“Una grande lezione di musica per film” – Parte Quindicesima

“Una grande lezione di musica per film” – Parte Quindicesima

Colonne Sonore, per dare risposta alle molteplici richieste di giovani lettori che stanno studiando composizione e che vorrebbero in futuro intraprendere la carriera di compositori di musica applicata, ha deciso di farsi aiutare da coloro i quali vivono in prima persona l’Ottava Arte e la creazione di musica per immagini, chiedendo ai compositori stessi di rispondere a sei domande che la nostra redazione ha ritenuto interessanti ed esaurienti sul come divenire autori di musica per film.
Di seguito, quindi, le sei identiche domande a cui molti compositori italiani e stranieri hanno risposto per aiutare i futuri giovani colleghi che si confronteranno con la Settima Arte e la sua musica.

Domande:

1) Che metodologia usate nell’approcciarvi alla creazione di una colonna sonora?

2) Qualora non abbiate la possibilità, per motivi di budget o semplicemente vostri creativi, di usare un organico orchestrale, come vi ponete e quali sono le tecnologie che vi vengono maggiormente in aiuto per portare a compimento un’intera colonna sonora?

3) Descriveteci l’iter che vi porta dalla sceneggiatura alla partitura finale, soprattutto passando per il rapporto diretto con il regista e il montatore che talvolta usano la famigerata temp track sul premontato del loro film, prima di ascoltare la vostra musica originale?

4) Avete una vostra score che vi ha creato particolari difficoltà compositive?
Se sì, qual è e come avete risolto l’inghippo?

5) Come siete diventati compositori di musica per film e perchè?

6) Che importanza ha per voi vedere pubblicata una vostra colonna sonora su CD fisico oggi che sempre di più si pensa direttamente al digital download?



Luca Balboni (Co-compositore di Mine, Compositore di Watch Them Fall, The Big The Bad and The Bunny, Midway)

1) Quando ricevo un video, o un briefing scritto o comunque un qualsiasi input di riferimento del lavoro da svolgere, parto sempre a comporre direttamente dai software. Amo anche farlo sullo spartito, ma oggigiorno questa cosa è datata a causa delle nuove richieste fatte dalle produzioni dei film. Ci sono diverse ragioni, un regista vuole ascoltare immediatamente il risultato delle tue scelte e ci sono troppe cose da curare e che possono cambiare all’ultimo minuto. Una volta che il brano è approvato si passa all’ulteriore rifinitura dei campioni virtuali, poi alle partiture, oppure laddove ce ne fosse il bisogno, anche all’incisione degli strumenti reali fino ad arrivare al missaggio finale.

2) Impiego molte, moltissime librerie di virtual instruments, oltre a personalizzare i suoni e realizzarne dei nuovi con anche l’ausilio del microfono. Tra 200 Strumenti Virtuali di una libreria ufficiale potrebbe esisterne forse solo una dozzina di cui vale veramente la pena l’utilizzo. Si può trovare un ottimo corno in una libreria e percussioni buone in un’altra. A seconda delle esigenze di budget o meramente creative, può capitare, anche più spesso di quanto si creda, di realizzare lavori fatti tutti interamente al computer.
Soprattutto dietro ad un’orchestra virtuale, c’è un lavoro quasi folle a livello di espressioni, dinamiche e di realismo degli strumenti. Questo non potrà mai sostituire quelli veri, ma la fedeltà sonora è comunque molto vicina alla realtà. Oltre alle librerie sonore che si possiedono, le quali senz’altro hanno fatto passi da gigante solo in questi ultimi anni, dipende tantissimo anche da come le si usa. Per fare un esempio molto semplice, se io suono una tromba come se suonassi un pianoforte, non otterrò mai una tromba realistica, ma solo una insipida imitazione che difficilmente può dare emozioni. Questo influenzerà tantissimo anche l’esito della composizione. Se si registra lo strumento virtuale con più “umanità” possibile, magari evitando di mettere tutte le note a tempo perfetto, calcolando le pause tra un respiro e l’altro che potrebbe fare un musicista vero, e tantissimi altri dettagli tecnici sonori e musicali, si può fare decisamente la differenza! Quando si fanno queste cose devi entrare nell’anima degli strumentisti e diventare tu lo strumentista. Nei film comunque non ritengo sia sempre necessario l’utilizzo di strumenti orchestrali, reali o non. Anzi, a volte la scelta di suoni elettronici, o un misto con essi, potrebbe essere molto più efficace: la colonna sonora di Drive di Cliff Martinez è solo un esempio tra i numerosi esistenti.

