“Una grande lezione di musica per film” – Parte Terza

“Una grande lezione di musica per film” – Parte Terza

Colonne Sonore prosegue nel dare risposta alle numerose richieste di giovani lettori che stanno studiando composizione e che vorrebbero in futuro intraprendere la carriera di compositori di musica applicata, facendosi aiutare da coloro i quali vivono in prima persona l’Ottava Arte e la creazione di musica per immagini, chiedendo ai compositori stessi di rispondere a sei domande che la nostra redazione ha ritenuto interessanti ed esaurienti sul come divenire autori di musica per film.
Ecco a voi la terza parte della Lezione-Intervista di musica applicata con le sei identiche domande a cui molti compositori italiani e stranieri hanno risposto per aiutare i futuri giovani colleghi che si confronteranno con la Settima Arte e la sua musica:


Domande:

1) Che metodologia usate nell’approcciarvi alla creazione di una colonna sonora?

2) Qualora non abbiate la possibilità, per motivi di budget o semplicemente vostri creativi, di usare un organico orchestrale, come vi ponete e quali sono le tecnologie che vi vengono maggiormente in aiuto per portare a compimento un’intera colonna sonora?

3) Descriveteci l’iter che vi porta dalla sceneggiatura alla partitura finale, soprattutto passando per il rapporto diretto con il regista e il montatore che talvolta usano la famigerata temp track sul premontato del loro film, prima di ascoltare la vostra musica originale?

4) Avete una vostra score che vi ha creato particolari difficoltà compositive?
Se sì, qual è e come avete risolto l’inghippo?

5) Come siete diventati compositori di musica per film e perchè?

6) Che importanza ha per voi vedere pubblicata una vostra colonna sonora su CD fisico oggi che sempre di più si pensa direttamente al digital download?



Theodore Shapiro (compositore di Il diavolo veste Prada, Tropic Thunder, Pirati! Briganti da strapazzo, I sogni segreti di Walter Mitty)

1) Cerco di affrontare ogni partitura rintracciando un riferimento concettuale. In linea di principio, la colonna sonora deve sottolineare uno o più aspetti critici del film; una delle preoccupazioni principali può essere quella di creare un tono, o accompagnare la trasformazione di uno dei personaggi principali, oppure mettere in evidenza il sottotesto di una storia. Per quanto mi riguarda, preferisco iniziare dal concetto di che cosa la partitura dovrà rappresentare. Successivamente comincio a esplorare idee attorno a questo concetto, come i temi e la strumentazione, e poi gradualmente costruisco il linguaggio della colonna sonora. In seguito provo a scrivere un paio di scene chiave, ad esempio una all’inizio e una alla fine del film. In questo modo posso vedere da dove comincio e dove devo arrivare.

2) La maggior parte delle mie partiture contengono elementi elettronici, sebbene non li uso mai per camuffare il suono di una vera orchestra. Mi piace lavorare con il software Ableton Live per manipolare i suoni. In caso di budget ristetti, si possono fare un sacco di cose interessanti registrando alcune improvvisazioni e poi lavorarle successivamente con questo programma. Possiedo anche molte librerie di strumenti virtuali e un paio di sintetizzatori, che sono sempre davvero utili.

3) Cerco sempre di cominciare a scrivere la musica il prima possibile, possibilmente prima che ci sia una colonna sonora provvisoria. In questo modo posso applicare le mie idee sul film prima che qualcuno si affezioni troppo al suono della temp track. Comporre senza vedere le immagini, basandosi soltanto sulla sceneggiatura, può essere molto divertente e anche molto utile. In assenza delle immagini si è obbligati a pensare soltanto al concetto e tutto questo può portare a risultati interessanti e felici incidenti di percorso.

5) Nel momento in cui decisi di diventare un compositore, sapevo che lo avrei fatto per un medium narrativo. Non sono mai stato interessato a scrivere musica puramente astratta, e inoltre mi piace essere collaborativo. E poi ho sempre amato il cinema e mi ha sempre affascinato la sua relativa facilità di accesso rispetto alle rappresentazioni teatrali o ai concerti di musica dal vivo.

6) E’ molto importante per me poiché so quanto questa cosa sia importante per gli appassionati di musica per film. Io non compro più CD, ma desidero che le persone interessate alla mia musica possano acquistarla nel modo in cui preferiscono.



Claudio Cimpanelli (compositore di La bella vita, Un Inverno freddo freddo, Baciami piccina)

