Intervista esclusiva a Marco Betta

La musica per film ‘Una sceneggiatura in ombra’ - Intervista esclusiva a Marco Betta

Nato a Enna nel 1964, Marco Betta è annoverato fra i maggiori compositori del panorama contemporaneo italiano ed europeo. Ha composto partiture per orchestra, da camera, per il cinema e per il teatro di prosa e d’opera. Le sue composizioni sono pubblicate da Ricordi e dalla Casa Musicale Sonzogno. Studia con Eliodoro Sollima al Conservatorio di Palermo per poi perfezionarsi a Firenze con Armando Gentilucci e a Città di Castello con Salvatore Sciarrino. Dal 1994 al 2002 ricopre il prestigioso incarico di Direttore Artistico del Teatro Massimo a Palermo.

Insegna composizione al Conservatorio del capoluogo siciliano e Teoria della Colonna Sonora all’Università Luiss a Roma. Collabora con grandi registi fra cui Roberto Andò, Ruggero Cappuccio e Gianluca Tavarelli. Clamoroso successo ottiene nel 2015, all’inaugurazione della Stagione del Teatro Massimo, l’opera per musica e film intitolata ‘Quadro Nero’ ispirato al dipinto della Vucciria di Renato Guttuso (1911 – 1987) con testi di Andrea Camilleri e realizzata in collaborazione con il regista Roberto Andò e Fabio Carapezza, figlio adottivo del grande pittore.

Colonne Sonore: E’ un grande onore poter intervistare un’artista che insieme a Sciarrino (1947) e Sollima (1962) dalla splendida terra di Sicilia onorano il nostro paese a livello planetario…

Marco Betta: Sai, io sono stato allievo del papà di Giovanni (Sollima, ndr), che è stato mio maestro di composizione. Trovo Giovanni grandissimo, fantastico, non ci sono altre parole…

CS: Il tuo linguaggio mi ha subito profondamente affascinato. In uno sguardo alla tua attività compositiva si nota questa tua forte associazione e coinvolgimento con l’immagine sia essa rappresentata su un palcoscenico come opera o pièce teatrale o sul grande schermo…

MB: Sai, in qualche modo facciamo sempre riferimento a uno specifico percorso artistico.
Ho iniziato studiando la chitarra, poi ho avuto la fortuna del meraviglioso incontro con Eliodoro Sollima che ha percepito questa mia interiore vocazione per la composizione e mi ha in questo modo avviato su questo cammino. Poi ho studiato anche direzione d’orchestra e di coro. L’incontro con la scrittura per me è stato fin da subito un rapporto con la composizione non solo come mondo sonoro ma anche come idea di diario intimo. In realtà fin dagli inizi nel mio inconscio ho sempre lavorato alle partiture con l’idea di raccontare mie storie. Il teatro lirico e di prosa e il cinema sono stati strumenti che mi hanno profondamente aiutato nel senso che mi sono trovato a scrivere quelle che potremmo definire ‘sceneggiature in ombra’ rispetto a storie di altri. Raccontando con i suoni le storie di altri nel cinema la musica diventa ‘una sceneggiatura in ombra’, potremmo dire come la fotografia. Manca la presenza visiva fisica ma la percepiamo all’ascolto. In un film ti devi inserire in determinati punti da dove puoi arrivare a trasmettere con i suoni ciò che le parole non dicono.
La musica è sorella di tutte le altre arti, opera, prosa, cinema e questo ti abitua anche a capire le temperature dei grandi registi, fotografi, sceneggiatori e costumisti e ti incontri con alcuni colori che ti somigliano e che ti tieni per tutta la vita. Quindi il confronto con le varie forme espressive è avvenuto in modo del tutto spontaneo e naturale.

CS: In particolare risalta il tuo intenso rapporto con il teatro greco, Eschilo, Euripide…

MB: Come scrive Paolo Emilio Carapezza nel suo trattato ‘Le costituzioni della musica’ (1974), la musica al tempo dell’antica Grecia è di fondamentale importanza e rappresenta il senso sonoro della poesia come evidenziano anche Platone e Aristotele. Nel cristianesimo poi con il ‘melisma’ inizia il graduale distacco della musica dalla voce, come enunciato da Sant’Agostino nel ‘de Musica’ e Massimo Mila nella ‘Breve storia della musica’. Partire dai Greci, dalla grande letteratura greca ma anche latina, il melos significa in qualche modo tornare alle origini, passando poi attraverso le musiche popolari dei carrettieri siciliani che sono simili a quelle dei canti dell’antica Persia, quelli che Virgilio tratteggia nelle bucoliche. Quindi possiamo dire essere in qualche modo sempre partito da questo mistero scritto dentro la poesia greca e latina, dentro l’esametro virgiliano, dentro questi ritmi, la metrica: qui troviamo il DNA della nostra musica e personalmente provo una profondissima attrazione in generale verso la musica antica. Parliamo di un affascinante mondo sommerso che è nella nostra memoria che cerco di far vivere dentro di me e raccontarlo.