3) La cosa più importante in assoluto per me è concentrarmi fin da subito nel discutere del film insieme al regista, possibilmente anche prima delle riprese: questo avrà ripercussioni fondamentali su tutto l’iter del progetto. Come regola generale considero abbastanza rischioso iniziare a comporre partendo dalle sceneggiature, se mi capita lo faccio per cominciare ad immergermi nella storia e fare qualche esperimento sonoro/musicale. A volte succede che parti scritte vengano tagliate o modificate durante le riprese e comunque la sceneggiatura è un pò come se fosse un libro, può essere interpretato in mille modi diversi, incluso il rischio di andare fuori da ciò che verrà realizzato nelle immagini. E’ vantaggioso creare dei brani musicali in fase di sceneggiatura quando c’è molto feeling con il regista, in quel caso la propria musica potrebbe trovare maggiore spazio anche nelle prime fasi del montaggio e contribuire ancora di più all’unità del film. In tutto questo, la temp-track ha i suoi pregi e i suoi difetti. In alcune situazioni potrebbe essere quasi l’unico mezzo possibile per arrivare immediatamente ad una comprensione di quello che si sta cercando, soprattutto se non si possono utilizzare le conoscenze che caratterizzano una precedente formazione musicale. Ad esempio nel cartone animato The Big, The Bad and The Bunny di Minji Sohn e Laura Talaway, mi è capitato che in una scena avevano proposto come temp-track quella del bar di Episodio IV di Guerre Stellari. Il brano era di John Williams e, al di là della mia conoscenza stilistica dell’autore, rimaneva un pò inusuale tra i suoi lavori. Ma la musica stessa mi diceva già tutto ciò che dovevo sapere. Doveva essere qualcosa di irriverente, un pò in stile jazz, tra il raffinato e il rozzo, che rappresentasse dei gangsters. Se non mi avessero fatto sentire proprio quel pezzo di riferimento, non credo che avrei capito allo stesso modo e in così poco tempo. Al mio primo tentativo realizzato in una giornata molto intensa, la musica era quella di cui avevano bisogno, eppure era nato anche qualcosa di diverso, di personale. Sta infatti nel compositore saper interpretare nel modo giusto la traccia che viene proposta, cercando di farla sua e creare qualcosa di nuovo. Sempre se il clima collaborativo te lo permette. Perché diversamente, diventa molto meno creativo e abbastanza frustrante quando qualcuno ti propone una traccia e la vuole identica, in tutto e per tutto senza però rischiare di plagiarla...in quel caso è abbastanza un incubo, ma come tutto, si affronta!

