine un chip dedicato in grado di riprodurre ben... 4 voci (quindi, come anticipato, assolutamente allineato agli standard delle console degli stessi anni).
Molti dei giochi prodotti per l’Atari 2600 furono “portati” anche sulle serie 400, 800 e seguenti che si ritrovarono quindi in breve tempo ad avere a disposizione una line-up di software assolutamente interessante.

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La generazione a 8-bit – Commodore e la svolta commerciale
Nel 1980, mentre Apple decideva di non entrare nella mischia dei videogiochi producendo macchine general purpose e realmente rivolte all’utenza SOHO (Small Office – Home Office), Commodore International lanciò sul mercato una macchina più economica del PET e che fu la prima a vendere più di un milione di esemplari: il VIC-20.

Dotato di 5KB di memoria e di un 6502 a 1 Mhz come CPU, il VIC-20 centrò ogni obiettivo di mercato che Commodore si era proposta. Poco dopo la sua comparsa nei negozi, circa 900 titoli erano già disponibili a supporto la maggior parte dei quali erano, naturalmente, giochi. Questo elemento comunque non deve trarre in inganno in quanto il VIC ebbe un discreto successo anche in ambito non-ludico; esso fu utilizzato pure con software educativo, fogli elettronici ed applicazioni professionali ma soprattutto fu palestra per molti programmatori in erba, alcuni dei quali ottennero nel seguito fama mondiale.

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Dal punto di vista sonoro il VIC era in grado di emettere tre voci ad onda quadra in grado di coprire circa 5 ottave oltre a rumore bianco tramite un quarto generatore dedicato. Aveva quindi le stesse identiche possibilità, se il lettore ricorda la prima parte di questo dossier, dell’IntelliVision o del Coleco Vision, console di seconda generazione.
Benchè importante nell’universo degli home computers, in realtà il VIC-20 non apportò alla produzione musicale videoludica nessun contributo innovativo o differente da quanto già proponeva il mercato delle console. Inoltre, coerentemente con l’approccio al medium che l’industria teneva in quegli anni, i compositori erano quasi sempre gli stessi programmatori dei giochi che dovevano peraltro confrontarsi con una tecnologia ancora limitata e limitante. Il VIC assume invece un ruolo fondamentale se lo si considera come la macchina che indicò a Commodore la direzione da seguire per annunciare solo due anni dopo, nel 1982, il suo successore: il mitico Commodore 64.

Quando nell’introduzione al presente articolo scrissi che “la storia della musica nei videogiochi non sarebbe completa se non si citassero gli home computers” avevo principalmente in mente proprio il Commodore 64 che merita quindi una trattazione approfondita.

Il Commodore 64
Introdotto nel 1982 il C=64 fu un successo di dimensioni incredibili. Vendendo almeno 3 milioni di unità all’anno, nel suo ciclo di vita raggiunse circa i 20 milioni di unità vendute stabilendo un record ancora oggi imbattuto. Motivi del successo furono il basso costo della macchina, le aggressive politiche commerciali di Commodore Electronics (che negli USA arrivò ad offrire un incentivo di 100$ per il ritiro di qualunque usato), le prestazioni eccezionali per l’epoca e, non ultimo, la famosa crisi del mercato delle console del 1983 di cui addirittura il C=64 viene ritenuto uno dei principali responsabili. Per quanto riguarda le prestazioni, al lancio non esisteva macchina di costo confrontabile in grado di minacciare il successo del neonato successore del VIC-20; anche i competitor più validi furono comunque sbaragliati dalla politica di mercato molto aggressiva di Commodore che tra l’altro costrinse Texas Instruments addirittura a ritirarsi dal mercato degli Home Computer. Solamente in Europa il C=64 fu costretto a dividersi il mercato con lo ZX Spectrum di Sinclair che, prodotto in Gran Bretagna, costava la meta’.

