Intervista esclusiva a Lele Marchitelli

Il compositore de La grande bellezza e The Young Pope: Intervista esclusiva a Lele Marchitelli

Un autore eclettico e multiforme, parliamo del compositore romano Lele Marchitelli di cui al momento possiamo sentire le sue composizioni che abbracciano vari stilemi musicali nella serie di grande successo di Sky, The Young Pope con Jude Law protagonista principale nel ruolo del giovane Papa del titolo. Serie firmata dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino, un genio che ha saputo infondere la sua genialità anche nella serialità televisiva, affermando maggiormente che oggi in TV più che al Cinema (senza generalizzare troppo, ovviamente!), si possono ritrovare dei prodotti che superano in qualità e idee quelli standardizzati del grande schermo.

La serie sorrentiniana ne è una prova eccelsa da ogni punto di vista! E questa chiacchierata con il suo compositore eletto ce ne conferma l’immenso valore ed il grande lavoro che vi è stato dietro. Marchitelli nella sua carriera nella musica applicata, iniziata quasi trent’anni fa, ha spaziato tra i generi, con poco più di venti titoli tra documentari, film per il cinema e la TV e adesso una serie che ha cambiato il volto della serialità televisiva come tutti oggi la intendiamo, dando una scossa disturbante e destabilizzante non comune, non solo grazie alla regia sempre innovativa e originale di Paolo Sorrentino, anche attraverso delle musiche che sanno cogliere ciò che visivamente non viene svelato. Ecco a voi, cari lettori, la vita in musica di Lele Marchitelli:

Colonne Sonore: Quando è scattato il colpo di fulmine per la musica applicata alle immagini?
Lele Marchitelli: Non so se sia stato un vero e proprio colpo di fulmine o questa cosa nel tempo sia nata e successivamente si sia rafforzata! In realtà non ho cominciato così, anche se mi dedico alla musica applicata da parecchio tempo; ammetto che non ho mai voluto fare altro se non occuparmi di musica. Da ragazzino fremevo e rompevo le scatole ai miei genitori per farmi comprare uno strumento, questo già dai 12 anni di età, credo, comunque da adolescente. Fino a che ci sono riuscito ed ho avuto una chitarra in regalo, che, ahimè, oggi non trovo più. Una chitarra EcoRanger 12 corde fiammata, con quel tipico degrado del colore, nero, grigio, giallo e rosso, e purtroppo non la trovo più e questa cosa mi secca da morire; sapessi quante volte l’ho cercata tanti anni fa!
Insomma, l’unica cosa che posso dire è che non ho mai voluto fare altro nella mia vita. Pensa che mi sono anche iscritto all’Università e quasi laureato in lettere ma la passione per la musica era ed è più forte di tutto!

CS: Il tuo film d’esordio è un horror di Marcello Avallone del 1987, Spettri, co-musicato con Danilo Rea, famoso jazzista. Cosa rammenti di quella prima volta a contatto con gli stilemi della ‘Scary Music’?
LM: Con Danilo c’è una storia pluridecennale, ci conosciamo da una vita, abbiamo lavorato insieme parecchie volte, non è un amico per me, di più, un fratello! Ci divertiamo tanto a collaborare anche se è passato un po’ di tempo da quando abbiamo lavorato insieme. Abbiamo fatto molteplici cose in televisione. Oltre Spettri abbiamo musicato assieme un altro film, l’esordio alla regia di Giuseppe Piccioni nel 1987, Il grande Blek. Poi Danilo ha proseguito per la sua strada come pianista, un pianista straordinario ed io non uso solitamente aggettivi così roboanti ma nel suo caso lo ritengo veramente un artista fuori dall’ordinario, con una musicalità che non ho mai riscontrato in nessun altro (magari posso essere smentito!). Credo vivamente che sia uno dei musicisti più talentuosi in circolazione. Fortemente dotato, con un senso della musicalità non comune, e non mi riferisco al solo suo ruolo pianistico.
Tornando a Spettri, se penso ancora alla lavorazione mi vengono i brividi (è proprio il caso di dirlo! - risate): abbiamo iniziato a lavorare a Roma poi per questioni editoriali, di costi e di diritti, siamo andati a registrare la colonna sonora a Torino, dato che l’editore musicale era proprio di questa città. Siamo partiti in auto, viaggiando di notte, per arrivare in mattinata a Torino, fare due chiacchiere sullo score e registrare soltanto il giorno seguente tutto di filato, ripartendo l’indomani. Ci siamo pure portati in macchina una tastiera di Danilo, una Elka Synthex, se non ricordo male, che pesava 400 chili, mostruosa (risate).