4) A livello musicale sono sempre stato abituato fin da piccolo a suonare e ad ascoltare tantissimi generi: questo è un vantaggio molto utile perché permette di adattarsi e spaziare nelle situazioni più disparate. Ciò non vuol dire che si possa essere totalmente esenti dalle difficoltà, perché di ostacoli se ne possono trovare comunque! Nel film Watch Them Fall con Marco Bocci, ad esempio, mi sono trovato catapultato in un genere, quello della middle-east music, che avevo già un pò rodato in Mine di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, anche se in quest’ultimo c’erano più degli accenni etnici che veri e propri elementi. In Watch Them Fall c’era bisogno di una completa immersione nell’ambientazione della Syria, di un suono che caratterizzasse sia ciò che circondava il protagonista sia il suo stato d’animo. Prima di realizzare i brani, ho fatto un’analisi degli strumenti tipici Syriani, ho ascoltato un sacco di musica middle-east (anche di quelle più particolari) e successivamente ho fatto degli esperimenti, cercando di tradurre questo genere a noi quasi sconosciuto, nella maniera più universale e semplice possibile. Durante il processo supervisionato dal regista Lucas Pavetto, sono dovuto tornare diverse volte sui brani per dargli quel ‘tocco Syriano’ in più e rendere giustizia al background della storia. Strumenti come il Duduk e l’Oud non li ho limitati alla mera funzione folk del film, ma sono diventati parte integrante delle emozioni del protagonista, sia nei momenti d’azione che in quelli drammatici. Le musiche sono risultate un ibrido tra il thriller, il romantico e l’etnico, un misto di generi che ha dato vita all’identità dell’intera colonna sonora. Parlando in generale, nelle mie precedenti esperienze si sono presentate situazioni particolari in cui una musica anche se tecnicamente giusta e adatta alle immagini, non era ciò che stava cercando la produzione: rimaneva comunque un’interpretazione del lavoro che è partito dalla mente di qualcun altro. In questo caso per risolvere l’inghippo, penso che debbano entrare in gioco non solo le abilità musicali, ma anche quelle che riguardano le relazioni umane, un’empatia ed un adattamento che si sono in grado di sviluppare solo facendo molta esperienza sul campo. Scegliere le collaborazioni più adatte aiuta, è per questo che nascono i sodalizi. Quello che ultimamente ad esempio ho instaurato anche con il promettente Alessandro Amante, regista di Her Ring!

5) E’ stato un percorso naturale, partito all’inizio da una vera e propria cultura musicale e tecnologica coltivata in famiglia che, successivamente ad un periodo di studi al conservatorio e corsi vari di specializzazione, è proseguito nell’ambito cinematografico e nella pratica diretta sul campo. Diventare un compositore di musica per film l’ho sempre desiderato fortemente e credevo di avere la preparazione giusta per poterlo fare. Dunque mi sono buttato a capofitto! Grazie a delle clip di film famosi ri-musicati da me che ho fatto circolare in internet, ho attirato l’attenzione di quelli che sono diventati alcuni dei miei futuri ‘datori di lavoro’, tra i quali i compositori Marco Werba e Andrea Bonini e il regista John Real. Tutta la preparazione però che credevo di avere in realtà non bastava: nessuno, nemmeno il miglior insegnante del mondo, può prepararti a questo mestiere. La passione si realizza non solo con il raggiungimento di qualcosa ma soprattutto nella continua voglia di imparare e mettersi in gioco. Per questo ho deciso di partire per gli Stati Uniti, e l’esperienza avuta con Christopher Young e la Remote Control Productions di Hans Zimmer mi hanno reso più solido e dato ancora più carte per proseguire questa strada.

6) Il CD Fisico è ovviamente una cosa bella e insostituibile perché si può toccare e usare quasi come un libro, ma ci troviamo nell’era digitale e questo porta a diversi vantaggi. Attraverso il digital download tutto è più accessibile, chiunque può ascoltare un brano musicale dovunque si trovi, anche solo in streaming. Ciò crea un tipo di condivisione inimmaginabile rispetto a molti anni fa e, oltre ad abbattere i ponti della distanza, aumenta la fruibilità dei contenuti multimediali. Può diventare un arma a doppio-taglio quando ad esempio la musica, proprio per la sua accessibilità, viene ascoltata tramite cuffie di scarsa qualità, o casse integrate che hanno pochissima resa (dai cellulari per esempio). Fattori di questo tipo a volte possono influire sul risultato finale che percepisce l’ascoltatore. A parte questi piccoli dettagli, sono contento di come si siano evolute le cose!