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Architetturalmente, la macchina faceva uso di un microprocessore ad 8-bit derivato direttamente dal 6502 del VIC-20, il 6510 che poteva contare su “ben” 64 KB di memoria RAM per eseguire i programmi. La qualità dei giochi poteva tranquillamente competere con le console di terza generazione soprattutto grazie al chip grafico dalle caratteristiche piuttosto avanzate per l’epoca (16 colori a schermo, animazioni, scrolling...). Il C64 fu però rivoluzionario -nel senso letterale del termine- in quella componente che più interessa i lettori di Colonne Sonore e per la quale ha meritato questo spazio nel dossier sulla musica videoludica, cioè il comparto sonoro e musicale.
La macchina Commodore era dotata di un chip progettato ad hoc dedicato alla generazione del suono, il SID (Sound Interface Device) dalle caratteristiche davvero uniche, sia in termini di versatilità e semplicità di programmazione, sia in termini di qualità del suono generato. Fondamentalmente poteva generare solo tre voci contemporaneamente ma ciascuna voce, oltre ad avere un’estensione di ben 8 ottave, era completamente programmabile in termini di forma d’onda, filtri e controlli ADSR (Attack/Decay – Sustain/Release), termini ben noti agli artisti di musica elettronica di ogni epoca. Un quarto canale era poi in grado di riprodurre, sebbene in bassa qualità, campioni di suoni registrati (monofonici a 4 bit mentre, per capirci, i CD player odierni riproducono campioni stereo a 16 bit). Il progettista del SID, Robert Yannes, affermo’: “I chip audio sul mercato, inclusi quelli di Atari, sono primitivi ed ovviamente sono stati progettati da persone che non sanno nulla di Musica”.

Ho parlato di “rivoluzione” senza esagerare: per comprendere la portata del contributo che il SID diede alla musica videoludica ed in generale alla musica di sintesi, si consideri che alcuni famosi musicisti iniziarono la loro carriera di “compositori di musica elettronica” programmando proprio il SID. Addirittura un genere musicale prese il nome dal chip Commodore, la “SID Music”, di cui ancora oggi si possono reperire in commercio CD; si tratta naturalmente di musica elettronica completamente generata da uno o più SID opportunamente programmati dal musicista. A questo scopo, e’ stato persino realizzato un sintetizzatore professionale avente come cuore di sintesi sonora proprio il chip del C=64, ovvero l’Elektron SidStation utilizzato ancora in alcune produzioni musicali attuali; infine esistono in commercio schede audio per i moderni PC che fanno uso dell’ormai mitico (e ricercato) chip musicale.

Nell’ambito delle applicazioni videoludiche, il C=64 poteva disporre di un catalogo di migliaia di titoli che riuscivano a coprire i gusti di un pubblico vastissimo soddisfacendo le aspettative più disparate. Benchè, proprio a causa dell’immensa line-up di software, sia molto difficile identificare dei titoli particolarmente significativi, si possono ricordare tra i più famosi, e solo a titolo di esempio, Maniac Mansion, M.U.L.E., IK+ (International Karate Plus) o Pirates! tanto giocati quanto differenti per genere e target di pubblico.





Naturalmente l’hardware del 64 offrì a produttori, programmatori e musicisti ottime possibilità di dotare il prodotto videoludico di colonne sonore musicali di qualità. Commodore era americana, di conseguenza la quasi totalità di compositori che si cimentarono nella composizione di musica per il SID era di origine occidentale. Se il lettore rammenta la descrizione della figura del “musicista per videogiochi” fatta nella parte precedente di questo dossier, ricorderà che per la maggior parte i compositori avevano prima di tutto una formazione tecnica piuttosto che artistica e musicale. Ciò non toglie che in alcuni casi, come per esempio per Rob Hubbard, il percorso fu inverso: professionisti della musica decisero di “imparare” a programmare il Commodore 64 per poter sfruttare le potenzialità del SID e realizzare Colonne Sonore di Videogiochi.
A prescindere dall’iter formativo seguito, alcuni nomi come Martin Galway, il succitato Rob Hubbard, Jeroen Tel, Tim Follin, David Whittaker o Chris Huelsbeck (parte dei quali già citati nell’articolo sulle console di III generazione) si guadagnarono una carriera di tutto rispetto nella musica elettronica e nelle soundtracks per videogiochi. In alcuni casi, alcune loro colonne sonore vennero pubblicate su CD molti anni dopo l’obsolescenza del C=64 stesso (p. es. “To Be on Top” di Huelsbeck)

