Bisogna avere appetito per la musica – Intervista esclusiva a Savio Riccardi

Bisogna avere appetito per la musica – Intervista esclusiva a Savio Riccardi

Abbiamo incontrato il Maestro Savio Riccardi, autore di numerose colonne sonore per televisione e cinema.
Savio Riccardi è particolarmente attivo nel campo della musica per il piccolo schermo, e il suo curriculum vanta numerose partiture per fiction e sceneggiati; suoi i contributi musicali per Le tre rose di Eva, Elisa di Rivombrosa e L’onore e il rispetto.
Il nostro incontro ha i toni di un’amichevole conversazione; il Maestro Riccardi non lesina racconti, battute di spirito e citazioni colte, rivelando una padronanza non comune della letteratura musicale. Conversare con lui è un’esperienza che va oltre l’aneddoto o il quesito da intervista e, partendo dalle domande doverose sul suo iter artistico, ci si ritrova a parlare di jazz e filosofia.

Savio Riccardi: Il lavoro che svolgo io mi dà l’opportunità di poter scrivere per orchestra. Quando lavori per l’immagine, specialmente per la televisione, parte di ciò che hai composto viene sacrificato o scartato, principalmente per motivi di ordine tecnico. Ma devo dire che, pur limitando alcuni contenuti in funzione del mezzo visivo, il contenuto musicale rimane intatto e arriva comunque al pubblico. C’è molta più attenzione di quella che non sembri verso il ruolo del compositore; è un lavoro che ha una platea davvero vasta. Basti pensare che la musica di uno sceneggiato viene recepita da sei/sette milioni di persone a sera, anche se una piccola fetta di queste può vantare una profonda conoscenza dei linguaggi musicali.
Nel caso mio mi farebbe piacere espandermi di più verso il cinema. Ad essere onesti negli ultimi 5, 6 anni scrivo più musica contemporanea che musica da film. Sto realizzando lavori di scrittura per pianoforte e orchestra, per non inaridirmi in un ruolo quale quello del compositore monocorde. Bisogna essere curiosi di cose diverse, prima e durante il proprio percorso. Parto sempre da un fatto: tutto quello che si traduce nella propria opera - fantasia, eleganza, forma - non deve superare l’aspetto più importante, che è convivere con l’emozione. Altrimenti la musica diventa un linguaggio per adepti, che parlano in nome dello spirito santo di Mozart e Bach, che in realtà erano anche trasgressori della musica.

cover le tre rose di eva 2

Colonne Sonore: Come si è avvicinato alla composizione per il mezzo audiovisivo?
SR: Ho iniziato a fare questo lavoro perché, come accade spesso, si è presentata l’occasione. Ma inizialmente non avevo il lucido e consapevole obiettivo di fare il compositore per film.
Il mio percorso non era indirizzato alla musica di commento; ho preso le prime colonne sonore come un’opportunità per fare pratica, con il pregio e la fortuna di lavorare con grandi orchestre come quelle di Sofia, di Budapest e di Praga; sono stato due volte a Londra con la London Symphony.

CS: Oggi nella musica da film affluiscono personalità musicali molto diverse; se un tempo il compositore veniva da un ambiente colto, oggi numerosi nomi di spicco vengono dalla leggera o dall’elettronica. Sulla scorta della sua formazione, ricordiamo principalmente da autodidatta, lei come si colloca?
SR: Ho cominciato con le musiche per il teatro tanti anni fa, a Napoli. Poi sono passato per il pop e ho militato in formazioni jazz; dopo ancora ho ripreso gli studi classici, ma sempre facendo da me.
La mia formazione nasce da un insieme di tante esperienze, la maggior parte legate a teatro e televisione, ma è importante provare e sperimentare. Ricordo il mio primo lavoro di cinema, circa 20 anni fa: andai in India a registrare in trio con sitar e tabla. Tornai in Italia per integrare queste registrazioni con una piccola orchestra. Quella del pop è stata solo una parentesi di passaggio.