CS: Nel 1996 con Sono pazzo di Iris Blond e nel 2003 con Ma che colpa abbiamo noi hai collaborato con Carlo Verdone. Come è nata la vostra esperienza lavorativa e qual è stato il tragitto sonoro percorso nei due film molto distanti tra loro per trama, personaggi e ambientazione?
LM: Non ci conoscevamo ed un giorno mi ha semplicemente telefonato. Il classico dei copioni, insomma: “Pronto, sono Carlo Verdone e sto facendo un film dove c’è una coppia che è anche un duo di musicisti e cantanti (parlo ovviamente di Sono pazzo di Iris Blond). E’ una storia ambientata in Belgio, a Bruxelles, in cui vi sono dei suoni e delle musiche particolari e siccome ho sentito quello che scrivi e mi piace, vorrei coinvolgerti”. Allora ho composto alcune canzoni ed i testi li ha scritti la collaboratrice storica di Verdone alle sceneggiature, Francesca Marciano. E’ stata una gran bella esperienza, ed ogni tanto mi capita di risentire i pezzi che ho scritto per questa colonna sonora, cosa che raramente faccio con le mie composizioni, tranne se ci capito per caso nel mio computer. Con Sono pazzo di Iris Blond non ne ricavo una brutta impressione come in genere mi succede (sorride)! Sono troppo ipercritico con me stesso. Conosci personalmente la genesi di come sei giunto a quel brano piuttosto che ad un altro e quello che volevi, che potevi e che non hai potuto o voluto fare, quindi scatta il principio di autocritica e inizi a chiederti ‘perché?’. E’ normale, a dire il vero, e succede a tutti ma ti fermi spesso a chiederti perché ti sei impigrito su tal cosa piuttosto che impegnarsi di più nella sua migliore riuscita, e così via! Sono abbastanza critico e non mi esalto. Ovviamente sono contento di quello che ho fatto! Non faccio il finto modesto su questa cosa però mi fustigo abbastanza, e intanto sono un tipo che non crede all’ispirazione. Nel mio lavoro, come tutti la intendono, per me non esiste l’ispirazione. Thomas Edison disse: “Genius is one percent inspiration, ninety-nine percent perspiration”, cioè ‘Il genio è per l’1% ispirazione e per il 99% sudore’. Ciò significa che io tutti i giorni, con ovviamente qualche eccezione, vado nel mio studio, anche se non sto lavorando a niente in particolare, e leggo, ascolto musica, guardo film, o osservo fuori dalla finestra. Ci vado sempre! Il momento del lavoro è il lavoro, gli altri momenti, per come la vedo io, sono di studio! Leggere, ascoltare musica, vedere un film, fare una passeggiata, quello che vuoi, insomma. Se non hai momenti di studio non potrai mai mettere in pratica ciò che sei. E’ vero che stai facendo qualcosa ma un eventuale scatto, un gradino in più rispetto al lavoro precedente non lo avrai, farai mai. Lo studio ti serve per andare avanti e poi lo metterai in pratica in un secondo momento. Se tu lavori solamente OK, che per carità va anche bene, ma se non metti in pratica lo studio, non metti il lievito nelle cose, non si progredisce. Lo studio significa tutto! E non mi riferisco soltanto allo studio di uno strumento, che in seguito va bene lo stesso, visto che quando non lavoro difficilmente mi metto a studiare uno strumento in senso stretto. Lo prendo tangenzialmente: lo studio, ribadisco, significa leggere, sentire, guardare, cercare. Difatti il cercare qualcosa che ti è venuto in mente qualche mese fa e ritrovarlo, rappresenta quelle piccole cose che ti serviranno per il lavoro successivo e se non studi, in senso larghissimo, ciò non avviene. Mi piace studiare, che vuol dire farsi anche due ore e mezza di passeggiata per Roma dove ti vengono per associazione pensieri e idee che ti ritorneranno utili. Un disastro di roba (risate) che ti passa per la testa che il più delle volte, magari, non ti porta a nulla ma altre invece ti giova parecchio. Aggiungo una piccola cosa: molto spesso mi vengono in mente alcune idee interessanti, non dico