Il fascino del nascosto: Sherlock Holmes secondo Billy Wilder e Miklós Rózsa

Il fascino del nascosto: Sherlock Holmes secondo Billy Wilder e Miklós Rózsa

«I tre più grandi personaggi di finzione per il grande schermo sono Robinson Crusoe, Tarzan e Sherlock Holmes, e non si è mai fatto un film decente su nessuno di loro» diceva Billy Wilder nel 1963. Possiamo forse dissentire dall’ultima affermazione, ma senz’altro riconosceremo al regista di aver realizzato un film definitivo sull’investigatore inglese: uno studio sul suo carattere, il primo e forse l’unico che sotto il berretto deerstalker ritrae non un simbolo ma un uomo reale.

The Private Life of Sherlock Holmes di Wilder (1970) è un film misterioso. Anzi: amletico, nel senso più calzante del termine, tanto che alla domanda di Robert Stephen su come dovesse interpretare il ruolo di Holmes, Wilder rispose: «Devi recitarlo come se fosse Amleto». Di qui l’indagine sul suo rapporto tormentato con le donne, sull’amicizia con Watson, sui tormenti interiori e osiamo dire: esistenziali.

Una colonna sonora di quelle preziose – quelle che, per intenderci, sono soggette a continue metamorfosi e vivono di vita propria – enfatizza il carattere del film, a metà tra il malinconico e il torbido, l’ironico e il nichilistico. È di Miklós Rózsa, compositore ungherese a cui molto deve il cinema hollywoodiano.



Billy Wilder e Miklos Rozsa nel backstage del London Coliseum durante le riprese di The Singular Affair of the Russian Balerina [fonte: Movie Collector, vol. 1/issue 7, July-August 1994].

La musica di Rózsa, come avviene solo nei casi di perfetta sintonia tra regista e compositore, trascende il suo ruolo di commento sonoro e diventa principio ispiratore per la forma del film: Wilder non si limita a chiedere al fidato Rózsa di adattare il suo “Concerto per violino e orchestra Op. 24” per il film, ma inizia lui stesso a pensare in termini musicali, si cala negli ibridi panni di sceneggiatore-compositore e scrive, a quattro mani con l’altrettanto fidato “Iz” Diamond, un film che è una “sinfonia in quattro movimenti”. Vale a dire, un film quadripartito, che, proprio come nei lavori sinfonici, modula atmosfere e “colori” di scena in scena.

Quattro episodi dunque, ma solo nella concezione iniziale del film, che doveva durare tre ore: quello che vediamo oggi non arriva a due. I produttori hanno costretto Wilder a tagliare e ritagliare, distruggendo l’unitarietà del film e rendendolo una “sinfonia incompiuta”.
Ad oggi il film è composto da due episodi principali, introdotti da una “cornice” su cui scorrono i titoli di testa: viene riaperta, 50 anni dopo la morte di Watson, una valigetta che questi aveva depositato in banca contenente vari oggetti e documenti della sua frequentazione con l’artista della deduzione; tra essi anche un manoscritto cui Watson aveva affidato il resoconto delle loro ultime avventure, non diffuse prima per motivi di riservatezza, visto il loro contenuto “delicato”: sono quelle che il film ripercorre.



Backstage del London Coliseum per una sequenza dell'episodio di The Singular Affair of the Russian Ballerina [fonte: Movie Collector, vol. 1/issue 8, November-December 1994].

Il primo episodio (The Singular Affair of the Russian Ballerina), il più breve, mostra i tentativi della ballerina russa Madame Petrova di convincere Holmes a darle un figlio. La ballerina, sul punto di ritirarsi dalle scene, vorrebbe unire i propri geni a quelli dell’intelligente detective inglese, dopo aver dovuto scartare Tolstoij perché troppo vecchio, Nietzsche perché troppo tedesco e Tchaikovskij perché… «women are not his glass of tea». Il modo con cui Holmes declina la proposta è molto wilderiano. E un po’ wildiano.