1) Ascolto quel che mi racconta il regista, osservando  anche la sua espressione quando tocca i momenti topici della storia: nel suo sguardo c’è il suo cuore, la sua verità, il suo volto è uno specchio da decifrare e anche dal tono della voce è possibile percepire qualcosa. Vedere subito il film premontato è comunque per me la situazione ottimale, meno aperta agli equivoci di interpretazione: indugiare nella lettura della sceneggiatura può portare a prefigurarsi i momenti del futuro film diversamente da quelli con i quali poi ci si confronterà realmente e quindi a pensare  una musica che potrebbe non corrispondere alle aspettative della committenza. Cerco di vedere le immagini lasciandomi andare: in questa fase sono più spettatore che compositore, ma presto attenzione agli immancabili commenti del regista e anche a quelli del montatore, perché spesso tra i due c’è grande complicità. Se la prima visione mi suscita delle emozioni, le cellule tematiche arrivano subito e, non di rado, sono quelle che si riveleranno più appropriate. Prendo molti appunti, anche con il registratore tascabile: cerco di fissare immediatamente le idee, altrimenti si perdono e, se tornano, non hanno più la freschezza emotiva del primo momento. Il lavoro successivo consiste nello scandagliare quel materiale primordiale, guardarlo da più angolazioni, aprire quella scatola sonora che in nuce contiene tante possibilità. Non mi pongo  immediati problemi di durata, mi tengo anzi abbastanza largo con le enunciazioni tematiche per farne venir fuori le potenzialità in vista del primo ascolto da parte del regista: la fase del loro adattamento temporale è subordinata alle sue necessità e al suo gusto personale. Ci sono registi che non gradiscono molto una musica inesorabile in fatto di minuti e secondi preferendo, invece, sviluppi ampi che possano servire a collegare le immagini; altri, all’opposto, chiedono interventi musicali definiti nelle durate. Questi ultimi li assecondo senza problemi, anche se poi qualche critico cinematografico storcerà il naso e indicherà come didascalica la musica del loro film, pur se la storia del cinema è piena di colonne sonore impostate con criteri didascalici. Personalmente, prediligo i registi che per i loro lavori non desiderano tanto minutaggio: i film con le gambe forti camminano da soli. Il silenzio, secondo me, è la miglior musica, contiene tutto, un pò come il bianco che di tutti i colori è la presenza... L’intervento musicale dovrebbe dare un’emozione e, come fattore trainante, agire indisturbato. Per Un inverno freddo freddo, di mio fratello Roberto, e con l’indimenticabile Sergio Montanari alla moviola, seguimmo questa impostazione. In fatto di temi, di solito al regista ne occorrono un paio, o anche uno solo, da variare in tutte le salse; in qualche caso viene richiesta una vera e propria compilation, ma anche qui si tratta di gusti personali e delle mode dei tempi, regole fisse non ce ne sono mai, esistono semmai delle consuetudini che nel corso degli anni si usurano per poi venire soppiantate da nuove tendenze. “C’è del nuovo e c’è del buono: peccato che quel che è nuovo non è buono e quel che è buono è vecchio”, così recita un adagio...

2) La mia permanenza pluridecennale in una grande orchestra lirico - sinfonica, oltre a permettermi di venire a contatto con artisti straordinari e vivere le partiture sia in fase di concertazione, sia in fase live, ha contribuito a farmi amare ulteriormente i suoni acustici, il loro colore e calore; questo, però, non ha assolutamente escluso il mio interessamento per i suoni elettronici, sintetici e campionati. Per diverso tempo ho utilizzato un Emulator 64OO, librerie Akai e successivamente il Vienna Ensemble Pro che, tra l’altro, mi sono stati indispensabili per provvedere interamente alla realizzazione della base di  “Hermes”, il mio concerto in tre tempi per tromba, archi e percussioni  di prossima pubblicazione discografica, e delle musiche di scena della commedia Die Höle di Carl Sternheim per il teatro Agorà di Roma.
Quando il budget è ridotto, tendo ad ovviare non ricorrendo immediatamente alle risorse offerte dalla tecnologia, ma proponendo al regista l’utilizzo di pochi strumenti e operando quindi in una dimensione cameristica; in ciò sono facilitato dal poter disporre della collaborazione di Professori d’orchestra con i quali ho un rapporto collaudato da anni, compagni di viaggio anche per molte mie partiture di musica contemporanea. Attualmente, per la parte elettronica mi rivolgo ad uno studio molto bene attrezzato (Millenium Audio Recording di Roma, in cui per la Warner registrai Baciami piccina) e dove l’editing viene fatto con il Pro Tools.
Da diversi anni compongo per mezzo di un software, il Finale, molto utilizzato nell’editoria musicale: a me occorre poter operare direttamente sulla partitura. Prima di arrivare all’uso di un computer portatile (un Toshiba, che meglio di altri PC riesce ad interagire con Finale, software che in realtà presupporrebbe il Macintosh) lavoravo a tavolino, abitudine che mi derivava da un mio vecchio maestro: “Quello che ti dà il foglio pentagrammato non te lo darà mai la tastiera: il pensiero non deve seguire le mani!”, ma questo metodo antico dovetti purtroppo abbandonarlo a causa di un micidiale mal di schiena. Il pianoforte, per comporre, non l’ho  quasi mai usato, tranne che per le musiche di Mondo Cane 2000, che ideai su un bellissimo Schulze Pollmann, incidendole poi quasi tutte con i sintetizzatori nel piccolo studio che era stato ricavato dentro l’Alexanderplatz di Giampiero Rubei, a Roma.