belle perché questa è una categoria che non si deve nominare, la notte, quel quarto d’ora prima di addormentarmi. Quello è un monento strano di grande concentrazione pur venendo da una giornata intera di stanchezza lavorativa e non solo, in cui mi capita di fare una sorta di analisi velocissima delle mie cose e mi dico che l’indomani voglio provare questa cosa; devo dire che funziona. La mattina dopo, pur non prendendo appunti, me la ricordo e non parlo soltanto di note. Anche se è capitato ma non è questo che voglio dire! Una cosa interessante per un arrangiamento, provare un suono o uno strumento per qualcosa che sto facendo, ciò mi viene e mi piace farlo. Niente di clamoroso ma mi serve parecchio dato che non parlo della melodia straordinaria che mi arriva così, visto che torno a ribadire che all’ispirazione non credo. E’ la somma della giornata che alla fine mi porta da qualche parte! Funziona anche se non accade tutti i giorni. Posso affermare altresì che non mi è mai successo di svegliarmi la notte con le note in testa! Io sono più pragmatico, come gli scrittori che decidono che dalle 9:00 alle 18:00 si siedono a scrivere o almeno sperano.
Piccola parentesi riguardo la ‘Musica da Film’: il musicista non può fare nulla perché se il film c’è vi è tutto il resto! Se la pellicola non funziona anche se entrasse Mozart da quella porta e dicesse ci penso io a musicarla, il risultato del film non cambierebbe (risate). Io dico sempre che il proprietario del film è il regista e tutto il cast tecnico e artistico deve fare affidamento a lui, perché è lui che ha in testa l’idea che porta alla realizzazione del film. Nessun altro! Non posso entrare nella testa del regista e dirgli che con questa o quella musica la scena andrebbe meglio, anche se dialetticamente si fa, però l’ultima parola, giustamente, e insisto, è del regista. Perché è lui che ha pensato per anni a quel film, scrivendolo, sudando sangue, e come faccio io a dire che è meglio questo o quello – e torno a ribadire che si fa e si può dire – però non si può insistere. Io faccio spesso delle discussioni o chiacchierate insieme a colleghi compositori in seminari o incontri sulla musica applicata, e mi trovo a volte davanti a persone che si offendono perché gli hanno tolto dal film quella musica o perfino spostata su di un’altra scena. Si dimenticano che il film non è un’opera tua! Non c’è niente da fare, è l’opera di un altro! Il cinema è un lavoro di gruppo, ovviamente, ma il regista è il padrone…termine per semplificare il concetto. Il regista è il proprietario che ha la visione totalizzante di quell’opera. Tutto il gruppo deve andare dietro a quella visione e logicamente il regista ascolterà tutti ma è pur sempre il proprietario. Nel caso del Cinema in cui la musica è musica applicata non si può andare a dire al regista che questa musica andrebbe meglio su questa scena piuttosto che su di un’altra; io non sono affatto d’accordo su questo modo di fare! Molti miei colleghi la pensano così ma io non mi ci trovo.
Ritornando ai film di Verdone, con Carlo siamo, da allora, diventati amici e ci continuiamo a frequentare, perfino ne La grande bellezza ci siamo rivisti ed ho pure suonato nella scena in cui Verdone, finalmente, in un teatro riusciva a recitare la sua commedia. Sorrentino ha scritto un bellissimo personaggio per lui nel film e Carlo è stato davvero bravo ad interpretarlo. Magari ricapiterà di lavorare con lui in un prossimo suo film, anche se è giusto che Carlo chiami chi vuole per musicare una sua pellicola visto che cambiare approccio musicale giova sempre. Devo dire che in ogni caso io sono molto affezionato alle cose che ho fatto e non rinnego nulla! Non ho nessun regista di cui ho un cattivo ricordo, ben che meno con Carlo che è di una simpatia straordinaria e fa ridere anche quando si accende una sigaretta (risate).