A questo proposito, è impossibile non citare un originalissimo e coraggioso progetto avviatosi da qualche anno nei Paesi Bassi per iniziativa e merito di un gruppo di musicisti classici di formazione accademica: la “C64 Orchestra”. Tale ensemble, attualmente composto da undici strumentisti e diretto da tale Bas Wiegers, è specializzato nell’arrangiare per orchestra classica brani originalmente composti per il C=64 attingendo primariamente al repertorio di Rob Hubbard e di Jeroen Tel. L’orchestra, che si esibisce regolarmente in concerti dal vivo, ha recentemente pubblicato un doppio CD.



La Demo Scene
Il Commodore 64, grazie alle sue potenzialità grafiche e sonore, divenne protagonista di un “movimento” artistico nell’ambito della computer art nato pochi anni prima con i primi home computers: la “demo-scene”. Negli anni ’80, personaggi a metà strada tra geniali programmatori ed artisti ispirati iniziarono a produrre “demo”, cioè programmi non interattivi senza alcun scopo se non quello di riprodurre musica e video composti e creati dall’artista. Si trattava di veri e propri quadri musicali basati in toto sull’hardware del piccolo Commodore dal quale questi programmatori sapevano ottenere prestazioni mirabolanti anche se confrontate con le grandi produzioni dell’industria videoludica. Questa popolazione di artisti alternativi era peraltro solita riunirsi in “demo-party” a cui partecipavano giovani che giungevano da tutto il mondo, ed in particolar modo dal nord europa, per confrontare le loro realizzazioni, scambiarsi consigli e partecipare a concorsi dove eleggere il più bravo “demo artist” dell’anno. Tra l’altro, quasi sempre l’artista era anche un hacker, ovvero, un “pirata” del software dedito per filosofia e non per lucro ad eliminare le protezioni anti-copia dei giochi applicando modifiche software o “crack”. L’hacker era quindi solito inserire all’avvio del gioco sprotetto una “demo” di sua produzione, chiamata quindi anche “crack intro” o “cracktro”, che diventava così la sigla iniziale e la sua firma personale.
Per avere un’idea dell’incredibile successo delle demo su C=64, è sufficiente che il lettore svolga una ricerca in rete scoprendo come ancora oggi esista una moltitudine di siti internet che raccolgono, catalogano e distribuiscono “crack intros” eseguibili e visualizzabili sugli attuali PC tramite opportuni emulatori.

La demo-scene si sviluppò, quindi, principalmente sul Commodore 64 ed in parte sul ZX Spectrum passando successivamente ad utilizzare il Commodore Amiga e l’Atari ST come base per lo sviluppo delle demo e dei cracktros. Alla scomparsa degli Home Computers dal mercato, dovuta primariamente all’avvento e alla diffusione dei PC IBM compatibili, la demo-scene non trovò più un hardware di riferimento standard su cui basare le proprie produzioni. Per questo motivo, i demo artists essenzialmente cessarono di esistere, concentrando i propri sforzi unicamente nella loro attività di hacker e nella “sfida” contro le sempre nuove protezioni del software.

Oltre a Commodore
Come accennato precedentemente, almeno in Europa, il C=64 si contese il mercato con lo ZX Spectrum di Sinclair che, seppur meno dotato in termini di Hardware, fu proposto ad un prezzo pari a circa la metà di quello del Commodore.