3) Di solito, se il compositore è chiamato direttamente dal regista e tra loro c’è una certa empatia oltreché un rapporto di fiducia, le cose procedono senza problemi, se non per modifiche di routine come quelle che si apportano in seguito ai ripensamenti del regista stesso: spostamenti di temi da una scena ad un’altra, tagli o aggiunte alla pellicola, richiesta di nuovi arrangiamenti e così via. Sotto questo aspetto, credo che rivedere le proprie scelte non sia mai qualcosa di negativo. Analogamente al compositore con la sua partitura, un regista cercherà sempre di migliorare la propria pellicola; frequentandone diversi ho avuto l’impressione che quando non hanno ben chiaro quel che vogliono, sanno invece benissimo quel che non vogliono! E stasera il regista ti può chiedere quello che gli dovrai fare ascoltare domattina! Cosa succede la mattina dopo? La prima volta che mi capitò di  passare quasi tutta la notte a riscrivere delle musiche per una intricatissima e interminabile scena, la mattina, alle otto e trenta spaccate, trovai il regista, da solo, senza il suo fido montatore: “Maestro, ce la vediamo io e te, va bene? Non dirmi neanche una parola per descrivere la tua musica. La prova del nove è qui, alla moviola!”. Le immagini partirono e pure il tema appena composto. Passarono dei minuti in cui sudai freddo. Poi tutto finì. Lui si voltò lentamente, scrutandomi: il mio cuore perse un paio di colpi. Nei suoi occhietti azzurri e vispi ad un tratto ci fu un guizzo lucente e mi disse: “Hai visto? La notte porta consiglio! Adesso andiamo al bar”. Era ruvidamente bonario. Si era fatto le ossa in quella Cinecittà dove si giravano più di trecento film all’anno: “Il mestiere là dentro lo dovevi imparare per forza!”, diceva. In fatto di musica era “ignorante”, per sua stessa ammissione, ma aveva un fiuto straordinario per capire se un tema aderiva alle immagini, se un doppiaggio era a posto, se il montaggio era lento e così via.
Quando, invece, il rapporto tra regista e compositore è meno fluido, il lavoro diventa più faticoso, specialmente se  intervengono suggerimenti musicali da parte di terze persone, non sempre disinteressate. Soprattutto nelle situazioni piene d’indecisione e tendenzialmente conflittuali, c’è la possibilità di un intervento più o meno esplicito da parte del produttore, colui che rischia in prima persona e che, ritenendo il cinema principalmente un’industria, non ama vedersi porre veti o imposizioni di alcun genere.
Con la temp track la musica è spesso già delineata nei tratti essenziali, perché, anche se messa su dal montatore, a forza di ascoltarla il regista non se la toglie quasi più dalla testa. Spetta allora al compositore decidere se adeguarsi, fare delle perifrasi più o meno sapienti e quindi finire il compito al più presto, oppure riuscire a ribaltare la situazione con qualche colpo d’ala.
L’iter che seguo, dopo aver ascoltato la narrazione del regista, dopo aver letto la sceneggiatura e dopo aver visto il premontato, possibilmente senza temp track, consiste nell’ideare più brani in base alle indicazioni ricevute ma, nello stesso tempo, offrire anche un paio di pezzi creati in modo del tutto distaccato da quelle, facendo talvolta anche degli esperimenti, non solo in fatto di timbrica strumentale. I risultati possono portare a delle piacevoli sorprese ma anche a dei compromessi sonori, nel senso che il regista, ferma l’irrinunciabilità delle sue preferenze di base, talvolta lascia spazio a qualcosa che non immaginava essere nelle corde tecnico espressive del compositore. Sotto questo aspetto la produzione di Mario Nascimbene è esemplare: quanti esperimenti e innovazioni di musica contemporanea nelle sue partiture per il cinema! Lavorando per i cortometraggi di giovani autori ho trovato un clima di apertura alle novità e al rischio: penso a Nicola Guaglianone con il suo Amici all’italiana (edizioni Warner), con Francesca Reggiani, Alessandro Haber e Francesco Scali e penso a Claudio Proietti, che vide il suo Rimorsi proiettato in prima  in un cinema al centro di  Roma, strapieno.

4) Una quindicina d’anni fa mi capitò un regista, un personaggio simpaticissimo che, inizialmente, mi chiese un tema con un’atmosfera pacata. Gli proposi una melodia eseguita da un flauto contralto sopra un tappeto di archi. Gli piacque. M’incaricò quindi di comporgli le musiche per il suo lavoro. Dopo pochi giorni ritornò sui suoi passi e mi pregò di adattargli lo stesso pezzo per un quintetto jazz, con la melodia affidata ad una tromba con la sordina harmon, quella usata spesso da Miles Davis: detto e fatto. Rimase molto soddisfatto e andò via fischiettando il tema: pensavo di aver risolto, ma invece... Una sera, anzi, una notte, mi telefonò e, pur pieno di imbarazzo, mi domandò se potevo arrangiargli la medesima musica alla Ravel, un’atmosfera tipo “Ma mere l’oye”: era uscito da poco da un concerto sinfonico e la musica del compositore francese lo aveva folgorato. Per me non sarebbe stato difficile assecondarlo, potendo contare su strumentisti esperti che quelle sonorità me le avrebbero garantite pure bendati e con le orecchie tappate. Gli spiegai, però, che se lo avessi accontentato ancora una volta, lo avrei dovuto fare anche la successiva e un’altra ancora, visto che la sua indecisione era di tipo costituzionale. Conclusi quindi cortesemente il rapporto precisandogli che, pur stimandolo, non avevo intenzione di girare a vuoto. Poteva quindi trovare qualcun altro che sicuramente avrebbe fatto benissimo. Provò ad insistere, ma inutilmente. Ci salutammo e mi rimisi a dormire. Come andò a finire? Il tipo, dopo un paio di settimane passate a lavorare con un altro compositore, mi contattò nuovamente chiedendomi se, ritornando sulla mia decisione, potevo ripristinargli la musica per archi e flauto contralto che gli avevo composto inizialmente. Mi fermo qui.