cover piano solo

CS: Il 2007 ti ha visto interprete musicale di una pellicola, Piano, solo, sul pianista paranoico e suicida Luca Flores. Una tua score intrisa di sapori jazzistici e umori neri come quelli eseguiti e vissuti dal protagonista reale della storia del film. Come ti sei rapportato a questa vicenda vera di ritorno e andata all’inferno in musica?
LM: Quella è una storiaccia. In realtà non ho mai conosciuto Luca Flores, anche se ci siamo incrociati nel periodo in cui lavoravo con Danilo Rea e la scena jazz romana in cui in fondo eravamo tutti amici. Difatti chiamai a suonare nella colonna sonora del film un trio di jazzisti che erano stati suoi amici o colleghi, Roberto Gatto, Enzo Pietropaoli e Stefano Bollani. Proprio Bollani aveva studiato, andando alle sue lezione di jazz, con Flores che era più grande di lui di età. Nel film tutte le performance degli attori in playback, il protagonista Kim Rossi Stuart (Flores) e gli altri due del trio, sono eseguite da Bollani al piano, Gatto alla batteria e Pietropaoli al contrabbasso. Un film molto difficile anche da girare, anche se il regista Riccardo Milani lo ha condotto con mano sicura perché si doveva narrare una storia vera, triste e malinconica. La vita di un enorme talento autodistruttivo che Milani ha dovuto condensare in un’ora e mezza di film, lasciando fuori tantissime cose reali e disturbanti. E’ stato per tutti molto complicato entrare in questa vicenda vera e straziante, con un coinvolgimento tale da colpirci profondamente. Kim Rossi Stuart è stato straordinario nell’interpretare Flores! Ed anche Milani, il regista, ha fatto un egregio lavoro di ricostruzione. Per me, ma per tutti, è stata una sfida importante. Io sono felice del lavoro che ho scritto, tutto per piano solista e archi, in cui il pianoforte era suonato da Danilo Rea. Anche se sono per lo più avvezzo alla promiscuità musicale (suoni reali e sintetici insieme), ma in questo caso l’uso di soli archi e piano mi ha soddisfatto appieno. Per esempio, in The Young Pope ho usato l’orchestra di Praga e suoni sintetici programmati, qualsiasi cosa insomma. A me piace contaminare, anche se il termine non mi fa impazzire, cioè diventare promiscui e avvicinare uno strumento ad un altro anche se all’apparenza sono distanti anni luce l’uno dall’altro. Non mi spaventa fare queste combinazioni, anzi mi stimolano parecchio.

CS: Un momento cruciale nella tua carriera di compositore al servizio dell’immagine è contrassegnato dall’incontro con il Premio Oscar Paolo Sorrentino, proprio per il suo bellissimo La grande bellezza, miglior film straniero agli Academy Awards, per il quale hai composto otto brani dagli stili diversi (minimalismo, pop, jazz, classico e ambient). In che modo sei riuscito a far convivere i tuoi pezzi originali con il caotico ma sublime accostamento di brani preesistenti dei più disparati generi musicali nel film?
LM: E’ semplice parlare di questa fusione di generi perché mi ci ha portato Paolo! Tra l’altro ti dico che come per la serie sul giovane Papa, ho scritto tutti i miei pezzi prima del montaggio finale del film. Con Sorrentino si lavora così, anche se, e faccio un passo indietro, io scrivo musica sempre in questo modo. Appena nasce l’ipotesi di un lavoro da musicare, leggo subito la sceneggiatura, chiacchierata con il regista prima che inizi a girare e poi comincio a comporre; ed è la parte che mi piace di più in assoluto. Quella per me è gioia, poi iniziano le seccature in senso positivo (risate), cioè andare a tagliare il pezzo scritto da un minuto e trenta ad un minuto, riarrangiarlo e così via. In fin dei conti il lavoro è questo, normale, ma la parte della scrittura slegata dalle immagini ed interpretare la visione del regista su carta bianca mi piace da morire, mi elettrizza. Li mi scateno perché la gioia mi assale (ride). Paolo Sorrentino non è di molte parole, è una persona timida e questo è noto, si è visto in tante interviste. Dice poco e devi entrare nella sua testa che non è facile ma stimolante. Io lo ammiro tantissimo sia da un punto di vista artistico che umano, lo trovo geniale e spiazzante. Questa è la cosa più bella! Con lui non esiste mai nulla di scontato. Pensi che magari vorrà un tal musica qui anziché li invece non indovini mai, perché lui ti spiazza sempre e sa di continuo ciò che vuole fin nei minimi dettagli. Con lui mai vado a colpo sicuro. Se con lui vai a colpo sicuro sbagli in principio! C’è una cosa che mi piace molto e che in lui riscontro sempre: è ‘controintuitivo’, e non solo nella musica applicata alle immagini ma nella visione più totale del film. Ti aspetti per una certa scena una qualcerta musica ed invece ciò non accade mai. E’ come l’uso della musica nei suoi film che fa Martin Scorsese: vedi The Wolf of Wall Street in cui nella scena del naufragio altamente drammatica in sottofondo c’è “Gloria” di Umberto Tozzi, straniante ma efficace. Questa è anche la cifra stilistica di Paolo che stupisce parecchio e che non si riduce all’uso dei violini in una scena sentimentale. Naturalmente estremizzo la cosa e la semplifico ma in fondo è così! Mi piace lavorare con lui perché sono costantemente stimolato, sbaglio e mi correggo, cambio, modifico e vado avanti con sempre più passione e coinvolgimento. Mi mette in una condizione fantastica.

