Le cose avvengono perché devono avvenire - Intervista esclusiva a Stelvio Cipriani

Le cose avvengono perché devono avvenire - Intervista esclusiva a Stelvio Cipriani

Film: Un biopic sulla vita del compositore di Anonimo Veneziano, Stelvio Cipriani
Interprete: Cipriani Stelvio
Regia di M. Privitera, G. Tomassacci & C. Milone
Location: Roma
Scena: Interno Giorno – Appartamento del protagonista
Ciak in campo – Motore – Azione:

Colonne Sonore: Qual è stato il percorso che l’ha portata nel mondo della musica e ad avvicinarsi alle colonne sonore?
Stelvio Cipriani: Di fatto non accade che uno si sveglia la mattina e diventa compositore di colonne sonore! La realizzazione della mia prima partitura per film risale al 10 Luglio del 1966, era una pellicola western con Tomas Milian, The Bounty Killer. Prima di cimentarmi con la musica applicata, frequento parecchi anni di conservatorio, contemporaneamente studiavo come ragioniere, e in quegli anni suonavo con un complessino e venimmo scritturati su una nave da crociera americana per sei mesi, nave che partiva da New York e navigava per tutto il Mar dei Caraibi. Fu una grossa esperienza che ci formò parecchio, furono 14 – 15 crociere da 10 – 15 giorni l’una, poi la nave cambiava logicamente passeggeri e noi avevamo due giorni di riposo in cui potevamo liberamente girare per New York. In quelle pause lavorative ebbi la grande occasione di perfezionare i miei studi jazzistici, conoscendo il famoso e importante musicista e compositore jazz Dave Brubeck. Entrammo io e il mio batterista in un noto locale jazz, il Birdland, e li lo incontrammo mentre stava provando con il suo quartetto di musicisti altrettanto celebri. Noi eravamo giovani, tra i 19 – 20 anni, e ci presero subito in simpatia. Ci chiesero se eravamo musicisti e noi gli rispondemmo che suonavamo a bordo delle navi da crociera. Brubeck che era un musicista di formazione classica, appassionato di Bach, mi chiese che strumento suonassi ed io risposi il piano (ero fresco di conservatorio), e lui mi invitò a suonarlo, ed eseguii un preludio e una fuga di Bach. Gli piacqui molto e da li in avanti mi diede delle lezioni (ancora oggi conservo gelosamente dei suoi spartiti e manoscritti originali!). Dopo questa meravigliosa esperienza con Brubeck e le navi da crociera, col mio complessino tornammo in Italia e iniziammo a suonare nei Nightclub. Eravamo la seconda orchestra-complesso, visto che si suonava su turni, dalle 22:00 alle 4:00 del mattino, a supporto di Peppino Di Capri. A quei tempi non c’erano gelosie di alcuna natura, si suonava in tutta tranquillità; d’altronde io non cantavo come Di Capri e lui non suonava il piano come me (risate). Eravamo amici fraterni, questo è quanto! Finita anche questa bella esperienza - siamo nel 1962 – incontro, nella sede della CAM in cui ero impiegato come pianista, Teddy Reno che aveva saputo che leggevo la musica benissimo, sapevo arrangiarla e suonarla al piano, il quale mi propone di lavorare come pianista in un Festival degli Sconosciuti, da lui creato, per provinare nuovi cantanti emergenti. Durante quelle selezioni incontrai la ragazzina Rita Pavone, la segnalai a Reno che la scritturò alla RCA facendola diventare la famosissima Rita Pavone che noi tutti ben conosciamo. Di conseguenza, dopo la mia segnalazione, per due anni e mezzo divenni il pianista e direttore d’orchestra personale della Pavone in un tour mondiale (avevo 23 – 24 anni e fu un’esperienza formativa professionale straordinaria!). Abbiamo fatto insieme due volte il giro del mondo in concerto. Conclusasi quest’altra notevole esperienza, nel 1966, tornato in Italia, intrapresi la carriera di compositore di musica per film. Questa tipologia di carriera, l’ho detto mille volte, non nasce frequentando un istituto di autori di colonne sonore; ad esempio, quando un ragazzo o una ragazza finisce il Liceo Scientifico, i genitori gli chiedono giustamente cosa vorrebbero fare in seguito e se uno di loro gli risponde ‘Architettura’ o ‘Ingegneria’ o ‘Giurisprudenza’, il padre e la madre lo/la iscrivono in quella Università specifica. Ma se i giovani ti dicono ‘voglio fare musica da film’, dove li mandi? Al Conservatorio no, perché li insegnano la Musica, non la Colonna Sonora! Ti insegnano a suonare, in poche parole, ma poi sta a te decidere dopo il diploma cosa fare, se il concertista, il direttore, quello che vuoi, insomma. La Colonna Sonora è una vera e propria specializzazione e richiede tanti requisiti. Allora, giustamente, vi starete chiedendo: “Ma lei Signor Cipriani che requisiti aveva per diventare compositore di colonne sonore?”. Non è che fossi nato ‘Bravo’ ma avevo una certa infarinatura, diverse esperienze importanti alle spalle, di cui sopra, e alcuni requisiti non comuni – non è detto che se sei un ottimo pianista o musicista sarai altresì un ottimo compositore di musica applicata – perché per essere un buon artigiano di musica per film devi possedere speciali inclinazioni, tanta abnegazione e un particolare codice scritto nel tuo DNA: o lo possiedi o non lo possiedi! Attraverso le mie varie esperienze lavorative mi accorsi di possedere tale inclinazione, mi iscrissi all’Orchestra Unione Musicisti di Roma e partecipai a varie sessioni di registrazione di colonne sonore di compositori di una generazione avanti la mia, Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Nino Rota, etc. Si registravano le partiture con un’orchestra formata da vari organici, tra cui anche le tastiere, clavicembalo, pianoforte, organo e celesta. A me non capitò mai sui vari turni di sessione di suonare il piano, dato che esisteva una gerarchia tra i musicisti e quelli più anziani di me, come il grande Arnaldo Graziosi, il numero uno. Ironia della sorte, quando divenni un famoso compositore di musica per film, proprio Graziosi suonò il piano nella mia celebre Anonimo veneziano e rimane per me un ricordo meraviglioso. Solitamente durante le registrazioni di colonne sonore, suonavo la celesta, uno strumento impegnativo, in un organico di 60 – 70 elementi, e ciò mi permetteva di assistere a come nasceva una partitura per film. Proprio in occasione delle sessioni degli score di tre film di Fellini, musicati ovviamente da Rota (Giulietta degli spiriti, Roma e il terzo non lo rammento!), suonavo proprio la celesta diretto dal grande Carlo Savina, e li capii il valore della musica sul filmico, con il regista presente in sala di incisione, lo schermo davanti l’orchestra per andare in synch sulle immagini e così via. Un impatto notevole per comprendere appieno come si componesse per il Cinema. Un’enorme lezione professionale! Alla fine del blocco inciso (2 o 3 minuti in totale), si accendevano le luci in sala e Fellini entrava per dire la sua opinione e fare le sue osservazioni, parlava con Nino Rota: e in quel momento che si carpiscono tutti i segreti del comporre una musica per film. Mi ricordo che durante le sessioni di Giulietta degli spiriti, Rota aveva composto un bellissimo pezzo (e sulla bravura di Rota è inutile discutere!), orchestrato ed eseguito alla perfezione; Fellini invece entrò, noi tutti gli orchestrali in ossequioso silenzio, e rivolgendosi al suo amico compositore milanese, gli disse: “Ninetto hai composto un brano eccezionale, meraviglioso, però adesso mi riesegui il pezzo con soltanto un flauto (premesso che li vi erano settanta maestri d’orchestra), una chitarra e un basso, e il resto degli orchestrali si vadano a prendere un caffè (risate)”. Io rimasi di stucco ma compresi alcune cose che mi tornarono utili in seguito quando intrapresi la carriera di compositore per il cinema. Quindi fecero ripartire la scena, il flauto eseguii la melodia dapprima suonata dai violini, la chitarra classica arpeggiava dando le armonie e il basso il senso dinamico, tutto molto scarno ma articolato. Accese le luci Fellini fu contento ed io capii che forse il regista aveva ragione. Sommando tutte le esperienze in sala d’incisione e facendone tesoro, arrivai a scrivere la prima colonna sonora, quella summenzionata per Tomas Milian.