5) Fin da piccolo mi divertivo a comporre canzoncine di musica leggera, in stile anni ‘60, scrivendo anche i testi, se posso definirli così. Gli accordi li facevo mettere a mio fratello, più grande, che suonava la chitarra: per me era un mistero come venissero posti dei grappoli di note sotto la melodia. Insomma, l’armonia mi incuriosiva molto, ne avvertivo il fascino. Fu allora che cominciai a fare esperimenti al pianoforte, strimpellandolo e rendendomi sempre più autonomo.
La musica per film fece capolino qualche anno dopo, cioè quando scappai quasi di casa per andare al cinema Tuscolo, all’Appio Latino, da solo, a vedere Romeo e Giulietta di Zeffirelli. Le musiche erano di Nino Rota e mi commossero tantissimo: Rota l’ho poi voluto omaggiare con un paio di brani presenti nel film e nel CD di Baciami piccina, recensito proprio su questa rivista. Le colonne sonore di Ennio Morricone fecero il resto, ma pure Carlo Rustichelli, Piero Piccioni, Piero Umiliani con I soliti ignoti e il grande Armando Trovajoli lasciarono il segno. Quindi, l’imprinting per me è stato di stampo prettamente italiano, ma anche i lavori di Bernard Herrmann ed Henry Mancini mi colpirono parecchio. Successivamente, le musiche di John Williams e di Jerry Goldsmith, con il quale ho avuto la fortuna di collaborare, le trovai molto originali dal punto di vista cinematografico, nonostante le loro fonti d’ispirazione mi fossero familiari: mi riferisco ad Aaron Copland e Paul Hindemith, che  in fatto di armonie e di atmosfere diedero, non intenzionalmente, un contributo enorme alla musica per film nord americana. Basti ascoltare alcuni passaggi di “Quiet City” e di “El salon Mexico” del primo e di “Mathis der maler” del secondo.
Della musica americana del Novecento, a livello di studio, ricerca, nonché di elaborazioni per i miei gruppi (Giasscritto  e OttOmAnIA) me ne sono occupato per diversi anni, parlandone anche agli studenti dell’Università Roma Tre durante un incontro al quale sono stato invitato ad aprile.
Quando penso a Copland sono tentato di fare un parallelo con Giacomo Puccini: se l’americano fu l’ideatore di una nuova musica nazionale e anche, senza volerlo, l’inventore di quel tipo di musica che ancora oggi ben figura in molti film d’oltreoceano, Puccini fu, involontariamente, il fondatore della musica leggera italiana, e non solo. Si pensi, infatti, che le sue opere sono delle miniere in cui molti trovarono l’oro dell’ispirazione, tanto è vero che egli vinse moltissime cause per plagio. Sfogliando Tosca, Turandot o Madama Butterfly, appare non trascurabile il suo involontario apporto postumo a diverse colonne sonore, quantomeno in termini di assonanza. Tra l’altro, mi piace quando Baricco, nel suo libro L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, lascia intendere che la spettacolarità di Puccini (unitamente a quella di Mahler) è anticipatoria del cinema.

Per quel che mi riguarda, ho avuto la fortuna di osservare il cinema sotto diversi aspetti, compresi quelli della produzione e della distribuzione, il che mi ha portato inevitabilmente ad avere uno sguardo disincantato: l’affetto frammisto all’ironia, il palcoscenico dell’azione contrapposto a quel che si cela dietro le quinte,  cioè ideazione e pianificazione, anche economica. Mi rivedo giovanissimo in veste di turnista nel Il Padrino III, con a fianco addirittura Francis Ford Coppola e con suo zio Anton alla direzione dell’orchestra, così come mi ricordo delle esperienze  in qualità di esecutore sulla scena ne La luna di Bertolucci alle Terme di Caracalla e ne La pelle della Cavani a Capri. Comporre per il cinema è tutt’ora un impegno discontinuo perché il mio percorso artistico è andato volutamente in direzioni diverse: il Festival Internazionale di Santander, la Fondazione Pergolesi- Spontini di Jesi e qualche tempo fa, il Teatro dell’Opera di Roma con l’esecuzione di “De alphabetis mundi” per Coro di Voci bianche, su mio testo in undici lingue diverse, compresi il latino, il greco e l’ebraico antichi. E infine il Senato della Repubblica italiana, nel  Circolo di Palazzo Madama, dove Calogero Palermo, primo clarinetto del Concertgebouw di Amsterdam, mi ha eseguito “La morena”, uno dei  “Cinque tanghi per orchestra” che fa parte delle musiche per il mio dramma in tre atti, Allende e il cuore di Marzia, che ha ricevuto il Patrocinio della Fundacion Salvador Allende per le attività di commemorazione del 40° anniversario del golpe cileno dell’11 settembre 1973 e di prossima pubblicazione. “La morena” è stata eseguita a fine luglio presso la Fondazione Cantiere d’Arte di Montepulciano che, fondata nel 1976 dal compositore Hans Werner Henze, è ora condotta artisticamente dal M° Roland Böer con il quale ho avuto il piacere di collaborare in una serie di splendide esecuzioni delle Nozze di Figaro da lui recentemente dirette al Teatro Costanzi di Roma.

Ma, tornando al mio rapporto con il cinema, quel che ho appreso nella realizzazione delle colonne sonore, specialmente in fatto di scaltrezza, mi è stato d’aiuto per la realizzazione di arrangiamenti ed elaborazioni di pagine famose della grande musica e del jazz, mio grande amore che a sedici anni mi vide nella big band del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma durante i corsi tenuti da Giorgio Gaslini: ero in compagnia di Maurizio Giammarco, Massimo Urbani, Bruno Biriaco, Danilo Terenzi , Giovanni Tommaso e altri straordinari talenti.