CS: Arriviamo alla tua seconda collaborazione con Sorrentino, la serie di enorme successo The Young Pope ancora in onda su Sky. Anche in questa collaborazione la tua musica originale deve letteralmente guerreggiare con molti pezzi di musica di repertorio, sia classici che contemporanei. E’ limitante o stimolante doversi destreggiare tra differenti generi sonori e cercare di far sentire le proprie idee rendendole facilmente identificabili in questa marea di musica che travolge come un fiume in piena, oltre all’aspetto visivo sorrentiniano che stordisce e ammalia senza se e senza ma?
LM: Ho scritto una marea di musica per questa serie e molta non è finita dentro com’è normale che accada. Difatti non è che se hai scritto trenta o quaranta pezzi tutti sono giusti per la serie. Ho iniziato a scrivere la musica per The Young Pope più di un anno e mezzo fa, quando Paolo mi ha parlato dell’idea chiedendomi se volevo realizzarne le musiche. Qualche giorno fa mi sono andato a risentire alcuni pezzi che non sono finiti nella serie e li ho trovati belli – e dico una cosa che non si dovrebbe dire, perché di se stessi non si può parlare in questi termini –, sono musiche di cui sono molto soddisfatto e orgoglioso. E di tutta questa meraviglia devo ringraziare Paolo, perché senza i suoi geniali stimoli non arriverei a scrivere quello che ho composto. Con lui ti devi impegnare seriamente perché non è una roba tanto per farla. Ti sorprende sempre con delle storie fuori dal comune, che innescano spesso parecchie polemiche. Come tutti ben sappiamo!

CS: Ti è capitato sia ne La grande bellezza che in The Young Pope che alcuni tuoi brani pensati e scritti per una determinata sequenza siano finiti in un’altra scena?
LM: Si, ma c’è da sottolineare, in verità, che io non ragiono per sequenze. Nel caso di Sorrentino molte scene in cui compare la musica di repertorio, i pezzi sono già riportati in sceneggiatura. Perché Paolo sa già dove va la musica nel suo film e la vede su quella determinata scena mentre la scrive. Difatti, consiglio sempre di leggere la sceneggiatura de La grande bellezza visto che è stata pubblicata, prima perché nella versione edita in libreria c’è più roba che nel film e nella sua versione più lunga uscita tempo dopo, e perché fa comprendere appieno con quale meravigliosa scrittura lui riesce a delineare ogni cosa in maniera perfetta: abiti, ambienti, personaggi, musiche, sensazioni, caratteri, anche se in due pagine puoi trovare solo una battuta, tipo “Buongiorno”. Quindi quelle scene, attraverso tale stupenda minuziosità descrittiva, le vedi già compiute! Solitamente scrivo dei pezzi che secondo me posseggono delle atmosfere giuste e dei suoni appropriati che poi sul film correggo, ovviamente, per adattarle alle immagini, ma non è detto che quello che scrivo debba per forza andare in una determinata scena; anche se mi posso permettere di pensare una musica per un tal sequenza, io lavoro pensando per lo più ai colori e ai sapori di una parte del film, senza fossilizzarmi su di una scena o un’altra, questo perché Paolo mi spinge in tal senso e mi agevola e incoraggia parecchio. Questo accade sempre quando leggo la sceneggiatura visto che, torno a ribadire, in essa vedi e senti già tutto! Con Paolo capita spesso che ti dica che nel film ci vuole musica classica ed elettronica contemporaneamente e questo è un forte stimolo per assecondare il mio desiderio di promiscuità musicale di cui parlavo prima. In ogni caso se un tuo pezzo non finisce nel film o nella serie ci può essere un sottile dispiacere perché ci hai dedicato tempo e fatica, ci sei affezionato, ma alla fine, ritorno a dire, il regista è quello che ha la giusta visione totale della sua opera e sa cos’è meglio usare per dare forza alle sue immagini. Nel caso di Paolo vado sul sicuro (ride). Non mi posso assolutamente permettere di dire al regista che in quella scena la musica che lui ha selezionato in fase di sceneggiatura o di montaggio non va bene e andrebbe meglio la mia originale. Il regista comanda e la sua visione è quella e chi sono io per contraddirla! Diciamola tutta, non mi sembrerebbe corretto e un atteggiamento stupido da parte mia. Poi per quel che riguarda registi che ammiro ciò sarebbe davvero forzato e inutile se hai piena fiducia in loro. Logicamente c’è sempre una dialettica con il regista che solitamente non sa comunicare da un punto di vista musicale, visto che preferisco che mi parli di altro piuttosto che di ‘maggiore’ o ‘minore’ che non sa nemmeno cosa sono (ride). Ad ognuno il suo, dato che poi sta a me interpretare ciò che pensa riguardo la musica e metterlo in note con le mie capacità compositive. Devo essere sincero ma non so in Italia, tra i registi, chi abbia una conoscenza approfondita in senso tecnico della materia per poterne parlare appropriatamente! Magari sono io che non ne conosco, anzi Carlo Verdone in tandem con Sorrentino sono due che ascoltano della musica che tu non immagini nemmeno se la leggi riportata sulla sceneggiatura, scovano della roba che non sai da dove l’hanno tirata fuori. Entrambi indagano, ascoltano di tutto, non si fermano nel cercare nuove sonorità e autori che magari alcune volte conosco anch’io ma altre mi meravigliano positivamente.