Luigi Maiello (compositore di The Troublemaker, Death of the Virgin, Parva e il principe Shiva, le trasmissioni TV Frontiere Rai1, Atlantide La7, Italian Detective Rai4)

1) Se esistesse un metodo certo per comporre una buona colonna sonora, probabilmente qualcuno avrebbe già pubblicato un best seller sull’argomento. Ciò che intendo dire, è che una delle maggiori difficoltà di questo lavoro, è proprio quella di doversi interfacciare con persone, situazioni ed esigenze sempre diverse tra loro e che ci costringono a rimodulare continuamente le nostre capacità e metodi creativi. Sebbene il cinema ci abbia abituati a proficui sodalizi tra registi e compositori, Hitchcock e Herrmann, Spielberg e Williams, Burton ed Elfman, solo per citarne i più noti, queste unioni sono in realtà abbastanza rare, soprattutto se consideriamo l’intero panorama dell’industria cinematografica. Tuttavia nel campo della musica su committenza, esistono una serie di casistiche standard che, nella mia esperienza personale, mi sento di poter indicare così:
1 – Direi che un primo caso è rappresentato dalla richiesta di lavorare su un montato semi-definitivo del film o del documentario, in modo da valorizzare con la musica ogni sfumatura espressiva dell’immagine e del montaggio. Questo sistema, che ha naturalmente molti vantaggi per il video, pur relegando la musica in una posizione piuttosto ancillare, resta dal mio punto di vista il più coerente per poter comporre uno score tradizionalmente inteso.
2 – Una seconda modalità, è rappresentata dalla pratica di montate il video ad hoc su un brano musicale già scritto, basando i ritmi e i cambi del montaggio proprio su quelli della musica. Può sembrare strano, ma se la composizione musicale ha personalità, questa soluzione offre grandi soddisfazioni. In programmi televisivi come Stargate, Voyager, Atlantide, Frontiere, e ad altri per cui ho lavorato, le mie musiche sono state usate molto in questo modo.
3 – Una variante di questo sistema, è quella di attingere al repertorio musicale del compositore, editando però i brani affinché si adattino al montaggio. Si tratta di un sistema ibrido, comunque molto usato dalla televisione e che trova oggi la sua applicazione estrema, nel concetto di music library. Questo sistema tende generalmente a penalizzare notevolmente il ruolo narrativo e di collante emotivo che la musica può assumere se bene usata, dando invece luogo ad un discutibile effetto potpourri in cui brani del tutto diversi tra loro si mischiano senza soluzione di continuità.
4 – L’ultimo caso, è quello in cui si viene invitati a comporre musiche originali, basandosi però rigorosamente sul mood e sulla struttura di brani che, il montatore o il regista, hanno già scelto e posizionato nel montaggio. Si tratta di una pratica altrimenti nota come sketch track o più recentemente, sound like. I compositori in genere, non amano molto questo metodo di lavoro, anche se il tempo e i budget ridotti (in Italia più che altrove) lo impongono sovente. Purtroppo questa soluzione, come musicisti, ci espone spesso sia ad un serio rischio di plagio, che talvolta anche al ridicolo...