6) Il CD ha il pregio di poter essere consegnato, o regalato, a mano e debbo dire che ancora conserva fascino, specialmente per le persone che, come me, appartengono alla generazione degli adolescenti attempati...Credo che, per un compositore, il CD sia la testimonianza di un lavoro che lo ha impegnato nel suo percorso artistico. Ai giovani compositori suggerisco di esigere dai propri editori la stampa di almeno un centinaio di copie su CD; questi sono un po’ come i libri per gli scrittori: dopo anni, sfogliandoli, possono anche indurre tenerezza.



Francesco De Luca & Alessandro Forti (compositori di Dieci Inverni, Faccio un salto all’Avana, La madre)

1) Se l’incarico della colonna sonora ci viene affidato con anticipo si comincia con la lettura della sceneggiatura, alla quale solitamente segue una discussione con il regista (e spesso anche con il montatore) per un confronto sul ruolo che avrà la musica nel film. Discutendo si cerca di arrivare ad una forma embrionale, ad un’idea astratta di quella che sarà la colonna sonora. Siamo in una fase in cui ancora non ci sono le immagini, ma si può già pensare allo stile, al suono, ovvero agli strumenti che saranno i nostri protagonisti, all’orchestrazione, ai generi musicali che si andranno ad affrontare.
A volte si buttano giù dei temi, ci si confronta su questi primi abbozzi musicali per vedere se la direzione è quella giusta. E’ una situazione privilegiata, si ha il tempo di fare e disfare le cose, di riflettere.
Quando poi  arrivano le immagini, ci si rende conto se le scelte fatte sono efficaci e funzionali o se bisogna virare e intraprendere nuove strade musicali. E’ un momento molto delicato, perchè è in questa fase che in qualche modo si plasma il carattere globale di quella che sarà la colonna sonora.
Ovviamente può capitare anche che il compositore venga chiamato quando il film è già stato girato e sta per iniziare il montaggio, o anche  quando già esiste un montato semi-definitivo del film. In questi casi si lavora direttamente sulle immagini, i tempi si stringono e bisogna trovare in fretta delle soluzioni, soprattutto se si tratta di un prodotto di fiction per la tv, in cui i tempi di lavorazione sono spesso più concitati.
C’è comunque da dire che, a prescindere da quale sia il momento in cui si entra in lavorazione,  il primo impatto con le immagini del film è quello più importante, perchè è in quel momento che scaturiscono le emozioni più pure e le idee che andranno poi elaborate.
In ogni caso, sia nel cinema che in film per la tv, in questo lavoro bisogna saper fare i conti con una buona dose di stress.

2) Ormai, per fare questo lavoro è diventata una cosa imprescindibile il saper utilizzare al meglio la tecnologia: orchestre virtuali e samples di ogni genere sono presenti in ogni fase della lavorazione, sia per frequentissimi problemi di budget, ma anche perchè chiunque, dal regista, al montatore, al produttore si aspetta di ascoltare qualcosa di “verosimile” e quindi ben prodotto fin dalla fase dei provini. Per quanto ci riguarda la tecnologia ha sempre fatto parte del nostro modo di lavorare: utilizziamo Cubase per la fase di produzione (ma per tanti anni abbiamo utilizzato anche Logic) e Pro Tools per il montaggio della musica sui rulli da portare al mix definitivo del film. Questi sono gli standard comunemente usati da tutti. Le nostre librerie di suoni sono in costante aggiornamento. Per fare un esempio pratico, se il budget è veramente basso, si cerca di impostare la colonna sonora, quando possibile, su piccoli organici oppure di spostare le sonorità più verso l’elettronica, spesso a sostegno di pochi strumenti acustici; quando è necessario il suono di un’orchestra più grande utilizziamo samples e librerie ma facendoli sempre convivere con strumenti veri.
I solisti sono sempre registrati perché, per quanto evoluto possa essere uno strumento virtuale, non potrà mai sostituire lo strumento originale con il prezioso valore aggiunto dell’esecuzione del musicista.

3) La temp track è, come spesso si dice, un’arma a doppio taglio: aiuta perchè fornisce una guida musicale indicata solitamente dal montatore del film, in un certo senso spiana la strada al compositore, ma è anche fonte di forte condizionamento, e limita la capacità del compositore di trovare soluzioni più personali e magari innovative. Comunque, come per ogni cosa, esiste una giusta via di mezzo. Bisogna poi considerare  il fatto che il montatore ha bisogno della temp per dare fin dall’inizio un ritmo al film e capire l’efficacia delle scene in sequenza. Quindi si tratta di trovare, tra compositore e montatore/regista il giusto modo di collaborare. Ultimamente cerchiamo di lavorare usando al minimo la temp, e se si ha la fortuna di entrare nel progetto con anticipo proviamo a fornire noi una serie di temi, magari presentandoli già con arrangiamenti differenti, in questo modo sarà il montatore a poter usare la nostra stessa musica come temp track e a confrontarsi su questa con il regista.