CS: Da queste due importantissime esperienze e dal breve, ad oggi, sodalizio con Sorrentino cosa ne ha tratto la tua figura di compositore per le immagini? Quanto ti ha cambiato questo confronto con un autore geniale che purtroppo si apprezza o si disapprova, senza via di mezzo, e non parlo solo della critica ma anche del pubblico che decreta il vero successo di un film al Cinema?
LM: Ancora oggi leggo delle critiche su Sorrentino che non possono nemmeno chiamarsi tali. Logicamente non è obbligatorio piacere a tutti, però quando leggi, non dico l’odio ma la cattiveria, allora ti rendi conto che il critico non sta parlando solo del film ma di qualcos’altro, capisci che c’è dell’accanimento negativo gratuito. Su The Young Pope ne ho lette ultimamente alcune ma a dire il vero poche questa volta. Poi è una serie che è stata venduta dappertutto, quindi parliamo di un’enorme soddisfazione, e ancora dobbiamo capire cosa accadrà quando andrà in onda negli Stati Uniti il 15 Gennaio sul canale HBO. Lì è un’incognita, vediamo che effetto scatenerà! Gli americani sono strani riguardo argomenti inerenti il Vaticano, la Chiesa, Roma che comunque suscitano da sempre un certo appeal per loro. Certamente andrà in onda su un canale a pagamento come HBO che possiede un pubblico mirato non quello delle TV generaliste dove non potrebbe nemmeno essere trasmessa, quindi questo farà la differenza. Pensa che sulla nostra Rai 1 non potrebbe nemmeno andare in onda la sigla della serie (risate). E c’è già in programma la seconda stagione!

CS: Ti ritieni un jazzista prestato al Cinema o un musicista tout court che del Cinema ha fatto la sua dimora per esprimersi al meglio?
LM: Io non sono per nulla un jazzista! Mi piace il jazz, lo ascolto, alcune cose non mi appassionano. Se devo per forza dare una definizione musicale di me, sono più un rockettaro ma anche in parte pop. Naturalmente se tu riscontri una vena jazz nei miei lavori, questa non è assolutamente ricercata, anche se non mi dispiace che venga fuori. Non voluta ne cercata ma probabilmente dovuta alle frequentazioni di parecchi amici che del jazz hanno fatto la propria dimora musicale. Ultimamente ascolto per lo più musica classica e non so perché! Soprattutto musica classica contemporanea del ‘900. Mi intriga e mi affascina moltissimo e forse perché si avvicina in una certa maniera all’attuale modo di fare musica. Poi ascolto di tutto, in verità, molta musica elettronica, anche musica improbabile, insentibile – anche se questa ne sento davvero poca (risate) – perché sono prettamente un ‘curioso’ della musica. Si crea un frullato nella testa da cui rubare in seguito; mi piace rubare perché io sono per il furto (risate). Chiarisco il concetto subito per non dare adito a malintesi: il furto nell’arte in genere, che si è sempre fatto, non sono stato né il primo e nemmeno l’ultimo, perché nei secoli si è perseguito con continuità, lo intendo come furto dell’anima di quella tal forma artistica. Senza fare esempi, ma tu senti quella cosa e ti chiedi da dove nasce, da quale profondità proviene, per comprendere com’è nata quella musica, pertanto scavare e scoprire da dove provengono quelle note. Quindi sono per il furto e non per la copia, intendiamoci!