CS: Tomas Milian nella sua autobiografia “Monnezza amore mio” racconta un aneddoto a proposito del suo incontro con lei: “The Bounty Killer fu un grosso successo come anche la colonna sonora scritta da Stelvio Cipriani, un giovane che trovai io stesso durante una visita a una casa discografica. Sentii venire da un pianoforte una melodia che pensai sarebbe stata perfetta per il film, così parlai col pianista e lo raccomandai al produttore e al regista. Fu la prima colonna sonora suonata da Cipriani, che poi sarebbe divenuto famoso con Anonimo veneziano”. Che ricordo ha di Milian e di quella sua prima partitura per un western italico di Eugenio Martin del 1966?
SC: Milian venne alla Ricordi dove lavoravo come pianista e dovevo insegnargli a cantare una canzone. Io venivo dalle importanti esperienze in tutto il mondo, nei teatri più famosi, con Rita Pavone e non è che mi importasse tanto dover dare lezioni di canto ad un attore per 1.500 lire al giorno (sacrosante!), ma tant’è, accadde lo stesso. Dopo tre o quattro lezioni – era un venerdì – non parlavamo quasi mai, lui era molto timido, ed io non lo ero ma non sapevo che dire, soltanto “Buongiorno, buongiorno”. Ad un tratto lui mi chiese se poteva farmi una domanda (eravamo veramente giovani, lui poco più grande di me), ed io dissi di sì, allora Milian sentenziò: “Lei è di Roma?”, io risposi “Sì, perché?”, “Perché i romani parlano, parlano e lei invece non parla mai” (risate). Simpaticamente controbatto: “Egregio Tomas, io parlo quando c’è da parlare, altrimenti è inutile, io non la conosco, non ho confidenza, eseguo il mio ruolo e basta. Io ho i problemi miei, che gliè devo dì” (altre risate). Lui in quel momento mi disse: “Lei suona molto bene, per caso ha mai composto un ‘Deguello’?”. Allora, io ero pianista, musicista, arrangiatore, direttore d’orchestra…ma compositore no! Non avevo mai scritto niente, tra l’altro cosa non facile da fare, però mi vennero in aiuto i famosi requisiti di cui sopra, il DNA del quale parlavo, e a quella domanda mi scattò subito qualcosa che lui sorvola nel libro, ma che io non sorvolo affatto, perché ho studiato, eccome e quanto. Avviene ciò che avviene perché deve avvenire! Non so se mi spiego!? E’ un mosaico che si compone, è la vita! Non avendo mai scritto un brano, arriva Questo e mi chiede un “Deguello”. Forse era meglio un valzerino, ma proprio un cover bounty killer“Deguello”? Ecco allora un ‘Perché?’ che ti cambia la vita. Io ero seduto al pianforte e anziché rispondere un ‘sì’ o un ‘no’, dove il ‘no’ era la verità che poteva precludermi il futuro e ‘si’ una bugia che avrebbe comportato l’esecuzione istantanea al piano davanti a lui, dissi in una frazione di secondo: “Perché?”. Non lo dissi calcolato ma istintivo perché in cuor mio sapevo già di aver metabolizzato la cosa e l’unica risposta poteva essere quella. Al mio ‘Perché?’ Milian mi spiegò semplicemente che: “Oggi è venerdì, ci vediamo domani mattina per la mia lezione. Se riesci a farmi sentire un ‘Deguello’, domani sera lei parte con me per Madrid per assistere alla proiezione di questo mio film western per il quale stanno cercando il musico”, io dissi “Il musico?”, e Tomas continuò “Se mi fa sentire qualcosa, la presento al regista e alla produzione e se va, va!”. Io non aspettavo altro; piccolo dettaglio però: “Io domani le farò sentire qualcosa (non sapevo come!!!), qualora andasse bene, per andare a Madrid ci vogliono 250mila lire che non posseggo. Per caso me le può anticipare lei che gliele restituisco se tutto va per il meglio?” e lui rispose “Ci penso tranquillamente io”. Cosa è successo alla fine? Mentre accadeva tutto ciò, con la mente andai ad un avvenimento del 1963 – 64 in cui mi trovavo coinvolto lavorativamente con Rita Pavone, durante la registrazione di una puntata del The Ed Sullivan Show, famoso programma delle reti CBS statunitensi, che si girava a New York. Un programma come il nostro Domenica In con 3 – 4 milioni di telespettatori, che invece in America faceva 130 milioni di telespettatori, che alla domenica ospitava come contenitore televisivo molteplici ospiti di varia natura, quali Frank Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis Jr., Ella Fitzgerald, etc. La volta di cui vi sto narrando, vi era come ospite niente popò di meno che il celeberrimo compositore premio Oscar Dimitri Tiomkin, quello appunto del “Deguello” e di tante score per famosi western, anche con John Wayne (Un dollaro d’onore, La battaglia di Alamo). In quell’occasione, quel furbacchione di Teddy Reno mi disse, durante una pausa della registrazione del programma, di andare nel camerino del mio mito Tiomkin con la Pavone per far fare una foto a tutte e due per i giornali dell’epoca. Io ubbidii e bussai al camerino del Maestro, numero uno in quel periodo come compositore per il Cinema, e lui fu molto gentile con noi, con Rita che aveva 17 anni al tempo, la quale gli regalò il 45 giri del “Cucuzzolo della montagna” (risate). Fu fatta la foto che uscii su tutti i giornali del mondo e Tiomkin, molto gentilmente, contraccambiò il dono discografico di Rita regalandole tre 33 giri di sue colonne sonore. Logicamente, in alcuni di questi vinili vi era il suo celebre pezzo “Deguello” da Rio Bravo (Un dollaro d’onore). Ecco, le cose avvengono perché devono avvenire: io prendo questi 33 giri e il giorno dopo, quando dovevamo ripartire, ricordai alla mamma di Rita che accompagnava sempre la giovanissima figlia, di mettere in valigia i tre Lp donati da Tiomkin, ma la diciassettenne Pavone mi disse che non gli interessavano e che li potevo tenere io. Io me ne appropriai subito e li portai con me a Roma. Chiusa parentesi. Tornando a Tomas Milian, la sera prima del provino pianistico del mio pezzo, vado a sentire proprio su quei tre 33 giri cosa fosse questo “Deguello” che l’attore mi aveva chiesto di comporre (Cipriani lo imita con la bocca). In quel periodo facevo ancora pianobar nei locali fino a sera tardi, e dopo l’ascolto del celebre tema tiomkiano buttai giù qualche nota su di un foglio, con dinamica e atmosfera del mio pezzo. Durante la serata al pianobar, prima che arrivassero verso mezzanotte i clienti, io provavo al piano qualche brano e la guardarobiera del locale, Mariapia, mi ascoltava solitamente suonare canzoni napoletane così rimediavo qualche cosa (risatina ammiccante), invece quella sera le toccò ascoltare il mio “Deguello”. Il sabato arrivai in orario all’appuntamento e lo suonai davvero bene perché era venuto davvero bene; difatti lì scattò in me la ‘Categoria Compositore’ che fino a quel momento era rimasta dormiente. Quella composizione fu la summa di anni di conservatorio, concerti in giro per il mondo, performance con il complessino sulle navi da crociera, le sessioni di registrazione delle colonne sonore altrui, etc. Avevo accumulato tanta di quella straordinaria esperienza che ero davvero pronto a diventare compositore di musica per film. Quindi, a Milian piacque tanto il mio pezzo, partimmo per Madrid e il produttore José Gutiérrez Maesso e il regista Eugenio Martìn mi fecero sedere al pianoforte davanti un grande schermo di una sala di proiezione nel quale finalmente vidi la sequenza del film che dovevo musicare con il mio tema “Deguello”. Mi emozionai parecchio e anche il produttore ed il regista, a luci accese, li vidi commossi dal mio leitmotiv. In quell’istante entrambi mi dissero: “Esaltante, meravigliosa, Maestro ma quanti film ha musicato?” (risate), ed io risposi “Se me lo fate fare, è il primo che musico!” (altre risate). Questo è stato il mio battesimo da compositore!