4) Ogni film presenta delle difficoltà compositive, che però diventano più facilmente superabili se il film ti piace. Ma a volte capita che, più che problemi con il film in sé (problemi che in qualche modo grazie al mestiere si superano), si possono incontrare delle difficoltà di relazione con il regista, difficoltà di comprensione nel trovare una sintonia lavorativa. E quando questa cosa succede ci si trova di fronte a un bel problema, perchè alla fine la sintonia fra persone è assolutamente essenziale per lo svolgimento del lavoro. Fortunatamente nella nostra carriera sono stati di gran lunga superiori i rapporti assolutamente positivi con registi e montatori. Quelle rare volte in cui le cose non sono andate per il verso giusto ce le lasciamo senza problemi dietro le spalle.

5) (risposta di Francesco de Luca):
L’amore per il cinema l’ho avuto fin da piccolissimo, prima ancora che quello per la musica. Guardare film è sempre stata una mia passione, ne vedevo più che potevo e ho subito scoperto di essere particolarmente affascinato dalle colonne sonore.  Il cinema, in un certo senso, è stato sempre presente in casa perchè mio padre è stato un direttore di doppiaggio e prima ancora il suo lavoro era fare le “presentazioni”, ovvero quelli che oggi si chiamano “trailers”.  
Intorno ai quattordici anni ho deciso di voler imparare a suonare uno strumento e ben presto di voler provare a comporre musica applicata. Dopo le prime esperienze di scrittura per alcuni programmi radiofonici, qualche spettacolino teatrale e production music, è capitata l’occasione di comporre la colonna per un piccolissimo film. Conoscevo e collaboravo già da un pò di tempo con Alessandro. Abbiamo deciso di lavorare insieme sulla colonna e da lì le cose sono andate avanti.

5) (risposta di Alessandro Forti):
È successo quasi per caso, la musica mi aveva sempre colpito, sin da giovanissimo, per l’intensità delle emozioni che riusciva a trasmettere e per me, andare al cinema a vedere un film, è sempre stata anche un’esperienza musicale, ero affascinato dal potere descrittivo della colonna sonora. Quindi l’idea di scrivere, un giorno, musica da film è sempre stata nei miei pensieri. L’incontro con Francesco è stato decisivo e l’occasione è arrivata qualche tempo dopo: l’incarico di comporre la colonna sonora per un piccolo film. Fu tale l’entusiasmo per quel primo lavoro che mi spinse a proseguire con Francesco su questa via.

6) La cosa più importante è che il lavoro del compositore in qualche modo sia visibile e rintracciabile.
Abbiamo lavorato attraversando il periodo di transizione tra il CD e la musica digitale, quindi alcune nostre colonne sono state stampate fisicamente e vendute, altre, le più recenti, sono disponibili solo come file digitali, altre ancora non esistono proprio, a causa di editori poco o per nulla interessati a diffonderle. E’ una questione di ritorno economico: i CD non si vendono più, realizzarli costa e gli editori non li stampano. I file digitali si vendono pochino, si rubano tantissimo ma costano poco o niente agli editori che quindi sono disponibili a metterli in vendita su internet. Comprensibile. Sarebbe bello però (e questo vale per tutta la musica, di ogni compositore e di ogni genere) che ogni disco presente negli store digitali fosse sempre accompagnato da un booklet in pdf con le informazioni sulla musica, cioè l’equivalente delle vecchie note di copertina degli album. E’ una pratica poco comune, purtroppo. Ma come si fa a sapere chi ha suonato nel disco, o chi l’ha registrato, e quando e dove è avvenuta la recording session, se si ha a disposizione solo un file mp3? Sarebbe, a nostro avviso, un primo passo per restituire un pò di personalità ad un mucchio di file totalmente anonimi, che hanno solo un metatag con il titolo e il nome del compositore.
E questo, ripetiamo,  è un auspicio che estendiamo a tutta la musica, di tutti i generi, non solo alla musica da film.
Per quanto ci riguarda più che il CD fisico rimpiangiamo soprattutto il vinile. Lo troviamo un oggetto bellissimo, il giusto supporto per conservare con dignità un’opera musicale. E’ vero: ha poco spazio, se non si tengono bene scricchiolano, si impolverano, saltano. Ma non c’è nulla da fare, il vinile ha fascino, suona bene (meglio di molti CD e file digitali) e le copertine possono arrivare ad essere delle opere d’arte. Il CD, al contrario,  ci è sempre sembrato un oggetto dotato di scarsa personalità. Le confezioni si rompono (ed è pure difficile aprirle!), i booklet interni, quando ci sono, sono troppe volte fatti senza gusto e al risparmio. Per non parlare del fatto che, a differenza del vinile, i CD spesso sono masterizzati con una compressione troppo alta che penalizza fortemente il suono. Idem per i file digitali. E’ la famosa loudness war, che tutti ci auguriamo finisca.
La musica digitale, il download, sono ovviamente dotati di ancora meno personalità del CD. Però ci sono alcuni indubbi vantaggi. I file audio pesano sempre meno, non si rovinano, e hanno una grande facilità di diffusione. E’ bello pensare che chiunque componga musica sia oggi in grado di raggiungere tutte le case del mondo grazie ad una rete internet, basta accendere un computer per scoprire musica nuova, ma in tutto questo c’è un aspetto che non ci convince: ci sembra che proprio in virtù di questa facile e soprattutto gratuita reperibilità, la musica abbia perso di valore, sia diventata un oggetto di consumo più che l’espressione di un artista. Tuttavia il processo è irreversibile, è inutile negarlo. Bisognerà lavorare per donare di nuovo alla musica la giusta dignità che le spetta. Anche sotto forma di un bit digitale.