Nella seconda storia (The Adventures of the Dumbfounded Detective) la belga Gabrielle Valladon, appena ripescata dalle acque del Tamigi, si fa portare al numero 221B di Baker Street e convince Holmes ad andare in Scozia sul lago di Loch Ness per indagare sul marito ingegnere scomparso. Si scopre che questi sta costruendo un sottomarino per la Marina Britannica – con periscopio opportunamente camuffato da mostro del lago – insieme al fratello di Sherlock, Mycroft Holmes (interpretato da Christopher Lee), negli anni torbidi che precedono la Grande Guerra, e che la cliente Valladon in realtà è Ilse von Hoffmanstal, spia tedesca. I futuri avversari in guerra vogliono impossessarsi del sottomarino e Mycroft glielo lascia fare – dopo che la regina Vittoria in persona gli ordina di distruggerlo in quanto arma “antisportiva” – non senza averlo manomesso in modo che affondi con tutti i soldati tedeschi (loschi figuri travestiti da monaci) stipati all’interno. La Hoffmanstal viene arrestata. Morirà in Giappone, durante un’altra missione: Holmes, lo apprende da una lettera del fratello. Affranto dall’ennesima delusione (d’amore?), si chiude in camera con gli unici suoi mezzi di sopravvivenza: droga e violino, mentre Watson siede a scrivere – come di consueto – le ultime avventure del detective.

The Curious Case of the Upside Down Room [fonte: Movie Collector, vol. 1/issue 7, July-August 1994].

Restano fuori un flashback di Holmes negli anni dell’università, con tanto di gara di canottaggio e di tormenti amorosi (scopre che la ragazza da lui amata è una prostituta), e due altre sequenze: The Curious Case of the Upside Down Room (in cui Watson, come rimedio antidepressivo per l’amico, allestisce una surreale scena del crimine con un cadavere in una stanza arredata sottosopra) e The Dreadful Business of the Naked Honeymooners (in cui Watson si improvvisa goffamente investigatore in proprio). Qualcosa è stato recuperato, già nell’edizione su laserdisc (Image Entertainment 1994) e ora in DVD (MGM 2006), ma il film nella sua interezza, come lo avevano concepito Wilder e Diamond non si potrà vedere forse mai.
Pur con i tagli rimane efficace l’operazione di Wilder: con la sua caratteristica ironia maliziosa gioca sull’icona di Sherlock Holmes, anzi smonta l’aura mitica del personaggio “pubblico” creato da Doyle, per darne un ritratto “privato”, più autentico. E più ambiguo. Meno rigore scientifico, più dubbi: «We all have occasional failures».

Ma torniamo alla musica: Rózsa acconsentì senza esitazioni a trasformare il suo “Concerto per violino” in colonna sonora. Tre sono i temi musicali tratti rispettivamente dai tre movimenti del concerto: il primo è quello della dipendenza dalla droga, o più in generale del “turbamento” di Holmes. Deriva dall’”Allegro non troppo ma appassionato”: una melodia spigolosa che parte con cinque sedicesimi del violino in levare e mai si stabilizza. I continui cromatismi, che rimangono ostinatamente nel registro acuto dello strumento solista, sembrano sfuggire a qualsiasi inquadramento armonico. E lo stesso vale per tutto il movimento, oscillante tra le tonalità di Re maggiore e Re minore e tra tempi ternari e binari. Nel passaggio alla colonna sonora si prediligono le sezioni più rarefatte del movimento, tralasciando quelle più virtuosistiche, e il materiale viene sapientemente riorchestrato e distribuito a tutta l’orchestra. È da notare come l’incipit del tema compaia sia nei titoli di testa, sia – soprattutto – a una decina di minuti dall’inizio del film, suonato da Holmes stesso al violino, dopo aver pronunciato la famosa frase «My mind rebels against stagnation» (da The Sign of the Four) e appena prima di ritirarsi nella sua camera per assumere la sua soluzione di cocaina: in mancanza di casi da risolvere, musica e droga sono l’unico diversivo da quella boredom che lo affligge.

Il secondo tema è quello delle emozioni represse, ma diciamo pure: il tema d’amore. Viene dal “Lento cantabile” del concerto, è un lirico notturno dalle tinte ungheresi (determinate da certi intervalli) combinate con ritmi “lombardi” (sedicesimo accentato + quarto con doppio punto di valore), tipici peraltro delle danze scozzesi: niente di più calzante per il film di Wilder! È significativo che funga da leitmotiv abbinato al personaggio di Gabrielle-Ilse: si sente quando arriva a Baker Street, quando Holmes le si confida, quando si separano e quando si apprende della sua morte. Ma a ben guardare questo tema fa la sua comparsa già nei titoli di testa in una duplice modalità: mentre risuona la musica viene estratta dalla valigetta depositata da Watson in banca – insieme a pipa, berretto, lente d’ingrandimento e siringa per la cocaina – anche la parte solista del secondo movimento del “Concerto per violino” di Rózsa. Gli sceneggiatori hanno voluto che nel film risultasse composta dallo stesso Sherlock Holmes e dedicata a Ilse von Hoffmanstal: piccolo tocco di classe quasi impercettibile che si coglie solo leggendo l’intestazione dello spartito.