2) La domanda richiederebbe un approfondimento molto complesso... Diciamo che esistono sicuramente due ordini di problemi distinti, relativamente alla scelta di un organico tradizionale o virtuale. Uno è banalmente di carattere economico, l’altro, secondo me molto più interessante, di carattere estetico:
1- Il primo approccio, è certamente meno problematico: l’orchestrazione virtuale è intesa come un sistema meno caro, è più rapido (cosa del tutto falsa) per produrre la musica, punto. Inoltre non è raro che il ricorso al computer sia inteso in senso correttivo rispetto ad una esecuzione reale venuta male. Tempi ridotti e budget risicati costringono quasi sempre i compositori italiani a lavorare di corsa e con orchestre non proprio impeccabili. In questi casi, con il budget per la musica già ampiamente sfumato, il computer si utilizza generalmente per coprire ed aggiustare le varie magagne dell’incisione originale. Vi lascio immaginare con quali esiti...
2 - Il secondo approccio, quello estetico, è probabilmente più interessante. Personalmente ho sempre pensato al digitale come ad una forma d’arte, o d’artigianato, profondamente alternativa ai metodi tradizionali e non certo come ad un loro palliativo o surrogato. Amo molto lavorare con Cubase in particolare, è una dimensione molto intima, direi quasi mistica della musica... È possibile soffermarsi su ogni dettaglio del suono, limandone ogni sfumatura come se si stesse scolpendo una creatura sonora. Trovo che sia davvero entusiasmante ascoltare un brano prendere forma e modellarsi passaggio dopo passaggio. Mi è capitato naturalmente di lavorare anche con esecutori in carne ed ossa, là dove il progetto o la produzione lo richiedano. In questo secondo caso, al contrario di ciò che si è portati a credere da una certa retorica del pentagramma e calamaio, il lavoro del compositore è meno oneroso. Una volta scritta la musica infatti, la patata bollente passa nelle mani di esecutori e fonici, i quali svolgono un lavoro che, nel caso dell’orchestrazione virtuale, spetterebbe (di diritto) al compositore stesso. Come mi è capitato di scrivere tempo fa su Il Fatto Quotidiano.it, se le orchestre virtuali erano inizialmente utilizzate più che altro da piccole produzioni, o comunque nell’ambito di progetti in cui la musica non aveva particolare rilievo, questa tecnologia è oggi adoperata da molte grandi produzioni, anche hollywoodiane. Dunque è chiaro che il problema non è più solo il budget. Ritengo che ogni sistema di lavoro possieda caratteristiche peculiari e possibilità espressive diverse, nonché punti di forza funzionali al raggiungimento di scopi estetici differenti. Lo dico da anni... In un film come il Batman di Nolan, ad esempio, il suono potente e preciso dell’orchestra virtuale (sola o integrata a quella tradizionale) trova la sua collocazione estetica naturale. Viceversa, in una pellicola classica come The Artist di Michel Hazanavicius, le sfumature offerte da un’esecuzione di tipo tradizionale, sono decisamente più adatte. Infine, cerchiamo anche di renderci conto che il paragone tra un’esecuzione virtuale ed una reale, è sempre fatto evocando contra computer, il suono delle migliori orchestre del mondo: Berliner Philharmoniker, Wiener Philharmoniker, London Symphony Orchestra, ecc. Ma la stragrande maggioranza della musica per i media (anche di altissimo livello) non è certo sempre eseguita da orchestre di tale livello.

3) Se il primo passo per ogni compositore dovrebbe essere un’attenta lettura della sceneggiatura, penso che questa pratica sia spesso un’arma a doppio taglio. Lo script è certamente una suggestione fondamentale per iniziare a definire l’ambito emotivo e il campo d’azione della musica, tuttavia, molti compositori iniziano a scrivere a briglia sciolta ispirati dal testo, un pò come se stessero lavorando ad un’opera. Le musiche composte con tale approccio, potranno anche risultare belle e ricche di autonomia formale, ma spesso sono di fatto estremamente difficili da collocare nel film. Il rapporto con registi e montatori è un argomento vastissimo. Quello che mi sento di dire, è che esiste un problema enorme di linguaggio condiviso. Purtroppo, soprattutto nel nostro paese, la cultura musicale di base semplicemente non esiste! Se si è fortunati e ci si imbatte in un regista colto, tutto diventa più piacevole e fluido, altrimenti, sono dolori... Accennavo precedentemente al fatto che in alcuni casi, il compositore si trova davanti a musiche provvisorie su cui è stato realizzato il pre-montato del film. Una cosa è certa, se la scena funziona, il regista e il montatore non la cambieranno mai più. In questo caso è chiaro che il compito del compositore diviene particolarmente arduo. Circa un anno fa, ho incontrato per un’intervista il premio Oscar Pietro Scalia. Ad un certo punto della chiacchierata, non potei proprio sorvolare sul fatto che la musica del Gladiatore scritta per la scena della battaglia all’inizio del film, era al limite del plagio ai danni del brano di Gustav Holst, “Mars The Bringer of War”. Scalia mi disse, che il brano di Holst lo aveva scelto proprio lui per montare la scena della battaglia e che Hans Zimmer, a quel punto, aveva dovuto comporre il tema della sequenza senza potersi discostare eccessivamente dalle atmosfere del compositore inglese. È ovvio che le ragioni editoriali, spingono tutte le produzioni ad usare il più possibile musiche originali... È giusto ricordare però (anche contro l’interesse di chi compone solo musica per immagini) che alcuni film capolavoro come 2001 Odissea nello Spazio di Kubrik o Excalibur di John Boorman (e ce ne sono molti altri) sono caratterizzati dalla presenza massiccia di musica d’arte senza troppi complimenti. Oltre questi due esempi, devo dire che i francesi in generale, usano spessissimo musica d’arte nei loro film senza ricorrere ad espedienti di dubbio gusto e, soprattutto, segnalando chiaramente la cosa nei titoli di testa.