Giordano Corapi (compositore di Là-Bas, Take Five)

1) Normalmente per quanto concerne l’esplorazione e la ricerca del tema o dei temi preferisco partire dalle suggestioni “provocate” dalla prima lettura della sceneggiatura  e dal dialogo con il regista. Una volta individuati i temi, comincio a lavorare a diversi arrangiamenti, che poi vado a verificare sul girato o le prime versioni del montato.

2) Qualora il budget non sia adeguato, ma il film necessiti comunque di un ensemble orchestrale, faccio una pre-produzione ed un editing molto accurato con virtual di ottima qualità, cercando di raggiungere un suono il più naturale e veritiero possibile  Dopodiché grazie agli strumenti solisti, a cui faccio replicare anche le parti orchestrali, vado a finalizzare in studio con le parti soliste a cui non si può rinunciare, dedicando particolare cura all’ambiente di riverbero degli strumenti virtuali.

3) L’iter: lettura della sceneggiatura, scambio di suggestioni (anche le più disparate e apparentemente lontane possibili) con il regista per individuare il tono, il mood ed il “colore” del film; quindi ricerca musicale a 360 gradi. Cominciare a buttare giù diversi provini, anche di segno molto differenti tra loro e cercare di avere pronte diverse M, prima che il regista entri al montaggio. Al montaggio provare a “piazzare” i provini sulle scene per cui sono state scritte ma anche su altre scene (spesso l’effetto di una musica su una scena diversa rispetto a quella per la quale era stata pensata è una bella sorpresa) contando sulla disponibilità del montatore. Se, purtroppo, è stata utilizzata temporary music a cui spesso montatore e regista si “affezionano” (non fosse altro perché l’hanno sentita e risentita innumerevoli volte), cercare di cogliere solo il mood di quelle musiche, interpretando l’essenza di quella scelta e scrivendo qualcosa di proprio ed originale che sia in grado di restituire quel “colore” che il regista ritiene oramai insostituibile.

4) In realtà credo che tutti gli score mettano il compositore  di fronte a difficoltà “insormontabili”: prima fra tutte quella di riuscire a calarsi e fondersi completamente con le immagini per creare qualcosa di indissolubile: esattamente quella musica di quel film.
Devo dire che particolarmente difficile è stato trovare il tono giusto della colonna sonora di Take Five di Guido Lombardi: la difficoltà maggiore è stata quella coniugare delle musiche tipiche del film di genere con temi ed arrangiamenti che avessero anche un carattere autoriale ed uno spessore drammatico. Abbiamo allora concepito la colonna sonora come un’unica partitura jazz dove ad ognuno dei cinque protagonisti fosse affidato uno strumento solista: questo ci ha aiutato a creare un doppio registro sonoro.

5) Ho cominciato a scrivere musica per piccoli cortometraggi (che ritengo essere un’ottima palestra per cominciare a misurarsi con la musica applicata alle immagini). Il cinema, insieme alla musica che studio da “sempre”, è la mia più grande passione: la composizione di musica assoluta ha ormai spazi sempre più ristretti e di nicchia, la musica applicata, al contrario, ci offre una grandissima opportunità: quella di veicolare attraverso le immagini sensazioni ed emozioni capaci di andare oltre il mero orizzonte sonoro.

6) Veder “materializzato” il proprio lavoro in un CD è sempre una cosa che fa molto piacere e dà grande soddisfazione  È però d’altra parte vero che oramai, a parte la stampa del CD per  promozione e per la vendita attraverso piccole distribuzioni specializzate per amatori, il CD è purtroppo un oggetto che non ha più un mercato reale. La cosa più negativa dell’aspetto del download (spesso illegale) è che si perde il valore che si dedica ad un opera originale ed artigianale, massificandola e confondendola con tutto il resto. Acquistare un CD ha sicuramente il vantaggio di sapere che chi lo ha acquistato avrà maggior cura ed attenzione nell’ascoltarlo. Connessa a questa problematica c’è anche quella della sempre minor qualità del prodotto stesso: dal suono analogico del vinile siamo passati al CD digitale (perdendo la “pasta” e la profondità del suono)  per poi finire agli mp3 ipercompressi di infima qualità.



Remo Baldi (compositore di E fu sera e fu mattina, del fumetto Lùmina)

1) Prima di tutto cerco di incontrare ed avere un profondo scambio di vedute con il regista o il direttore artistico del progetto. Uno scambio di vedute non solo sulla storia ma anche e soprattutto sul “modo di vedere”, sul feeling con cui si avvicina alla storia. Dopodiché tutto sta allo stato di avanzamento del lavoro e alla flessibilità della produzione. A volte c’è la possibilità di lavorare fin dal principio con completa libertà nello stabilire approccio linguistico, strumentazione e sonorità. Altre volte alcune scelte sono già state fatte (sottoponendo a determinate scene la temutissima “musica temporanea”!) e quindi non resta che adeguare la creatività a paletti che vengono posti. Il che in realtà, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, è esattamente quello che si è sempre verificato quando un compositore si è cimentato nella composizione su determinate forme storiche come una fuga o una sonata.