CS: A proposito di western all’italiana, lei ne ha musicati ben dodici nella sua lunga carriera cine-musicale (citiamo i più noti: Un uomo, un cavallo, una pistola di Luigi Vanzi del 1967, Blindman e Nevada del 1971).
SC: (Cipriani a questa domanda tira fuori da un cassetto della sua scrivania il 45 giri di Un uomo, un cavallo, una pistola in inglese nella cover realizzata dal grande Henry Mancini, il compositore di Colazione da Tiffany e la saga de La pantera rosa) Vi racconto la storia di come nasce questa esecuzione di Mancini del mio secondo western e come sono arrivato a musicarlo. Dopo il mio primo film, l’anno successivo, il 1967, avevo 27 anni (e per me collocare l’età al periodo è davvero importante!), venne alla CAM un produttore-regista Roberto Infascelli, colui che realizzò in seguito La donna della domenica, La polizia ringrazia e La polizia sta a guardare, che aveva un anno in meno del sottoscritto. Lui aveva realizzato un film, il papà era regista e aveva guadagnato un bel po’ di soldi, nel ruolo principale vi era l’attore americano Tony Anthony (al secolo Roger Petitto). Veniva da New York ed era molto amico di Allen Klein, manager dei Beatles, il quale guadagnava migliaia e migliaia di dollari e per scaricarne qualcuno dava ogni anno a Anthony un milione di dollari (600 milioni di lire) e lui veniva in Italia perché desiderava fare l’attore anche se era davvero incapace (risate), e consapevole di ciò, nonché notevolmente paraculo, si recava da Infascelli per proporgli dei film con lui protagonista. L’ingegnere Gualdi, un uomo sulla cinquantina, molto furbo, gestiva i famosi 600 milioni di lire tutti contenuti dentro una valigetta. Anthony ne prendeva 200 milioni come attore (un attore normale all’epoca ne prendeva 2 milioni su per giù), con i restanti 400 milioni dovevano realizzare il film, ma altri 100.000 se li intascava Gualdi e 100.000 Infascelli, quindi rimanevano per la produzione 200 milioni totali (risate). cover uomo cavallo pistolaCon quei soldi ne producevano più di uno di film, noleggiavano i set, i cavalli, i costumi, etc. etc. Tutto questo per dire che realizza questo film e va alla CAM dal responsabile amministratore delegato Giuseppe Giacchi per decidere chi ne farà le musiche. Infascelli legge alcuni nomi noti nel catalogo della CAM ma ad un certo punto fa il nome di Henry Mancini. Giacchi prima di chiamare il 118 (risate), spiega tranquillamente a Infascelli chi sia Mancini, uno dei compositori più famosi al mondo, premio Oscar, che il suo cachet era di 30.000 dollari (18 milioni di lire del periodo) contro 1 milione di lire che prendeva Nino Rota, 500mila lire Morricone ed io 300mila lire. Inoltre la prassi nel chiamare a musicare un film un compositore straniero era quella di mandare la sceneggiatura al suo agente, che la legge prima e se la ritiene interessante la passa a Mancini, che qualora gli piaccia (è già trascorso nel frattempo un mese) gli devi spedire le pizze del girato, minimo 10. Allora devi andare all’aereoporto per spedirle e nel mentre passa un altro mese – ricordatevi che parliamo sempre degli anni ’60 – e non appena giunte nelle mani di Mancini lui le vede, le studia e poi parte la contrattualizzazione con gli avvocati e dopo che sono trascorsi tre mesi in tutto, il compositore finalmente si siede al pianoforte per comporre. Giustamente demoralizzato da tale spiegazione di Giacchi, Infascelli gli chiede cosa fare in alternativa, e lui gli rispose “Stelvio Cipriani”. E Infascelli disse: “Chi è Cipriani?”. Giacchi prontamente: “Se la musica te la scrive Cipriani, lui è al secondo film, invece tu sei al primo come produttore, quindi 2 a 1, vince lui!” (risate). In fondo il Cinema è questo!
Alla fine io compongo la musica e la CAM s.r.l. (acronimo di Creazioni Artistiche Musicali), casa discografica italiana attiva dalla fine degli anni cinquanta, numero uno nel mondo, dislocata dappertutto, in Giappone, in Gran Bretagna, in America, etc., che per ogni film stampava delle copie della colonna sonora e le mandava alle filiali nel mondo, fece la stessa cosa con il mio tema per Un uomo, un cavallo, una pistola, a mia insaputa. In questo modo tutte le consorelle straniere della CAM Italia possedevano tutto il repertorio discografico della casa madre e potevano usarlo per i caroselli e quant’altro. La musica italiana girava per il globo e si faceva conoscere, e l’editore ne traeva notevoli incassi. Henry Mancini aveva un contratto con la RCA Victor e doveva fare un 45 giri con sul Lato A un suo tema per guadagnarci coi diritti e sul Lato B la cover di un tema western italiano che andava di moda in quel periodo. Quindi Mancini andò alla CAM USA da Vittorio Benedetto, campano trapiantato a New York che dirigeva la consorella americana, il quale diventerà in seguito mio manager per Anonimo veneziano e che mi raccontò quello che vi sto narrando. Mancini iniziò ad ascoltare dei temi per farne una cover da inserire nel suo 45 giri, così trascorse tutta la mattinata ma non rimase soddisfatto. Deluso, fece per andare via ma Benedetto notando un pacco di dischi dalla CAM Italia sul bancone della reception (ecco che le cose avvengono perché devono avvenire!), convinse Mancini ad attendere un altro po’. Vi erano due dischi, uno del compositore Benedetto Ghiglia e l’altro mio, con le musiche di Un uomo, un cavallo, una pistola. Mancini ascoltò dapprima Ghiglia che era più noto come autore di musica per film e non gli piacque, poi lo sconosciuto, al secondo film, Stelvio Cipriani e rimase impressionato. Il mio pezzo aveva una particolarità e con questo non dico che ero più bravo degli altri, ma come arrangiatore scrivevo delle cose diverse per il tempo, e Mancini, anch’egli grande arrangiatore prima che compositore, notò quelle sfumature timbriche e armoniche originali tipiche di chi ha nel suo DNA i requisiti dell’arrangiatore. A lui piacque tanto il mio pezzo e realizzò il disco. Io, ripeto, non ne sapevo nulla all’epoca. Dopo due anni dalla realizzazione del film e delle mie musiche, nel 1969, uno dei due fratelli Campi, fondatori della CAM Italia, Luigi, morto a 28 anni (suonai l’organo al suo funerale), un ragazzo in gamba che aveva aperto le filiali in Giappone e in Spagna, passando da quella di Londra, mi chiamò per dirmi che aveva da consegnarmi una cosa. Arrivo nel suo ufficio e sulla sua scrivania vedo un disco, lui me lo consegna dicendomi che è mio. “Che cos’è?” dico io. E nel frattempo leggo nel Lato B del 45 giri il titolo in inglese di A Man, a Horse, a Gun eseguito da Henry Mancini. Ed io subito pensai a quanto sono strani i giri del fato, perché Infascelli voleva Mancini per musicare il suo film e alla fine le musiche le scrissi io e Mancini ne realizzò in seguito una cover (risate). Se la racconti questa storia quasi non ci credi! Tra l’altro Henry Mancini venne in Italia negli anni ’70 per musicare il film di Vittorio De Sica, I girasoli, che ritengo avere una delle più belle musiche mai scritte. Lui registrò le musiche a Roma ed io seppi questa cosa e insieme a Giacchi, previo appuntamento concordato con De Sica, andammo nella sala di registrazione a trovarlo. Durante l’intervallo tra una sessione e l’altra – nel frattempo avevo visto, in ossequioso silenzio e spalle al muro, i miei orchestrali, con i quali avevo inciso Anonimo veneziano, diretti da Mancini (una ottantina-novantina in totale), eseguire le sue straordinarie musiche – il compositore si andò a riposare su di una poltrona e De Sica lo avvicinò per dirgli che un collega, insieme all’editore, lo voleva conoscere. Io mi portai il 45 giri. Glielo feci vedere e gli dissi che io ero l’autore di A Man, a Horse, a Gun. Mancini rimase sbalordito dalla mia giovane età e quasi non credette che ero io il compositore di quel tema. Gli dissi “I am Cipriani”. Si alzò dalla poltrona e mi fece le congratulazioni (lui a me! – risate). Prendemmo subito confidenza (Cipriani ci indica dei libri di arrangiamenti di Mancini che gli ha regalato, di cui ha fatto tesoro negli anni). A tal proposito, tra i tanti polizieschi che ho musicato, ne feci uno, Poliziotto sprint di Stelvio Massi del 1977, che dissi subito all’amico Giacchi che non volevo commentare con i soliti violini ma soltanto con gli ottoni dell’Orchestra della Rai. Tra i musicisti c’erano i grandi Oscar Valdambrini, Dino Piana, Gianni Basso che eseguivano con Bruno Canfora al sabato sera sulla Rai “Da da umpa, da da umpa” con le gemelle Kessler. Io mi misi a studiare parecchio sui libri di arrangiamenti di Mancini per questo film, e alla fine usai 4 flauti, 4 trombe, 3 tromboni, basso, batteria ed io al pianoforte. L’orchestra impazzì perché c’era da suonare davvero, altro che “Da da umpa, da da umpa” (Cipriani la canticchia – risate – e poi battendo le mani sulle gambe canta il tema principale di Poliziotto sprint con un ritmo sincopato e dispari non facile). Un altro mondo musicale, il jazz, rispetto allo swing suonato da Canfora. Lasciai improvvisare, evidentemente gasati dal pezzo, Valdambrini e Piana, per circa 5 minuti, senza troncare il pezzo mentre dal piano dirigevo l’orchestra.