CS: Per quanto riguarda il cinema hai stabilito una intensa collaborazione con il regista Roberto Andò.

MB: Con Roberto. oltre che da una stretta collaborazione, siamo legati da una profonda amicizia. Abbiamo cominciato a lavorare insieme nel 1990 in uno spettacolo imponente presentato fra l’altro a Palermo, Roma e Parigi intitolato ‘La sabbia del sonno’, un opera nella singolare concezione per musica e film. La sua trama sonora era costituita da partiture composte da Luciano Berio, Francesco Pennisi, Salvatore Sciarrino e da me. Da quel momento abbiamo realizzato insieme diversi progetti di successo. Per il cinema Il Manoscritto del Principe (2000), Viaggio segreto (2006), Viva la libertà (2013).
Poi vorrei aggiungere un’opera per film e musica ‘Sette storie per lasciare il mondo’. Con Roberto così come del resto con Ruggero Cappuccio mi lega una profonda empatia e affinità spirituale e artistica.

CS: Se si da uno sguardo alle nuove produzioni filmiche fa riflettere la crescita di due metodologie che sembrano voler soppiantare l’idea di colonna sonora originale intesa nel senso classico, creata da un musicista cui il regista concede più o meno spazio e libertà creativa. Parliamo della ‘temp track’ e del ‘sound design’. Analizzando i film in concorso alla prossima Berlinale 2017 non sembra esserci alcuna musica di particolare richiamo. Gli spunti interessanti attuali o del passato li troviamo piuttosto in altre sezioni come Panorama e Retrospective.

MB: L’aspetto interessante dell’attuale evoluzione riguarda a mio avviso il crescente utilizzo di soluzioni elettroniche per la costruzione di nuove figure musicali inteso anche come ricerca sperimentale. D’altra parte è triste come tu dici vedere la fine di importanti sodalizi come quelli che in passato hanno coinvolto grandi artisti come Hitchcock ed Herrmann, Fellini e Rota e altri. Non dico questo perché voglia difendere una categoria. Non dobbiamo dimenticare che, così come avviene con la fotografia o la sceneggiatura, un compositore è capace di trasmettere un arcobaleno diverso alle sfumature che può avere una colonna sonora.

CS: Moretti nel suo ultimo film Mia madre invece di affidarsi al suo abituale grande compositore Franco Piersanti ha optato – come hanno fatto in altre occasioni diversi registi come Tykwer, Erdem, Malik, Moore - per una compilazione di lavori orchestrali di Arvo Paert. Fermo restando la straordinaria suggestione che il linguaggio del compositore estone riesce a trasmettere, non si rischia una mancanza di originalità ?

MB: Franco Piersanti è un grandissimo. Autore raffinatissimo, profondo, mai banale, di spessore eccelso con una capacità di orchestrazione straordinaria. Arvo Paert è a sua volta un gigante. Il problema è che in determinati momenti scattano delle mode. Poi occorre considerare il fatto che a livello di industria cinematografica a volte forse è più conveniente avere un prodotto già pronto. Per un regista è anche più facile e comodo e quindi interviene l’aspetto di immediata praticità.
Comunque sono dell’opinione che utilizzare delle musiche già registrate abbia un senso se l’idea del regista già in partenza prevede questa soluzione.

CS: Una compilation va comunque realizzata con rigorosi criteri e poi montata in modo adeguato e volto a contribuire alla forza narrativa e introspettiva del film. La cosa riesce bene a Moretti ma molto meno a nostro avviso a Ermanno Olmi nel Villaggio di cartone (2011) dove utilizza una serie di lavori della Gubaidulina montati in modo precario che tendono a essere relegati in totale penombra senza alcun rapporto dialettico con la forza delle drammatiche immagini del film.

MB: Se si utilizzano le musiche di un determinato compositore solo per il nome che porta sicuramente è una soluzione non funzionale all’idea artistica del film. La musica deve essere funzionale all’idea in cui il film è concepito. La musica di un compositore sconosciuto può avere una forza straordinaria se corrisponde alle aspettative del regista. D’altra parte spesso si verifica anche il fatto che una musica preesistente è proprio strutturata nel film. Prendiamo il caso del Manoscritto del Principe. Ecco qui il “Preludio” del Tristano di Wagner è come un personaggio che io ho cercato di inquadrare nella concezione architettonica della partitura.