CS: Ti chiedo una tua definizione di ‘Musica per Immagini’?
LM: Mi verrebbe da tornare quasi all’inizio della nostra conversazione e dirti che la musica per immagini si può riassummere nel ‘Regista ha sempre ragione’. In realtà una domanda molto semplice al quale è complicato rispondere subito, perché cela molte insidie. Sai che non lo so, perché penso soltanto alla definizione del regista di cui sopra. Le Immagini sono il Regista! L’immagine non è una cosa amorfa, arriva a te perché il regista ha deciso che ti deve giungere in quel modo. Ha deciso che la fotografia, gli effetti, i dialoghi, il suono, la musica e le atmosfere sono quelle. Ovviamente a me le immagini stimolano molto e cerco di rispettare il volere del regista, soprattutto quando lui, come accenato prima, è ‘controintuitivo’. Ed anch’io divento controintuitivo e cerco da subito di scovare nell’immagine quello che non si vede apparentemente e di dirlo in musica, delineare il non detto della scena. Non è una stupidaggine farlo, anzi una sfida enorme. Aiuta moltissimo a sviluppare la creatività, perché sappiamo benissimo che ci possono essere cento, un milione di modi e più di musicare una tal sequenza e qual è quella più appropriata? A mio avviso non c’è! Probabilmente ve ne sono tante giuste e nessuna giusta. Quando faccio degli incontri sulla musica applicata, dei seminari, chiedo sempre ai miei studenti di dirmi quale film brutto rammentano con una bella musica? Nessuno mi sa rispondere, a parte rarissimi casi, e perché? Perché ti ricordi soltanto bei film con belle musiche, magari alcuni dei gran capolavori sicuramente. Se non c’è il film non c’è tutto il resto! Ci metto la firma. Un film brutto ha la musica brutta perché la musica non risolve i suoi problemi. Se è venuta brutta resta brutta anche se ci metti una sonata di Beethoven. Come se andassi da un regista con la mia musica chiedendogli un video bello per compensarne la bruttezza, non è fattibile!

CS: Un ultima domanda che faccio sempre ai compositori di musica applicata: qual è il film che rappresenta in maniera omnicomprensiva il tuo stile e che consiglieresti a chi dovesse approcciarsi alla tua musica per conoscerti veramente?
LM: Mi tocca dire un’ovvietà ma non mi viene in mente altro: l’ultima! Lo dico sinceramente! Mi piace tutto quello che ho scritto, forse alcune meno ed altre di più, rispetto al film per cui le ho scritte ed al suo valore, però ritengo che l’ultima è sempre quella che mi rappresenta maggiormente. Proprio adesso quella per The Young Pope di cui uscirà il CD anche con le musiche preesistenti, e che a breve si potrà ascoltare su Spotify, la considero la mia massima espressione musicale di cui sono molto orgoglioso. Cito anche le musiche per La grande bellezza ma questa serie mi rappresenta moltissimo. E’ stato un lavoro duro e appassionante, ho scritto delle cose che non pensavo di poter scrivere, ho fatto tante ricerche, ho sperimentato molto e non ho dato fondo al mestiere, ecco! Mi sono messo assolutamente in gioco, pur nei tanti momenti difficili tra me e me, non con Paolo. Parlo di cose che non sa nessuno. Mi sono imposto delle cose e mi sono sforzato di arrivare da qualche parte, in territori mai esplorati prima da me, e ne sono enormemente soddisfatto. E spero di dire la stessa cosa per il prossimo lavoro che non so quale sarà! Anche se sto già lavorando con Sorrentino su di una pubblicità per la Campari.

Un ringraziamento alla grande disponibilità e cortesia del Maestro Lele Marchitelli ed uno speciale a mio fratello Dario Privitera per avermi fornito il contatto mail del Maestro da cui è nata questa bella intervista.

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