CS: Rimanendo sul territorio western: cosa ci può raccontare riguardo Blindman di Ferdinando Baldi del 1971. Tra l’altro nel ‘Dizionario del Western all’Italiana’ di Marco Giusti si cita una sua conversazione sullo score del film con il regista Baldi, quando lei si trovò davanti al personaggio cieco interpretato da Tony Anthony: “Facciamogli un tema patetico”. Baldi, da signore, le rispose “Non mi sembra che il film tenda al patetico, diciamo che è ironico”. E lei “Allora facciamolo paraculo
SC: (risate) Nel ruolo principale in Blindman c’era proprio il succitato Tony Anthony e come controparte, suo avversario, Ringo Starr dei Beatles. Io avevo già composto Anonimo veneziano e andavo per la maggiore, avevo parecchie richieste di lavoro. Mi trovavo alla Fono Roma e venne Roberto Infascelli a parlarmi del film che avevo già visto. Dissi a Roberto che l’antagonista con la barba nel film mi sembrava di conoscerlo, anche se io non amavo molto i Beatles, non li trovavo musicalmente nelle mie corde, e non riconobbi subito Ringo Starr dei celebri Fab Four. E Infascelli mi confermò che era proprio Starr, il batterista dei Beatles. Dopo qualche giorno in sala di registrazione per incidere la colonna sonora di Blindman, venne da me di nuovo Infascelli e mi comunicò che Ringo Starr ci teneva ad assistere alle scoring session della mia partitura con 70 elementi di orchestra e anche il coro. Il batterista dei Beatles si vergognava a chiedermelo, perché da ottimo musicista qual’era possedeva parecchia umiltà e non voleva intromettersi nel mio lavoro. Io risposi che mi faceva molto piacere che presenziasse alle mie registrazioni. Starr alloggiava all’American Palace Hotel in Via Archimede e il giorno dopo la cover blindmandiscussione con il produttore lo andai a prendere personalmente alle 8:30 in albergo. Ci rimase un pochino perché non si aspettava che il compositore stesso, dopo che lui mi aveva chiesto per interposta persona il permesso, lo venisse a prendere di persona in hotel. Lo portai subito in sala d’incisione con l’orchestra tutta presente e prima di iniziare la registrazione lo presentai, come era giusto che fosse, a tutti i Maestri musicisti, primo fra tutti Enzo Restuccia, il mio batterista, dicendogli che era un suo collega (risate). Dissi a tutti che Starr era uno di noi anche se più ricco (risate). Applausi da tutta l’orchestra. Lo misi proprio su di un piedistallo e assistette alle sessioni entusiasta, d’altronde era il suo film! Era talmente impazzito per le mie musiche che dopo due giorni, durante un pranzo insieme, Infascelli mi disse che Ringo voleva assolutamente far parte della mia colonna sonora. A quel tempo, era il 1971, Starr si era già separato dal resto dei Beatles che comunque si erano sciolti da tempo, ma era rimasto amico del chitarrista George Harrison. Starr mi propose di interpretare i titoli di testa del film con il sodale Harrison. Io ne fui entusiasta; figuratevi quanti dischi vendevo con il nome dei Beatles a caratteri cubitali in un 33 giri con le mie musiche!? Erano i Beatles, mica il figlio della mia portinaia (risate). Starr prontamente prese un appuntamento con Harrison e andammo tutti, con Giacchi, l’editore e Infascelli, il produttore, a Londra. Registrammo in una sala molto piccola dove in un microfono sovrapponemmo la 12 corde di Harrison mentre intonavano “Sweet Sweet Love”. Erano come due ragazzini, entusiasti di partecipare per la prima volta ad una colonna sonora di un film in cui per giunta Ringo aveva il ruolo del cattivo. Quindi tutto era andato per il meglio, ci dissimo “Ok, Ok” e tornammo a Roma con Starr ed Harrison che attendevano la mia musica sulla quale incidere la loro performance. Tutto tranquillo, insomma! O almeno credevamo! Poi arrivò un telegramma di Allen Klein, ex manager dei Beatles, ora produttore del film e responsabile della distribuzione internazionale, il quale ci comunicava che non era possibile, perché Ringo Starr e George Harrison erano sotto contratto con altri e non potevano incidere per nessun altro. Non ci avevamo riflettuto tanto, presi dall’entusiasmo goliardico della cosa. E fu un vero peccato! Una bella occasione importante mancata.

CS: In che modo si rielaboravano i clichè del genere western italiano e in che misura si poteva trovare spazio per sperimentare all’interno di un genere così ampiamente codificato?
SC:
Per me risultò naturale! Non parlerei di bravura ma è tutta una questione di mestiere! Il famoso DNA, la famosa predisposizione. Tu vai da un orologiaio perché il tuo orologio è fermo e lui ti dice di ripassare tra una settimana che gli da un’occhiata nel frattempo. Ci sono quelli che lo aprono subito, fanno così e così e te lo restituiscono funzionante immediatamente. Non è che sono più bravi degli altri ma sanno fare il loro mestiere. Questo capita a me!

 

CS: Veniamo al 1971 con la colonna sonora che lo ha reso più celebre nel mondo, la splendida Anonimo veneziano di Enrico Maria Salerno, per il quale si aggiudicò il Premio del Sindacato dei Giornalisti Nazionali di Cinematografia come Miglior Colonna Sonora (Nastro d’Argento). Molti all’epoca commentarono che la sua musica era debitrice della coeva e famosa partitura di Francis Lai per Love Story perchè rintracciavano parecchie assonanze nella sua score. Dobbiamo dire che non abbiamo mai riscontrato alcuna somiglianza con l’altrettanto pregevole partitura di Lai, anzi abbiamo sempre trovato la sua musica per il film di Salerno, superiore, un florilegio di melodie straordinarie ed efficaci a tal punto da primeggiare sulle immagini del film stesso. Cosa ci può raccontare di Anonimo veneziano e della nascita del suo tema principale?
SC: All’epoca furono i Media a farne un caso, io mi concentrai, spezzando in due il loro giudizio approssimativo e frettoloso, sulla questione della musicalità. Allora, stavo registrando l’ennesimo film e ad un tratto mi chiamò Giacchi dicendomi di bloccare il lavoro che stavo facendo perché vi era una questione più importante da affrontare. Dovevamo andare di corsa alla CAM dove mi attendevano con urgenza Giuseppe Campi (fratello del succitato Luigi) e l’avvocato Leonetti. Io dissi: “Mi devono carcerare?” (risate). Per farla breve, arrivato alla CAM chiesi cos’era accaduto? In coro mi risposero: “Hanno rubato Anonimo veneziano”. Ed io: “A casa mia, il disco? Che hanno rubato?” (risate). E mi raccontarono la questione delle musiche di Love Story di Francis Lai uguali alle mie. Ma tutti in quel momento si erano dimenticati un particolare fondamentale: io avevo depositato le musiche di Anonimo veneziano il 23 settembre del 1971 e la questione saltò fuori a Dicembre dello stesso anno. Chiesi di essere messo in condizione di ascoltare le musiche di Lai per poter dire ovviamente la mia, se no la questione non sussisteva per me, inoltre non avevo nemmeno visto il film di Arthur Hiller. Campi aveva il disco e me lo fece ascoltare. Mi bastò ascoltare due battute e dissi subito di fermare il disco. Mi rivolsi all’avvocato e gli dissi di non intentare causa perché il fatto non aveva fondamenti alcuni. Non vi erano i presupposti. E subito spiegai tutti loro il perché. Voi da tre giorni ascoltate questo tema e non capite un cazzo di niente! (risate grasse). Mi bastarono quelle due battute per capire immediatamente che non c’era il plagio e lo feci comprendere anche a loro. Successivamente andammo alla CAM di Parigi e incontrammo Francis Lai in un famoso Club del regista Claude Lelouch, tutto documentato da un servizio fotografico dell’epoca con una cinquantina di giornalisti presenti, anche dal Giappone (Cipriani ci mostra le foto storiche del servizio in questione e si mette al piano a suonare il suo tema e quello di Lai e le differenze saltano subito all’orecchio – una tonalità maggiore contro una minore). Queste sono le note, Mi e La, Mibemolle e Sol del tema di Anonimo veneziano, e se maggiore è uguale a minore facciamo una telefonata a Pitagora e gli diciamo che ha sbagliato tutto nei suoi calcoli matematici (risate). Una cosa è certa, ci può essere un’atmosfera, un’assonanza che accomuna i due temi, ma questo lo può percepire un orecchio non avvezzo, tranquillamente, però chi è un musicista vero le differenze le coglie, eccome. Nel Club, durante la conferenza stampa, per sfatare questa diatriba sul plagio inesistente, conobbi meglio Francis Lai che ammiro molto pur essendo un musicista che non ha studiato la musica, che suona ad orecchio e che ha scritto parecchie melodie indimenticabili come quelle per Love Story e Un uomo, una donna, quindi un talento naturale, allora tanto di cappello. Ad un certo momento dissi ai giornalisti convenuti, visto che le chiacchiere stavano a zero, che la questione non aveva fondamenta solide e presi un tovagliolo di carta, non avendo a disposizione la carta da musica, e disegnai un pentagramma. Riportai le note del mio tema e accanto chiesi a Francis di scrivere quelle del suo tema per raffrontarli. Lai, visibilmente imbarazzato davanti ai numerosi fotografi e giornalisti, cercò di disegnare una chiave di violino, ma non essendo un musicista vero che ha studiato come il sottoscritto, si trovò chiaramente in difficoltà (Cipriani ripercorre tutta la situazione disegnando nel retro del nostro foglio per l’intervista il pentagramma con le note dei due temi e la chiave di violino sbilenga ed errata di Lai); allora intuendo di aver fatto una gaffe, io che fino a quell’istante non ero a conoscenza del fatto che lui non sapesse scrivere la musica, cercai di venirgli in aiuto per il profondo rispetto che provavo nei confronti di un collega. Quindi, dopo 4 – 5 secondi di imbarazzo generale, dissi a Lai che la mia tonalità era Mi maggiore 4diesis, la sua è Sol minore, e disegnai le note di entrambi, già palesando le notevoli differenze tra i due temi. Per esserci plagio ci vogliono 8 battute uguali e qui proprio non ci eravamo. Aggiunsi anche che Anonimo veneziano era nella tonalità di Mi maggiore e Love Story in tonalità di Sol minore, quindi se maggiore è uguale a minore, se + è uguale a –, allora siamo a cavallo (risate a non finire). Alla fine dissi a tutti quanti di chiedere scusa in coro a me e Lai. Fine della storia!