CS: Oggi l’offerta per chi desidera studiare musica, o addirittura indirizzarsi alla musica applicata, è davvero sterminata. Quali consigli si sente di rivolgere a chi desidera avvicinarsi alla “musica d’uso“?
SR: Onestamente non saprei rivolgere un consiglio preciso. Ripeto, a me è “capitato“, perché lavoravo in teatro con Lamberto Lambertini e...da cosa nasce cosa. Non ho mai fatto una telefonata per chiedere di poter fare la musica per un certo film, quindi non so dove materialmente si possa tessere la tela per creare contatti o collaborazioni.
Non condivido del tutto la riduzione della musica al solo campo della “soundtrack“. Rinchiudersi in una visione specialistica della colonna sonora senza affacciarsi al vasto universo che la musica offre è un atteggiamento miope, ottuso.
Questo universo che è la musica è un campo metafisico popolato di geni, come la pittura e la letteratura: è come se una persona uscisse dall’università senza aver letto Proust, Joyce, o “Delitto e castigo“. La musica è questo: bisogna viverci dentro e tenere acceso l’interesse e la curiosità, bisogna…appetirla. Bisogna avere appetito per la musica.
Anche se si fa musica per spot e sceneggiati, bisogna ascoltare cose nuove e andare a cercare i classici. Nuccio Ordine (letterato e filosofo, ndr.) a proposito dello studio diceva che non si può orientare un giovane incanalandolo nelle materie umanistiche solo perché gli piace leggere. Il giovane deve studiare per riempirsi di meraviglie verso le cose che l’uomo ha prodotto, poi si vedrà in quale campo può investire le proprie predisposizioni. Allo stesso modo il compositore non può settorializzarsi nel campo del video, trascurando l’opera dei grandi del passato.
Della colonna sonora non mi piace il finalizzare, strumentalizzare dei concetti, puntare ad un’eccessiva professionalizzazione scolastica. La colonna sonora deve avere sì un grado strumentale, ma il compositore di musica applicata non può non conoscere Bartok, Stravinskji, Duke Ellington, ma anche i Beatles, Dylan o Bjork, giusto per fare dei nomi.

CS: Questo atteggiamento “specializzante“ non è proprio della sola istruzione musicale, però. Forse la confusione dei ruoli dipende da un disordine nella formazione dei musicisti. L’offerta formativa per chi desidera avvicinarsi a questo modo forse è fin troppo ampia, si corre il rischio di creare confusione.
SR: Secondo me nel nostro Paese la scuola non gode di buona salute dal punto di vista istituzionale: manca questa forma di distacco, di “disinteresse“. Io devo poter studiare una cosa con “disinteresse“, cioè con interesse e passione, ma senza finalità utilitaristiche, di farne cioè da subito un campo di lavoro.



CS: Sulla scorta di queste considerazioni, torniamo alla musica da film. In Italia, per la precisione. Qual è lo scenario attuale per un compositore?
SR: Oggi, rispetto a 30 o 40 anni fa, manca il cinema di genere. Penso a Dario Argento negli anni ‘70 e i gialli dell’epoca, che avevano connotazioni musicali precise e vibranti. La televisione è diventato territorio privilegiato dei musicisti, perché è un approdo più sicuro, ma il cinema, rispetto alla tv, dà ancora possibilità per sperimentare.

cover questa la mia terra

CS: A questo proposito, come dialoga con il regista quando è chiamato a realizzare una colonna sonora? Solitamente viene proposta una “temp track“?
SR: No, di rado avviene. E quando succede è “una mazzata“: quelli si affezionano al commento, e come glie lo rifai? (Ride) Più spesso si propone un mood, un suggerimento stilistico, ma il compositore, magari partendo da un confronto con il regista, deve poter prendere una strada propria.
Bisogna scrivere liberamente, pur assecondando delle specifiche esigenze; in tanti anni mi è capitato solo 3 o 4 volte di trovare una musica d’appoggio da imitare. E quando mi è capitato ho fatto tutta un’altra cosa.
Si crea anche, tra regista e compositore, una dinamica di “work in progress“, un qualcosa di graduale, per cui imitare una musica temporanea sterilizza molto il compito del musicista.
Quando finisco un lavoro o una colonna sonora, mi pongo sempre la domanda “Avrei mai pensato di scrivere questo?“. Se la risposta è “Si“ ho mancato l’obiettivo. Se è “No“ allora ho fatto un buon lavoro. Ci deve essere sempre l’imprevisto, altrimenti tutto diventa arido, sterile, prefigurato.
Il percorso musicale deve crescere man mano: parti da un’idea, per poi finire verso lidi che non avresti mai considerato all’inizio. A me questo interessa in musica.

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