L’apertura tempestosa del terzo movimento (“Allegro vivace”), infine, è usata per la scena nel lago: è il tema del mostro di Loch Ness. È incredibile come musiche già esistenti e nate per la sala da concerto sembrino state scritte in simbiosi con un preciso film.



La colonna sonora tuttavia non si limita al materiale tratto dal concerto: di altrettanto pregevole fattura è la musica composta ex novo, tra cui, ad esempio, spiccano il tema tetro affidato agli archi che accompagna le apparizioni dei monaci-soldati e il tema grandioso dei castelli scozzesi in corrispondenza del giro in bicicletta dei protagonisti a Loch. Quasi 80 minuti di musica in tutto, che si può ora finalmente ascoltare nel CD dell’etichetta Tadlow, prima registrazione integrale della colonna sonora (TADL0W004, 2007). Ma facciamo un po’ d’archeologia del disco: prima di questa raccolta completa la stupenda musica di Rózsa si poteva ascoltare sia in forma di una suite di 9 minuti circa nell’LP Rózsa dirige Rózsa (Polydor 2383440), sia nelle registrazioni – indipendenti dal film – del concerto per violino. Tra queste segnaliamo la prima e l’ultima: quella del grande Jascha Heifetz – dedicatario del concerto – con la Dallas Symphony Orchestra diretta da Walter Hendl per la RCA (LSC-2767) e quella per la Naxos (8.570350) con Anastasia Khitruk al violino e la Russian Philharmonic Orchestra diretta da Dmitry Yablonsky.

cover the private life sherlock holmes

Non solo Rózsa sentiamo però nel film. Ci sono due casi significativi di musica diegetica: in primo luogo la musica del Lago dei cigni di Čajkovskij, balletto cui Holmes e Watson assistono al London Coliseum. In questa scena compare Rózsa stesso alla direzione della Royal Philharmonic Orchestra (d’altronde Herrmann fa lo stesso ne L’uomo che sapeva troppo di Hitchcock): un cameo che suggella la collaborazione Wilder-Rózsa. La musica di Čajkovskij appare anche subito dopo, durante la festa dietro le quinte, in un gustosissimo adattamento per orchestra di mandolini e altri strumenti a pizzico. Il secondo caso è quello di Holmes stesso che in piena notte, prima dell’arrivo di Gabrielle Valladon a Baker Street, suona al violino le variazioni della Follia di Corelli (siamo precisi: è la sonata Op. 5 No. 12 e le variazioni sono, in ordine, le numero 6, 4, 19 e, infine, il tema iniziale). E le suona davvero bene, nonostante a inizio film rimproveri Watson per averlo pompato nei suoi romanzi: «You’ve made me out a violin virtuoso. There’s an invitation from the Liverpool Symphony to appear as a soloist».

Che sia per la musica, per il montaggio, per l’armonia e la perfezione ritmica dei dialoghi di Wilder-Diamond (quasi un’altra partitura che si intreccia con la colonna sonora vera e propria), The Private Life of Sherlock Holmes, nonostante l’insuccesso iniziale, si è guadagnato negli anni uno stuolo di fedelissimi ammiratori, assurgendo allo status di cult. Per alcuni è proprio diventata un’ossessione. Non da ultimo per Jonathan Coe, al quale si deve il racconto Billy Wilder. Diario di un’ossessione, scritto originariamente per i Cahiers du Cinéma e poi pubblicato nel libro Loggerheads and other stories (in Italia Disaccordi imperfetti, Feltrinelli 2015). Coe, al di là di tutti i travagli della produzione e di tutti i tagli – anzi, in virtù di essi – è forse riuscito ad individuare il segreto del fascino che possiede il film: la musica e il fascino del nascosto. Quello che non si vede perché tagliato o volutamente taciuto e le atmosfere solamente suggerite per mezzo della musica costituiscono la cifra del film, che resta così avvolto in un alone di mistero (un mistero irrisolvibile, con buona pace dei sherlockiani accaniti): «una certa evanescenza è fondamentale per il cinema».

Stampa