CS: Per Anonimo veneziano fu coinvolto direttamente da Enrico Maria Salerno o dalla produzione?
SC:
Questa è un’altra storia divertente e particolare! D’altronde si parla di una colonna sonora fondamentale della mia carriera, una pietra miliare cine-musicale. Quando ci fermiamo a interrogarci su noi stessi vengono fuori parecchie cose che ci lasciano a bocca aperta, ed io sono un tipo che si interroga molto; per quel che riguarda la vicenda legata alla nascita delle musiche di Anonimo veneziano, torno a ricordare che venivo dall’incontro casuale con Teddy Reno per le scale dell’edificio nel quale vi era la sede CAM in cui lavoravo, non dietro appuntamento come abbiamo concordato noi per questa intervista, e se non l’avessi conosciuto non sarei mai diventato il pianista di Rita Pavone; le cose avvengono perché devono avvenire, il Fato ci mette lo zampino! Seconda casualità, l’incontro con Tomas Milian che mi fa comporre la mia prima colonna sonora, terza casualità, dopo aver scritto molteplici score per il cinema (più di una trentina) mi accade un evento particolare; andavo a letto presto solitamente ma quel giorno rientro a casa a notte fonda dopo aver passato la serata con mia moglie e aver cenato fuori e ricevo da Giacchi all’1 e mezza del mattino una telefonata strana nel quale lo sentivo alterato e preoccupato, e sosteneva di avermi cercato al telefono per più di due ore. Mi avverte che la mattina alle 7:30 dovevo passarlo a prendere per andare a vedere un film urgentemente. In quel periodo guadagnavo 300mila lire di chachet per ogni film che musicavo ed era come aver vinto al totocalcio, con quei soldi pagavo le bollette, la pigione di casa e la spesa e mia moglie, buonanima, viveva tranquilla. Poi facevo pianobar e prendevo 4000 lire a sera. Me la cavavo egregiamente, insomma. Quindi chiedo a Giacchi se dovevo scrivere le musiche di questo film e lui, più misterioso che mai, mi rispose che mi avrebbe spiegato tutto meglio in seguito. Passo a prendere Giacchi e andiamo in una sala di proiezione della CDS in Via Nomentana, e mi scaraventa nella sala buia a vedere la pellicola. Lui era incazzato nero, e non capivo il perché, ed io rincoglionito dal sonno (risate). Gli chiedo di farmi avere un cornetto e un cappuccino (avevo già preso un caffè a casa), e immerso nel buio della saletta dei laboratori, da solo ovviamente (non è che stavo al Cinema col pubblico!), sulla comoda poltrona dopo pochi minuti dall’inizio della proiezione, crollo letteralmente nel sonno più profondo. Dopo un po’ mi sveglio ancora immerso nel buio della saletta chiedendomi dove mi trovo e chi sono (risate), e vedo Tony Musante che suona l’oboe e si trova a Venezia. Pensavo che il film continuasse e avessi dormito pochissimo, invece finisce il film, con Florinda Bolkan che attraversa una sala, esce e chiude il portone, ed io comprendo di avere visto solo pochi fotogrammi finali. Si accende la luce nella saletta e appare Giacchi, mi chiese se era tutto apposto ed io non dissi ne sì ne no. Mi invitò ad andare con lui in un posto. Gli chiesi cover anonimo veneziano newdove andavamo ma non rispose. Il mistero si infittiva sempre più! Mi portò al cospetto della produzione del film che sapeva che lo avevo appena visionato. Erano tutti sull’attenti, nessuno seduto come di solito accade quando entri un un ufficio. Il produttore siciliano Turi Vasile tuonò che noi ci conoscevamo già (ci eravamo visti qualche volta in precedenza). Mi chiese se avevo visto il film e nuovamente non dissi ne sì ne no. Allora, mi chiese come intendevo procedere? In quel momento, come mi era accaduto con Tomas Milian, da bravo paraculo qual’ero (risate), risposi: “Caro Dottore, oggi pomeriggio, per capire dove inserire la musica rivedrei il film” (risate grasse). E continuo dicendo: “Oggi è mercoledì, giovedì e venerdì ci lavoro e lunedì ci vediamo alla CAM per parlarne meglio”. Risposta testuale di Vasile: “Sono le 10:10, alle 14:00 dove ci vediamo per sentire il suo tema?”. Devo sottolineare che sono stato molto riconoscente a Turi Vasile nella mia vita di compositore per film, difatti con Anonimo veneziano mi ha regalato tantissimo in termini di fama e gratificazione personale, e al suo funerale, alla presenza di molti amici e parenti, tra cui anche Silvio Berlusconi, suonai il tema di Anonimo veneziano all’organo per omaggiarlo e ricordare la grande persona che era. Tornando alla situazione di cui sopra, alla frase pressante di Turi Vasile capii perché Giacchi continuava a dirmi: “Poi ti spiego, poi ti spiego”; perché mi aveva telefonato a notte fonda e tutto il mistero intorno al film. Vasile voleva un tema in due ore e qualcosa sotto ci doveva essere. Allora “Arrivederci, arrivederci, ci vediamo alle 14:00” (risate). A quel punto, andati via dall’ufficio, chiedo lumi a Giacchi, confessandogli che il film non l’avevo visto perché mi ero addormentato dalla stanchezza. Lui si incazza ed io controbatto dicendogli che se mi avesse spiegato che casini vi erano dietro, avrei evitato di dormire e sarei stato più accorto. Gli dissi che alle 14:00 non mi sarei presentato perché avevo problemi di stomaco (risate) e parlava lui con Turi Vasile. Giacchi si incazzò ancora di più. Gli chiesi di spiegarmi cosa c’era dietro per placare i toni e trovare una soluzione. Allora Giacchi mi raccontò che Enrico Maria Salerno, al suo primo film da regista, aveva già avuto problemi presentando in giro la sceneggiatura del film che parlava, come tutti ben sapete, di tumore, malattia grave, una storia altamente drammatica, che nessuno voleva realizzare, abituati ai film comici con Franco & Ciccio o agli spaghetti western, dove staccavi il cervello e non pensavi a niente. Turi Vasile invece accettò subito di produrlo, con 300 milioni di lire di investimento dell’epoca, gli anni ’70, scegliendo lui stesso i due attori protagonisti, Tony Musante e Florinda Bolkan, e Salerno acconsetì, ovviamente. Però il regista chiese al produttore di scegliere lui stesso l’autore della colonna sonora, e Vasile accettò con la clausola di non dover spendere un soldo in più di quanto già investito per il film. Salerno aveva un famoso amico milanese che faceva jazz e che lui riteneva adatto per comporre la partitura, il suo nome era Giorgio Gaslini. A mio avviso, anche se sei bravissimo a fare jazz non è detto che tu sia altrettanto bravo a scrivere musica per film, le due cose non vanno a braccetto. Devi sapere come funziona la cosa, altrimenti non riesci nell’intento. Gaslini aveva composto le musiche, registrate e inserite nel film, anche mixate. Salerno, essendo il suo primo film, fece una proiezione privata con amici e colleghi, tra i quali i registi Antonioni, Monicelli, Lizzani, Risi, desiderando un loro parere. Finita la proiezione a tarda notte (per questo la telefonata di Giacchi all’1 e mezza del mattino), chiese un giudizio sul suo film e tutti rimasero per un poco in silenzio, poi tutti si espressero positivamente sulla recitazione, la regia, la fotografia ma a nessuno piacque la musica. Gli aveva infastiditi. Per farla breve, mandati tutti a casa, rimasero Vasile, il produttore, Giacchi, l’editore delle musiche e Salerno, il regista, il quale disse subito che, avendo toppato, si rimetteva al loro giudizio e qualsiasi cosa gli avrebbero consigliato sarebbe andata bene. Era venerdì 17 settembre, e chi mi dice che il venerdì porta male lo mando a quel paese (risate), l’11 ottobre il film doveva uscire, quindi meno di un mese dopo, e se non rispettavano le consegne contrattuali avrebbero pagato 500mila lire di multa al giorno. Io non potendo rivedere, anzi vedere per intero, il film un’altra volta, mi basai sulle foto di scena per comporre il mio tema. Giacchi mi raccontò la trama strada facendo ed in due ore scrissi il leitmotiv principale che tutti ben conoscete. Non è perché Io sono Io ma con l’esperienza e il famoso DNA sapevo già dove andare a parare e quindi riuscì a scrivere il tema d’amore in quel lasso di tempo parecchio risicato. Il resto è Storia e sappiamo tutti come è andata a finire!