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La prima versione dello Spectrum era molto limitata dal punto di vista sonoro e solo al rilascio della versione “128” (Sinclair ZX Spectrum 128) la macchina fu dotata di un chip dedicato con 3 voci di polifonia massima, il General Instrument AY-3-8910. Una feature molto importante che fu aggiunta con la versione 128 dello Spectrum era la compatibilità con il protocollo MIDI (Musical Instruments Digital Interface) ovvero lo standard di comunicazione e controllo degli strumenti musicali elettronici introdotto nel 1983 e diventato uno standard assoluto adottato, nelle sue evoluzioni successive, ancora oggi. Lo Spectrum non fu mai però veramente utilizzato per questa sua caratteristica per la quale invece alcuni suoi successori divennero famosi. Rimanderei quindi un approfondimento sulla musica MIDI ad un articolo successivo.

L’ultimo home computer della generazione a 8 bit meritevole di essere citato per il grande successo di mercato (comunque inconfrontabile rispetto al Commodore) fu l’MSX.

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In realtà “MSX” non definisce un modello o un prodotto specifico, bensì una piattaforma condivisa da diversi produttori ciascuno dei quali produsse il proprio esemplare basato su quel progetto (nella foto è mostrata la versione che fu realizzata da Philips). L’architettura, almeno nella sua prima versione, era simile a quella dello Spectrum con il quale condivideva il microprocessore ed il chip di sintesi sonora (il General Instrument AY-3-8910).
L’MSX vide diverse versioni avvicendarsi sul mercato apportando con il tempo varie migliorie al progetto originale. La prima versione fu introdotta nel 1983. Tre anni dopo, nel 1986, ovvero quando Commodore e Atari erano già passate alla successiva generazione a 16 bit, venne introdotto l’MSX2 che, pur rimanendo a 8 bit, rinnovava sia il comparto grafico che sonoro. Negli anni successivi furono poi proposti sul mercato upgrades in grado di trasformare l’MSX2 in MSX2 Plus. Infine, nel 1990, anche il progetto MSX approdò alla tecnologia a 16 bit con l’MSXturboR che, introdotto così tardivamente e solo in Giappone, non trovò alcun successo di mercato. Complessivamente, comunque, vennero venduti circa cinque milioni di esemplari, numero che rappresenta un risultato di tutto rispetto.

Alcuni importanti IP nacquero proprio su MSX per migrare poi su altre piattaforme. Uno fra tutti va citato in quanto di enorme successo e recentemente approdato sulle macchine di ultima generazione: Metal Gear
La saga di Metal Gear consta di ben 7 episodi arricchiti da una pletora di espansioni che fu inaugurata su MSX2 con il primo, omonimo, capitolo.



Il produttore e regista di tutti gli episodi, Hideo Kojima, è diventato ormai una leggenda nell’industria videoludica proprio per la qualità, lo spessore e le tematiche profonde che hanno caratterizzato le sue produzioni. Dopo il secondo episodio, Metal Gear 2: Solid Snake, sempre su MSX2, la serie si spostò su Sony Playstation, cambiando nome in Metal Gear Solid. E’ infine stato recentemente introdotto sul mercato l’ultimo capitolo solo per Playstation3, Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots la cui ispirata colonna sonora è stata curata da Harry Gregson-Williams.



Dopo il Commodore 64 - Conclusioni
Dopo il Commodore 64, Commodore Electronics provò a proporre al pubblico piccole evoluzioni della propria macchina che, almeno in teoria, avrebbero dovuto essere migliorative garantendo una meritata pensione al 64. In realtà quasi tutte le proposte si rivelarono un fallimento commerciale ciascuna per motivi diversi: il Commodore 16 era incompatibile con i giochi del 64, il Plus/4 aveva potenzialità limitate ed il Commodore 128 costava più del 64 offrendo in realtà ben poco di più al giocatore medio. Peraltro, sulle macchine più recenti venne introdotta una nuova versione del SID, reingegnerizzata ed ottimizzata al fine di garantire un consumo inferiore ma che non riuscì a garantire la stessa qualità di suono della versione originale.

Come vedremo, con l’avvento della generazione a 16 bit, Commodore riuscì a calare il secondo ed ultimo asso della sua partita: l’Amiga, di cui ci occuperemo successivamente.


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