4) Neanche maggiorenne, il mio primo laboratorio furono le musiche per il programma Stargate Linea di Confine ed i cortometraggi con mio fratello Marco, oggi lanciatissimo regista Rai. Nel 2003, quando già lavoravo molto per la TV e per il teatro, mi chiamò la Film-Auro per musicare il film d’animazione Parva e il Principe Shiva. Le musiche della versione francese (a detta della produzione stessa) somigliavano preoccupantemente più al commento musicale di un film hard anni Ottanta, che alle musiche di un colorato film per ragazzi. Così, almeno nell’edizione italiana, decisero di cambiarle. Nonostante si trattasse di un lavoro con la partecipazione di Milo Manara e Vincenzo Cerami, il poco tempo a disposizione per scrivere le musiche, giocò a mio favore. Fu un battesimo del fuoco! La montatrice con la quale dovetti lavorare all’epoca, amava molto accompagnare le sedute di montaggio con copiose quantità di birra, così, ogni volta che chiudevamo insieme una scena, la volta seguente tutto tornava sistematicamente in discussione a causa di temibili vuoti di memoria... Fu un’esperienza traumatica, ma estremamente formativa... Capii subito che occorre imparare rapidamente a motivare le proprie scelte compositive e a difenderle con coraggio e decisione, soprattutto quando vengano messe in discussione in modo poco ragionevole. Poi ci sono casi, più rari devo dire, come quello rappresentato dalla collaborazione con il regista Roberto Salinas, per cui ho composto le musiche originali del film documentario The Troublemaker - Behind the Scenes of the United Nations. Ricordo che quando Roberto venne nel mio studio, si presentò con una serie di musiche molto belle di autori come Glass, Newman, Martinez, Zimmer e mi disse semplicemente: “Ecco, vorrei delle musiche così...”. Quando uno ha le idee chiare...