CS: Ci può dire qualcos’altro sul suo ‘Love Theme’ di Anonimo veneziano?
SC: Sono perfino andato in qualche ateneo a parlare della musica di Anonimo veneziano e del brano di cui mi chiedete. Uno dei requisiti più importanti nella riuscita di un tema, di una musica, è la tonalità. Io l’ho scritta in Mi maggiore, ma se l’avessi scritta mezzotono sopra in Fa maggiore o mezzotono sotto in Mi bemolle, il pezzo sarebbe totalmente mutato. E voi mi potete benissimo dire che non è vero! Invece affermo di sì! Ma no perché voglio aver ragione, attenzione! Perché subentra un fatto fisico, la Musica è Fisica. Quando noi sentiamo un pezzo che ci fa venire la cosiddetta pelle d’oca, accade perché nell’aria vibrano delle note che fisicamente ci inducono quella sensazione corporale. Ho fatto questo esperimento in sala d’incisione con l’oboe (Cipriani si mette al pianoforte ed esegue il suo tema d’amore, dimostrando che cambiando la tonalità il leitmotiv o urla – in Fa maggiore – o risulta piatto – in Mi bemolle, poi ci inebria eseguendolo nella sua interezza e tonalità originale in Mi maggiore - Applausi). 

CS: Nel 1981 Lei ha tenuto a battesimo con le sue musiche l’esordio cinematografico del regista di Titanic e Avatar, James Cameron, per il film Piraña paura (Piranha Part Two: The Spawning), prodotto da Ovidio G. Assonitis. Che ricordo ha di quella collaborazione?
SC: (Cipriani, soddisfatto, ci mostra il CD che la Digitmovies ha pubblicato nel 2003 con la score integrale del film di Cameron) Mi ricordo che Cameron stette a Roma una settimana e facemmo amicizia. Nulla più! (ride

CS: Parlando di melodia e di temi, nel suo stile abbiamo notato da sempre una forte predominanza di note intimiste e armoniose. Nella stesura su pentagramma di leitmotiv melodiosamente romantici e ricchi di pagine struggenti e ammalianti ha incentrato tutta la sua musicalità e la stragrande maggioranza delle sue idee. Come si arriva a ottenere uno stile proprio e una ricchezza di temi indimenticabili, senza ripetersi, soprattutto quando, come nel suo caso, si scrive musica di continuo per film di diverso genere?
SC: Ancora oggi mi autosorprendo per quanti temi e musiche ho scritto nella mia lunga carriera, credo oltre tremila pezzi. Ieri ho composto dei pezzi per un film di produzione americana di cui stasera devo incontrare a casa mia il regista e il produttore per farglieli sentire e noto che non hanno niente di simile a ciò che ho scritto l’altro ieri. Sono sincero, continuo a sorprendermi! Sono perfino andato da psichiatri per capire come accade tutto questo (risate). In ogni caso la colonna sonora che rappresenta al 100% il mio stile e la mia creatività è, come potete ben immaginare, Anonimo veneziano (Cipriani ritorna al pianoforte e riesegue il suo celebre tema). La mia non è una scrittura piatta ma ricca di accordi, di dinamica, non sta mai ferma, come me che sono in continuo fermento creativo. Inoltre ho sempre curato personalmente le orchestrazioni dei miei lavori per il Cinema.

CS: Abbiamo ampiamente discusso di western, ma un altro genere per lei ha segnato una buona fetta della sua filmografia: il poliziesco! Menzioniamo celebri film come La polizia ringrazia di Steno del 1972, Squadra volante di Stelvio Massi del 1974, La polizia chiede aiuto di Massimo Dallamano del 1974, Mark il poliziotto di Stelvio Massi del 1975, Poliziotto senza paura di Stelvio Massi del 1978.
Anche in questo iperfrequentato genere filmico ha dimostrato di poter rinnovare un cliché musicale con idee nuove e che hanno reso ancora più dinamiche le sequenze filmiche. Ci racconti la sua innovazione in tal campo fatto di inseguimenti, spari, corruzione, esplosioni e tradimenti?
SC: Ho in comune con Wagner una cosa, entrambi abbiamo scritto una tetralogia: lui quella del Nibelungo, io quella della Polizia (ride). La polizia ringrazia di Steno del 1972, La polizia sta a guardare di Roberto Infascelli del 1973, La polizia chiede aiuto di Massimo Dallamano del 1974 e La polizia ha le mani legate di Luciano Ercoli del 1975. Quattro Wagner e quattro io (risate). (Cipriani di nuovo al pianoforte a suonare il bellissimo tema romantico-malinconico di La polizia ringrazia).
Avete citato Stelvio Massi e mi fa piacere ricordarlo con affetto: era una persona dalla grande umanità! Ma ogni tanto mi mise i bastoni tra le ruote. Tra i tanti film che musicai per lui, ne facemmo uno d’avventura con Fabio Testi protagonista, Speed cover speed driverDriver del 1980. L’amico Tony Renis venne con la figlia di Don Costa, l’arrangiatore di Frank Sinatra, la sorella della più nota Nikka Costa. Mi fece conoscere questa ragazzina di vent’anni che scriveva testi e musiche di sue canzoni in inglese, ovviamente. Tony mi chiese di aiutarla e mi venne l’idea di farle cantare il tema di Speed Driver di cui stavo registrando la colonna sonora in quei giorni, nei titoli di coda del film con un testo scritto da lei stessa. Ne parlai con Danilo, il figlio di Stelvio Masssi, facendogli notare che avere la figlia di Don Costa, un nome importante in America, poteva essere un traino importante per il film di suo padre. Quindi, con il suo testo e il mio arrangiamento andammo alla Fono Roma a incidere la canzone, registrandola alla presenza di Stelvio. A Massi piacque tanto anche se ebbe da ridire sul fatto che fosse cantanta in inglese e che non si capiva nulla. Ed io gli risposi che lui non doveva capire niente (risate). L’importante che il tema gli piacesse e che non cambiava nulla, anche se cantato in inglese, a maggior ragione sulla scena finale del film in cui Testi si ritrova in ospedale dopo essersi schiantato con la sua auto da corsa e l’attrice Senta Berger gli prende la mano per capire se è vivo o morto e partono i titoli di coda; il leitmotiv principale cantato in inglese conferiva un suono diverso alla musica! Stelvio mi disse tutto apposto ma non lo vidi convinto pienamente, difatti dopo una settimana dalla registrazione della canzone, mi chiamò suo figlio Danilo dicendomi che il padre aveva tolto dal mixaggio finale del film la canzone e l’aveva sostituita con il mio tema suonato al pianoforte. A quel punto ebbe tutti contro, litigai pure con Tony Renis, infatti da quel giorno non ci siamo più parlati perché è rimasto della convinzione che fossi stato io a non voler inserire la canzone nel film.