2) In mancanza di “budget orchestrali”, il mio primo pensiero (sempre compatibilmente con lo stile del progetto) è considerare l’uso di sonorità cameristiche, quindi l’esecuzione con pochi solisti. Un quartetto d’archi, un violoncello con pianoforte, chitarra e mandolino sono già potentissimi strumenti con una gamma incredibile di sonorità e avvicinabili con un budget ragionevole. Per quanto mi riguarda sono assolutamente convinto che nel mare di campioni (anche di altissimo livello) in cui siamo avvolti, la vera differenza alla fine la faccia ancora quel respiro musicale che solo un essere umano può modulare con risultati apprezzabili. L’elettronica come strumento sostitutivo del corrispettivo umano è certamente un mezzo da padroneggiare bene per potersi presentare professionalmente con le proprie idee o per giungere a risultati accettabili quando veramente le ambizioni sono tante ma i mezzi pochi. L’editor MIDI della propria DAW deve essere conosciuto almeno quanto il caro vecchio pentagramma! Ma alla fine dei conti tutta la mia determinazione è per far si che la musica sia “sempre umana”. Detto questo, molto pragmaticamente, sono convinto anche che una buona base di campionamenti può ibridarsi con ottimi risultati su una performance dal vivo. A volte le librerie di campioni sono una risorsa dal cielo per assicurarsi l’accesso a strumenti spesso rari oppure difficilmente gestibili. E non dimentichiamoci che l’elettronica può essere anche intesa come modellazione creativa e sperimentale di materiale audio oppure creazione attraverso la sintesi di sonorità assolutamente caratterizzate. In questo caso va assolutamente trattata come risorsa timbrica a sé stante che va scelta (come tutto) in base al progetto.

3) Come già accennato la grande sfida ancora prima di essere musicale è a livello personale. Un regista o un montatore possono essere di mentalità molto aperta, ben disposti a stimoli e dotati di un gusto raffinato per la musica oppure avere le idee già molto chiare ed essere molto stringenti in termini di richieste espressive...la partita prima che sul pentagramma si gioca sul grado di libertà che sì è in grado di ritagliarsi e sul rapporto di fiducia che si crea con i direttori artistici del progetto. Per la mia esperienza, dopo il contatto col regista e l’approfondimento con la sceneggiatura, è stato sempre utile lavorare in libertà ad un nucleo di prime idee che possiamo chiamare “temi” o anche solo “idee di sonorità” coi quali ci si confronta con il regista per tentare di far sbocciare la scintilla necessaria. E’ importantissimo che avvenga questa sorta di imprinting tra musica e regista: il regista deve trovare la musica che si adatta al suo film come la scarpetta a Cenerentola! Una volta ottenuta quella associazione si passa all’ascolto delle tracce temporanee, si cerca la declinazione migliore ed espressivamente più vicina al feeling che loro hanno già in mente per quel passaggio. Questa è la parte in cui viene veramente fuori il “mestiere” compositivo, il saper piegare il materiale musicale alle varie situazioni, come un vero artigiano della musica.

4) Ricordo un caso di una sequenza con montaggio alternato per un paio di minuti, 30 secondi di dialogo e ancora altra scena tutta da musicare e senza dialogo da un minuto e mezzo. Mi ricordo che compositivamente quei 30 secondi di dialogo mi avevano dato qualche grattacapo. Togliere la musica per poi rimetterla subito dopo non mi sembrava efficace, d’altra parte bisognava trovare qualcosa di molto leggero per far uscire i dialoghi e permettere di riprendere il volo senza traumi nel finale. Dopo più di un tentativo trovai la soluzione lasciando solo l’arpa con degli accordi molto isolati tra loro che dilatavano il senso del tempo ma facevano progredire l’atmosfera armonica di modo che al rientro della musica dopo il dialogo l’effetto fu quello di una specie di risoluzione della cadenza che lentamente avevo guidato con l’arpa.

5) Dopo il liceo mi sono trasferito a Bologna per continuare a studiare musica all’Università. E’ in quel primo anno che ho avuto occasione di avvicinarmi alla Storia della Musica e alla Storia del Cinema più consapevolmente scoprendo tutti quei capolavori che fin da subito mi colpirono per la loro forza musicale e visiva. E ascoltare nuovi autori, riascoltarne di vecchi che da ragazzo avevo sempre sentito (ma a cui non avevo dato mai un nome) mi ha dato la consapevolezza che quello era il settore nel quale volevo lavorare.

6) Personalmente è un modo come un altro per rendere reperibile il proprio lavoro. Dalle mie piccole esperienze tuttavia mi sono accorto che le cose da fuori sono un pò diverse e per il pubblico, che tendenzialmente è sempre un pò nostalgico, poter stringere tra le mani “l’oggetto sul quale è incisa la musica” ha ancora un richiamo molto forte. Anche il valore dell’”ecco il mio CD” è molto più forte del “puoi trovare i miei brani online” nel modo di presentarsi. Chiaramente la situazione è molto complicata e il passaggio delicato che stiamo attraversando tra musica come “bene” (vinile, CD, file posseduto) a musica come “servizio” (lo streaming da youtube, spotify e servizi simili che stanno crescendo vertiginosamente) non aiuta i piccoli autori di generi particolari (come la musica per le immagini) a trovare una soluzione sempre valida. Ma sono continuamente fiducioso che la qualità di un lavoro aiuti sempre la sua diffusione e in questo senso mai come ora è possibile per chiunque diffondere e condividere attraverso la rete il proprio lavoro!

FINE TERZA PARTE




VAI ALLA SECONDA PARTE

Stampa