CS: A proposito del Manoscritto del Principe l’Amiata Piano Festival ha presentato nel 2015 un arrangiamento della “Suite” dalla colonna sonora per violoncello e fiati (eseguito dalla violoncellista Silvia Chiesa e i Fiati di Parma, ndr). Ne hai redatto anche versioni per altri strumenti?

MB: Ne ho preparata una per trio e un’altra per violino e pianoforte utilizzata lo scorso anno a Verona per una rappresentazione di balletto.

CS: Come si collegano i tuoi brani orchestrali “Cieli notturni” a “Mari notturni”?

MB: Devo premettere che io molto spesso non sono contento di quanto ho scritto e quindi mi capita spesso di tornarci sopra finchè non riesco a concretizzare la mia idea artistica. Le due partiture da te citate sono costole di un progetto che nasce dall’idea dei Mari di Virgilio e delle sue affascinanti sospensioni visive (la notte, il cielo…) che troviamo nel Liber Secundum o in altri libri. Vorrei realizzare una grande partitura che li racchiuda nella forma di una sinfonia con variazioni. Il ciclo è in cammino, non è concluso. Ci sto lavorando, cerco di metterlo a punto ma non sono mai soddisfatto…

CS: Colpisce la densità e il carattere polifonico del linguaggio che si muove con grande eleganza, forte introspezione e lontano da compiacimenti esornativi…

MB: Nel comporre cerco sempre l’essenzialità e di essere me stesso. A volte mi chiedo cosa stia a fare dopo quanto scritto da Schubert e Prokofiev. L’unica risposta che ho è quella di cercare di raccontare me stesso e quindi per questo non ho bisogno di elaborare complicate costruzioni. Quando scrivo cerco di scordarmi, cerco di staccarmi dal concetto di tecnica compositiva.

CS: Secondo te il serialismo si può considerare come un’esperienza musicale compiuta o va piuttosto utilizzato come applicazione sonora, seguendo in certo modo l’esempio di Schnittke?

MB: Tutte le tecniche, dall’armonia classica alla quartale fino al serialismo o il contrappunto barocco rispetto a quello ottocentesco sono apparati normativi, sono dei vocabolari che esprimono rispetto al periodo storico delle consuetudini che i compositori hanno ma non arrivano a esprimerne compiutamente l’identità. Ad esempio, Mozart utilizza l’armonia classica ma gli conferisce una sua inimitabile impronta. Io penso che ogni processo tecnico applicato alla composizione abbia un senso solo se le idee inventive del compositore lo prevedono. Per quello che mi riguarda utilizzo serie dodecafoniche a seconda di quello che devo raccontare e ritengo che non bisogna confondere l’idea con i mezzi da utilizzare per esprimerla. E’ chiaro che se dovessi costruire un grattacielo non userei foglie di palma… dipende da cosa devo costruire. Se parliamo di un lavoro per bambini utilizzo mezzi ovviamente diversi da quelli che impiegherei per raccontare una serie di mie personali emozioni. Per questo amo molto Schnittke con il suo approccio eclettico. Diciamo che il serialismo è una metodologia che acquista senso e valore rispetto a quello che il compositore intende trasmettere. Prendiamo Berg. Egli non usa la dodecafonia al di fuori di sé. La usa per esprime il suo drammatico universo interiore e lo fa in modo unico, straordinario. Magari se decidessi anche io di fare la stessa cosa, ciò si trasformerebbe in puro accademismo, in quanto verrebbe a mancare la motivazione di un’idea. Quando un’idea è presente si scelgono i componenti migliori per realizzarla. Il compositore è anche un architetto che deve utilizzare i vari materiali della musica (scale, accordi, intervalli) in funzione di quello che intende costruire. Quando cerchi di raccontare il tuo mondo la pronuncia deve essere la tua…

CS: Ci sono compositori classici o contemporanei che ami ascoltare?

MB: Tanti, forse troppi… Bach, Mozart, Beethoven, Schumann, Mahler, Berg, ma ho una particolare predilezione per Schubert! In campo operistico amo molto ‘Il Tabarro’ di Puccini. E’ la mia opera preferita… poi effettivamente ho tanti amori…

CS: C’è qualche regista che ami in particolare?

MB: Mi piacciono soprattutto Bergman e Kubrick. Non dimentichiamo Angelopoulos.

CS: Come trascorre Marco Betta il suo tempo libero?

MB: Lo dedico principalmente alla lettura e alla mia famiglia, a mia figlia di 17 anni che considero la mia luce e ai miei genitori. Amo l’attività sportiva, in particolare palestra e nuoto che pratico regolarmente.

Ringraziamo infinitamente il Maestro Prof. Betta per la squisita disponibilità

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