CS: Nel 1972 ha scritto lo score per l’horror del Maestro del Brivido Mario Bava, Gli orrori del castello di Norimberga. Cosa rammenta della sua esperienza con questo grande regista, con il quale in seguito collaborò per il thriller Cani arrabbiati del 1974? E cosa ci può narrare della sua collaborazione con un altro grande regista come Dino Risi per il quale ha composto alcuni lavori, tra cui lo sceneggiato del 1990 Vita coi figli?
SC: Accomunerei due importanti incontri nella mia vita, avvenuti con due grandi registi, Mario Bava e Dino Risi che voi citate. Essendo entrambi molto più grandi di me di età (io sulla quarantina e loro sull’ottantina), avevano lavorato con molti compositori più noti di una generazione avanti la mia, soprattutto Risi. Quando quest’ultimo lavorò con me mi lasciò massima libertà d’espressione dicendomi che ero io il Maestro, ma specificai che “Io cover ecologia di un delittosono il Maestro ma rammenta che se tu fossi anche il Musicista del tuo film, oltre ad essere colui il quale ha scritto la storia, ha scelto gli interpreti, ha formato il cast tecnico, alla fine la migliore musica, solo tu che hai veramente ben chiare in mente le immagini, la potresti comporre al meglio; dopo di che io ho il dovere professionale di entrare nella tua testa, carpire le tue idee e rubare la soluzione finale che tu hai creato se fossi un Musicista!
Con Bava, essendo un arrangiatore e avendo chiaro il significato dell’effettistica dei suoni, usai molto nelle sue musiche il sintetizzatore anche se non avevo la più pallida idea di come si accendesse (risate). Mi feci aiutare furbescamente da coloro i quali erano dei veri esperti con quel tipo di strumento. Sia Bava che Risi hanno usufruito della mia collaborazione negli ultimi anni della loro vita lavorativa. Con Risi mangiavamo spesso insieme e lui passava del tempo con me qui a casa mia per sentire le musiche che avrei inserito nel suo film, dopo che me ne aveva parlato a lungo durante il pranzo.

CS: Nel suo lungo lavoro di scrittura per il Cinema e la TV ha collaborato con molteplici musicisti di fama, come le celebri vocalist Edda Dell’Orso e Nora Orlandi, la cantante Grace Jones e il cantante Douglas Meakin, nonché l’armonica a bocca del compianto Franco De Gemini. Ha qualche ricordo particolare di queste illustri collaborazioni?
SC: Nel western The Bounty Killer l’armonica è suonata dal grande amico Franco De Gemini che ricordo con profondo affetto. Invece Douglas Meakin scriveva i testi dei temi cantanti in alcuni miei film e si presentava a casa mia la mattina alle 9:00. Io non bevo e non fumo ma gli facevo trovare sempre tre o quattro birre. Al posto del cappuccino le birre e poi era ubriaco (risate) ma una gran pasta d’uomo. Con me tutti hanno lavorato volentieri anche se era pur sempre un lavoro, però ci sono lavori e lavori ed io ho sempre messo a proprio agio i miei collaboratori, di cui una buona parte sono divenuti cari amici. Io non mi atteggiavo a Maestro ma come amico e loro lo capivano e si lavorava in grande armonia e divertimento, pur mantenendo una notevole professionalità. Era giusto così!

CS: Facendo un salto indietro, nel 1977 più precisamente, lei ha scritto la musica per un “Monster Movie” che cavalcava ancora la scia del film di successo di Spielberg Lo squalo del 1975: Tentacoli di Ovidio G. Assonitis (Oliver Hellman) con un grande cast internazionale, John Huston, Shelley Winters, Henry Fonda, Bo Hopkins. Ha qualche ricordo riguardo la composizione di quella, a detta di tutti i suoi fan, tra le più suggestive fra le sue colonne sonore?
SC: Fu un’esperienza indimenticabile e grandiosa che vissi a New York dove registrai l’intera colonna sonora. Ci sono molteplici suoni ed effetti acquatici ricreati dal sintetizzatore e una chitarra suonata dal famoso chitarrista John Williams che possedeva diverse chitarre sperimentali e riusciva ad ottenere degli effetti incredibili (Cipriani ce li imita con la bocca e poi al piano esegue il tema portante del film).

cover tentacoli

CS: Nel 1980 per Umberto Lenzi ha composto le musiche per l’horror zombesco Incubo sulla città contaminata tra sonorità rock, funky ed elettroniche.
Quando ha dovuto affrontare il genere horror splatter, come in questo caso specifico, qual è stato il suo metodo di approccio?
SC: Umberto Lenzi, un bravissimo regista. Anzi più che bravi, lui, Stelvio Massi ed altri, erano dei grandi Professionisti! Non sono diventati importanti come Monicelli, Lizzani, Risi, però per aver fatto prettamente film di genere sono rimasti un gradino più sotto, ma, torno a ribadire, erano davvero dei grandi Maestri del Cinema.

cover incubo citta contaminata

CS: Rammenta qualche aneddoto simpatico?
SC: Molti anni addietro al Museo del Louvre di Parigi vi fu una grossa manifestazione, un premio cinematografico importante ed eravamo presenti io e Claudio Cardinale, con Alain Delon che premiava. Al nostro tavolo, durante la premiazione, c’erano Claude Lelouch e Francis Lai (di nuovo lui!) e si respirava aria di grande cordialità. Ad un tratto – premesso che quando mi avrebbero chiamato per ritirare il mio premio avrei dovuto eseguire il tema di Anonimo veneziano – mi rivolsi a Lelouch dicendogli che desideravo fare un omaggio musicale a Parigi e direttamente a lui e al caro collega Lai, con una mia esecuzione pianistica del tema di Un uomo, una donna, alla mia maniera. Volevo dimostrare a Lelouch e Lai come si poteva suonare quel tema in modo completamente rinnovato, diverso (Cipriani, ancora al piano, esegue il leitmotiv di Un uomo, una donna così come in originale, poi ricordandoci di aver studiato con Dave Brubeck a New York, lo esegue con il sistema della scala di Brubeck per l’appunto, ed il tema muta volto e anima totalmente – una vera magia in musica).

CS: Da un po’ di anni a questa parte molte etichette nostrane, da applauso per l’ottimo lavoro svolto, come la Digitmovies, la Beat Records, la GDM Music, non dimenticando la spagnola Quartet Records, stanno stampando e pubblicando per la prima volta diversi suoi lavori per differenti generi cinematografici. Qual è il suo parere circa questa riscoperta e rivalutazione delle sue colonne sonore del passato?
SC: La risposta è la seguente: c’è questa rivalutazione del passato perché la gente non apprezza niente di quello che viene realizzato adesso. Non voglio fare il Maestro della situazione, ma mi documento, ascolto e quello che sento è davvero sconfortante, bastano gli ultimi Festival di Sanremo per capire di che sto parlando. Ma che Musica è? (risate). Vogliamo mettere queste canzoni! (Cipriani ancora al piano suona di Domenico Modugno la celebre “Nel blu dipinto di blu”). Qui c’è vera Musica! Adesso il nulla assoluto! Porto un esempio ancora più pratico: nel 2003 il Ministro Franco Frattini venne da me per commissionarmi un brano per Papa Giovanni Paolo II, il noto “Tema di Karol”. (Cipriani lo esegue al piano). A Cracovia dove lo suonai, prima mi venne presentato l’ex Papa Benedetto XI, Ratzinger. Pippo Baudo mi invitò a suonarlo a Sanremo. E sul quotidiano Il Messaggero uscì un articolo su quattro colonne sul fatto che Stelvio Cipriani componeva un brano per il Papa. Durante la conferenza stampa all’Ariston dove al tavolo con me, oltre l’amico Baudo e Carlo Verdone, vi erano Mara Venier, Valeria Marini, Lorella Cuccarini e Alba Parietti, si misero a parlare per più di un’ora di una marea di facezie. A me non fregava nulla davvero di tutte quelle chiacchiere incocludenti, se non che, ad un certo punto, a 5 minuti dalla fine della conferenza, il giornalista Marco Morandini prese la parola desiderando sapere il mio parere, dell’unico vero musicista presente al dibattito, dopo tutte quelle inutili divagazioni di due ore e passa, sul tema del Festival, “Come mai la Musica Leggera aveva subito questo declino?”, ed io prontamente risposi: “Senti Marco, la risposta è la seguente: io ho una ventiquattrore nera ideologica con all’interno un miliardo in contanti, adesso tutti questi soldi saranno tuoi se riesci a cantarmi il motivo della canzone che ha vinto il Festival di Sanremo l’anno scorso?”. Brusio e silenzio. Ed io rincarando la dose: “Adesso, viceversa, cantami le prime due note di “Nel blu dipinto di blu”?” Altro imbarazzante brusio e silenzio subito dopo. (Cipriani suona brevemente alcune celebri canzoni del passato glorioso di Sanremo che noi tutti ricordiamo senza problemi). Da 10 anni a questa parte è cambiato tutto, anche gli arrangiamenti, e non si ricorda una canzone con la stessa facilità di quelle del passato. Inoltre è subentrata un’altra cosa: prima chi scriveva le canzoni e gli arrangiamenti per il Festival erano grandi musicisti, dei veri Maestri compositori e parolieri. Oggi i musicisti o presunti tali, siccome sono presuntuosi e paraculi, si scrivono tutto da soli, conoscendo solo due accordi, per guadagnare tutto loro e compongono delle ciofeche (risate).