5) Approfitto di questa domanda per chiarire un piccolo equivoco, di cui sono in parte colpevole. Personalmente ritengo di essere principalmente un compositore di musica d’arte (sebbene realizzata con metodi moderni) e in seconda bautta un autore di musica per immagini. Ci tengo a dirlo, nonostante abbia al mio attivo diversi film e quasi cento documentari... Intendiamoci, adoro il cinema di alto livello forse quanto la musica stessa e vorrei scrivere musiche per film sempre più importanti e culturalmente rilevanti. Confesso per altro di non avere molta simpatia per quei compositori che, dopo aver provato a fare disperatamente musica da film (come se fosse più semplice) ed aver ricevuto solo dinieghi, fanno un pò come la volpe con l’uva... Nel mio caso però, la verità è che ho sempre scritto musica, la mia musica, e poi la TV (in particolare), il teatro e il cinema, l’hanno fortunatamente scelta ed utilizzata. Mi capitano spesso committenze dirette (cosa che ovviamente mi rende felice ed orgoglioso), tuttavia la mia vocazione artistica primaria, resta quella di scrivere musica che abbia una grande autonomia estetica, narrativa e formale, restando saldamente ancorata ad un linguaggio condiviso e godibile. Non credo sia un caso che la forma del poema sinfonico sia quella a cui ricorro con maggior piacere. Per me la letteratura e il cinema rappresentano, per dirla con Wagner, un elemento maschile fondamentale nel fertilizzare la musica, nel renderla generativa. Questo è un punto nodale del mio lavoro. Spesso la musica per gli sceneggiati italiani è piuttosto brutta, perché lo sono le storie, le immagini, la fotografia e gli attori. Sono certo che la colonna sonora di Blade Runner (non a caso riscritta per intero) sia molto efficace e notevole tutt’oggi, anche perché il film è un capolavoro e Ridley Scott è un regista colto, raffinato ed esigente. La televisione generalista è spesso poco stimolante per un musicista, mentre il cinema italiano (eccezion fatta per Garrone e in parte Sorrentino) non ha della musica una grandissima considerazione, né gli attribuisce una funzione narrativa come avviene invece sapientemente nel cinema anglosassone. È difficile scrivere della buona musica se quello che si propone ai musicisti è sempre la solita storiella d’amore pseudo adolescenziale, piuttosto che la fiction buonista su qualche carabiniere, investigatore o santo di turno. Aggiungo una breve riflessione a margine. Leggo sui vari social network professionali che infestano il pianeta, che ormai ci sono migliaia di compositori che si definiscono film composer. Ora, come ho avuto modo di discutere con il mio amico e collega Luigi Pulcini, che vive e lavora a Los Angeles per grosse produzioni internazionali, tutto questo è quantomeno bizzarro. Si è compositori di musica da film, se si musicano dei film, non se si ambisce a farlo. Non è affatto una diminutio essere solo un compositore. Dico questo, perché ho la netta sensazione che questa strana follia collettiva, rischia non solo di inflazionare ulteriormente un mercato già saturo, ma anche e soprattutto di far rimanere un sacco di gente con la bacchetta in mano, in attesa che qualcuno la legittimi a scrivere un pò di musica per qualche produzione che magari non vedrà mai la luce. Soprattutto all’inizio, si comincia a scrivere e produrre musica quando proprio non se ne può fare a meno, quando si ha l’esigenza profonda di farlo. È vero che anche molti grandissimi compositori del passato non hanno mai visto eseguite le loro opere, ma la loro musica, sebbene non ancora eseguita, c’era e come...

6) Devo dire che oggi la penso come Werner Herzog... Credo che sarebbe meglio limitare Internet ad una funzione di comunicazione avanzata (una sorta di telefono 2.0) smettendo però di consentirle di invadere ogni campo dello scibile umano. Temo che Internet stia di fatto devastando l’economia reale e sia divenuta una vera piaga dei tempi moderni. Ecco, non so come dirlo in modo più chiaro. Di conseguenza, non sono affatto un fan della distribuzione digitale, né della virtualizzazione dei supporti in generale. Se da una parte questa dà infatti l’illusione di poter portare la propria musica in tutto il mondo, dall’altra i numeri della discografia odierna sono tragici. Di fatto, la distribuzione digitale ha desertificato l’industria discografica e tradotto vari monopoli discografici in un unico monopolio virtuale. Personalmente, mi sono battuto per anni ed in tempi non sospetti (cambiando perfino editore) al fine di continuare a stampare copie fisiche dei miei dischi. Ci sono ancora, e spero ci saranno sempre, persone sensibili al disco stampato così come al libro cartaceo che, al contrario delle previsioni, resiste alla grande. In tal senso, vorrei davvero citare il prezioso lavoro del mio editore Pietro Paluello, che con la Heristal Entertainment continua a stampare dischi molto belli e dal packaging raffinato. Come collaboratore del Fatto Quotidiano, inoltre, ricevo spesso materiale per delle recensioni musicali, e guarda un pò, sono sempre dischi stampati... Per chiuderla con una battuta, direi che il disco è oggi un pò come la laurea, tutti dicono che non serve a nulla, ma senza, non vai da nessuna parte.

FINE QUINDICESIMA PARTE

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