CS: Parlando di televisione, lei vi si è dedicato molto tra sceneggiati (le fiction di adesso) e serie tv, vedi la celebre Dov’è Anna? del 1976, e la più recente, del 2013, Trilussa – Storia d’amore e poesia. Se vi sono, quali differenze ha riscontrato nell’approcciarsi all’universo sonoro del piccolo schermo rispetto al grande?
SC: (Cipriani suona al piano il bellissimo tema di Trilussa) Per me bastano, per quel che riguarda il mio approccio compositivo televisivo, i due titoli da voi citati, Dov’è Anna? e Trilussa, lavori a cui tengo in particolar modo. Tre anni fa mi chiamò Guido Lombardi, il presidente della Titanus, e mi consegnò due sceneggiature, la prima e la seconda parte della fiction Trilussa. Guido mi chiese se avessi capito, leggendo il titolo, di cosa si trattava, ed io risposi di sì, sottolineando di essere nato in Piazza Trilussa e di conoscere benissimo chi era Trilussa. Le riprese iniziavano il 20 Agosto, proprio il giorno della mia nascita (Guido rimase sorpreso!). L’epoca in cui si svolgeva la storia era il 1937, ed io a Lombardi dissi serio: “Secondo te in che anno sono nato?”. Gli mostrai i miei documenti per farlo rendere conto che non lo stavo prendendo in giro e lui lesse “20 Agosto 1937”. (Cipriani suona ancora una volta il tema capitolino di Trilussa, di una bellezza nostalgica e le note ci avvolgono soavemente). Le cose avvengono perché devono avvenire!

CS: Il compianto critico di musica per film, Ermanno Comuzio, nel suo Dizionario “Musicisti per lo schermo” alla voce a lei riguardante dice: “Cipriani è stato disputato dai produttori ed è diventato uno dei “divi” della colonna sonora…”
Cosa ne pensa di tale affermazione?
SC: Bontà loro! (lunghe risate)

CS: Una nostra classica domanda ai compositori per chiudere l’intervista: cos’è per lei la “Musica per Immagini”? E in aggiunta: cosa ne pensa dell’attuale musica per film e se ne ascolta qualcuna, non solo italiana?
SC: Musica per film straniera ne ascolto tanta, perché la differenza tra loro e noi sta negli esecutori delle loro musiche, veri musicisti che credono fermamente nella professione che esercitano, studiano come modestamente studio ancora io! Oggi proprio non ci siamo e spiego bene il perché? Oggi non c’è più una cosa fondamentale, la preparazione, quella che ho faticato tanto a perseguire nella mia lunga carriera di musicista e compositore. Quando ero l’ultima ruota del carro e sono salito su questo treno che passava, sono salito sull’ultimo vagone e davanti al sottoscritto vi erano nomi del calibro di Nino Rota, Mario Nascimbene, Angelo F. Lavagnino, Armando Trovajoli, Piero Piccioni, Carlo Rustichelli; capito che nomi? Eppure mi sono fatto largo, scrivendo Anonimo veneziano (strimpella il tema al piano), quindi avevo i requisiti per stare su quel treno. Adesso, dei nuovi talenti della musica per film nessuno può prendere quel treno, anzi ditemi voi se oggi c’è qualcuno che ha venduto in tutto il mondo 16milioni di dischi di Anonimo veneziano e dopo quarant’anni se ne sta ancora a parlare? Chi ha suonato le proprie musiche dentro la Basilica di San Pietro davanti un Santo (intendo logicamente Papa Giovanni Paolo II!), con un’orchestra di 90 elementi dell’Arturo Toscanini di Parma? Con questi requisiti puoi prendere quel treno e adesso, in tutta sincerità, non vedo (ascolto) nessuno che li abbia. Parecchie volte, e concludo, molti giovani compositori mi telefonano e la prima cosa che mi chiedono è “Quanti soldi chiedo?”. Pensano solo al denaro! Io non ho mai chiesto i soldi, mi hanno sempre detto ‘Questi sono!’ e quelli ho preso. E forse erano quelli che meritavo. Ora è cambiato tutto! Una buona parte sono giovani musicisti limitatissimi, tranne rari casi, perché non studiano, non si applicano come dovrebbero fare. L’altro giorno è venuto a casa mia il figlio del mio dottore, bravo con la chitarra, che ha scritto delle musiche per un documentario. Il padre, caro amico, mi ha chiesto un parere. Io in quel momento mi sono ricordato di cosa ha fatto mio padre per me, portandomi in giro per far sentire come suonavo, e i suoi sacrifici. Quindi mi sono seduto ad ascoltare le musiche di questo ragazzo, e non c’era un tema, faceva sempre col piano quattro note ripetute ed atmosferiche (Cipriani le riesegue al piano). Più un effetto che altro! Ed io mi sentii con le mani legate a quel punto. Pensano solo ai soldi e non a farsi il mazzo a studiare e studiare, suonare e suonare, come facevo io che tornavo alle 4 del mattino dal pianobar e continuavo a scrivere arrangiamenti fino all’alba, poi mi recavo alla Ricordi come pianista: “ma quando dormivi? Boh, non lo so!”. Non solo ma io ho sempre diretto le mie colonne sonore, anche orchestrate e arrangiate, no come Francis Lai che aveva uno che gliele trascriveva, un altro arrangiava e un altro ancora gliele dirigeva (come da lui stesso dichiaratomi!). Lui suonava ad orecchio la fisarmonica e basta! Io non essendo nessuno, cosa importante da ricordare, mi sono sempre occupato di tutto ed il regista così poteva parlare con me, altro che doversi confrontare con l’orchestratore, l’arrangiatore o il direttore d’orchestra, invece che con il solo compositore. Faccia a faccia, non una assemblea! Se si doveva cambiare qualcosa nella partitura e durante la sessione, all’impronta c’ero io che provvedevo subito, invece di attendere tre o quattro persone che parlavano al posto del compositore che nel frattempo era a prendersi il caffè (risate). Questo è il Mestiere del vero Compositore! Oggi è un vero delirio e il ruolo del compositore è considerato meno che meno, pensate che per l’ultima fiction che ho composto, quando sono andato a chiedere quanto mi veniva dato di cachet per due puntate, la responsabile delle edizioni mi ha detto che se fosse stata una puntata mi pagavano 10 milioni, due 8 e 8, 16 milioni, tre 7, 7 e 7, 7 x 3 = 21 milioni. Allora io simpaticamente le ho detto: “Menomale che non sono cento puntate se no mi toccava passare in banca e darvi io i soldi!” (risate a non finire). Questa tizia non sapeva nemmeno chi aveva di fronte, cosa stavo scrivendo per la fiction e se avrei usato l’orchestra e quanti giorni avrei impiegato per registrare la colonna sonora. Lei stava in un posto sbagliato a fare un lavoro che non le competeva. Poi davanti al sottoscritto che aveva avuto a che fare con veri editori, la RCA, la CAM, la Ricordi, i quali volevano sul serio sentire cosa tu stavi componendo e per cosa stavano spendendo i loro soldi. No come questa tizia presuntuosa che non aveva nemmeno sentito una nota di ciò che avevo scritto! (Cipriani suona il tema struggente di Dov’è Anna?). Con i veri editori non si parlava di soldi, loro ascoltavano i temi, si entusiasmavano e poi si discuteva del cachet ritenuto giusto. Alla fine con questa tizia che discuteva del nulla più assoluto ho chiuso e ho mandato il mio manager a contrattare, il quale si è preso la sua giusta parte del denaro, denaro che all’ultimo era quello che avevo contrattato io non la tipa di cui sopra, perché il lavoro, vero, si deve pagare, soprattutto quando è di qualità! E vale per tutti quanti! E il declino della musica per film odierna è dovuto anche a questo procedimento malsano che non rispetta il lavoro professionale serio. 

Massimo Privitera con Stelvio Cipriani

Giuliano Tomassacci con Stelvio Cipriani 

Carmelo Milone con Stelvio Cipriani

Un ringranziamento particolare a Claudio Fuiano per averci fornito il contatto con il Maestro Cipriani per porre le basi di questa lunga intervista!

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