Marco Beltrami ad Abbey Road: incidendo "The Omen"

Il compositore Marco Beltrami negli studi di Abbey Road

Londra, Abbey Road Studios, pochi giorni prima di Pasqua. Ai più è noto come lo studio dei Beatles: ma per gli appassionati di colonne sonore lo “Studio One” di questo complesso appartiene di diritto alla trilogia del Signore degli Anelli, ad Harry Potter, a Guerre Stellari dal Ritorno dello Jedi in poi, ai Predatori dell’arca perduta, all’Ultimo imperatore, ad Apollo 13 e a Braveheart. Marco Beltrami, uno dei più brillanti compositori hollywoodiani dell’ultima generazione, è venuto qui per registrare la musica del remake de Il presagio (The Omen), nelle sale di tutto il mondo il 6/6/06 (data molto appropriata). È in sala di registrazione con il suo assistente, Buck Sanders, e con il recording engineer, il mitico John Kurlander, che proprio qui ha cominciato la sua carriera trent’anni fa, prima di trasferirsi a Los Angeles e dedicarsi a tempo pieno alla musica per il cinema. Con loro, il regista John Moore, che non perde una sfumatura della partitura, e dimostra una sorprendente competenza musicale.

Marco mi accoglie con cortesia, anche se deve farsi in quattro tra spartito, richieste del regista e istruzioni al direttore d’orchestra. Sono giornate intense, nel pieno del processo creativo – solo l’ultimo giorno, durante la pausa per il pranzo, riesco a sottrarlo al suo lavoro e a fargli qualche domanda.

Colonne Sonore: Marco, qual è la tua formazione come musicista, e come sei arrivato al cinema?
Marco Beltrami: Sono cresciuto a Long Island, e ho ottenuto il mio diploma universitario in urbanistica, alla Brown University. Poi ho frequentato la School of Music di Yale dove ho preso un Master in composizione; e solo successivamente mi sono trasferito in California al programma della University of Southern California, dove ho studiato con Jerry Goldsmith. Da allora sono rimasto in California.

CS: Quando hai cominciato a lavorare su Il presagio?
MB: John Moore e io avevamo già lavorato insieme in precedenza su Il volo della Fenice. Mi ha proposto di comporre la musica per questo film l’estate scorsa, quando ha deciso di dirigerlo. Non ho letto la sceneggiatura; ci siamo sentiti solo all’inizio di marzo e mi ha dato una copia del primo montaggio del film, sul quale io ho iniziato a comporre. Nel frattempo è ripartito per completare alcune riprese in Italia, e non ho potuto proporgli le mie idee fino a due settimane prima della registrazione, quando nel mio studio gli ho fatto ascoltare i mock-up che avevo preparato.
Di solito si fanno delle sessioni di spotting insieme con il regista, per decidere in quali scene mettere la musica. Questa volta non ce n’è stato il tempo, ma il montatore aveva realizzato con musiche provvisorie una temp track che ho utilizzato come traccia per inserire le mie composizioni, anche se poi in molti punti ho deciso diversamente. Quando John è tornato e gli ho presentato i mock-up, ne abbiamo discusso e abbiamo perfezionato qualcosa, ma non abbiamo fatto uno spotting vero e proprio.
Ci siamo trovati quasi sempre d’accordo. Fin dall’inizio gli sono piaciute le mie proposte: non ci sono state molte discussioni e abbiamo avuto divergenze solo per un paio di scene, per esempio c’è la sequenza notturna nel cimitero per la quale io avevo scritto un commento, ma poi John ha preferito solo silenzio e rumori d’ambiente.Per fortuna i mock-up erano molto dettagliati, perché ho avuto poco tempo per fare tutto – appena tre settimane in totale.  Non avrei avuto il tempo di scrivere e orchestrare tutto in modo tradizionale, e siamo arrivati allo spartito vero e proprio solo all’ultimo.
Ormai non c’è più uno standard nei tempi: può capitare di essere coinvolti con sei mesi d’anticipo, o di dover far tutto in cinque giorni.

intervista_marco_beltrami_abbey_road2.jpgCS: Come realizzi i mock-up? E che tipo di orchestra hai usato per Il presagio?
MB: Nel mio caso, sono simulazioni abbastanza complete della partitura orchestrale, realizzate insieme con il mio collaboratore Buck Sanders utilizzando suoni campionati e sintetizzatori. Riescono a dare al regista un’idea abbastanza precisa di quello che vogliamo fare, anche se non possono avere proprio il suono di una vera orchestra: questi procedimenti sono adatti per elementi non orchestrali – suoni elettronici o rielaborati – ma non possono ricreare in modo convincente una sezione d’archi o gli ottoni.
Per l’esecuzione abbiamo usato due diverse formazioni, una di 79 musicisti, e per alcune sequenze un gruppo leggermente diverso, con quattro trombe e quattro tromboni, per un totale di 81 elementi. Ci sono pochi suoni elettronici, registrati a Los Angeles prima di partire: soprattutto due effetti, un lungo “pedale” sostenuto e modulato per dare il ritmo, che è una delle caratteristiche di questa partitura; e un violino rielaborato per renderlo simile a uno stridio, inquietante, quasi un grido – oltre ad alcune voci rielaborate. È una partitura soprattutto orchestrale.

CS: Come mai avete registrato negli Abbey Road Studios di Londra?
MB: Io avevo già registrato in Europa, ma mai qui. Da molto tempo volevo venire a Londra, e sono stato contento di questa decisione della Fox, dovuta al fatto che in America le re-use fees sarebbero state troppo alte. Questo studio è fantastico e i musicisti sono tra i migliori del mondo.
Spesso dirigo io, ma John è molto coinvolto musicalmente nel film, più attivamente della maggior parte dei registi con cui ho lavorato. Gli piace dire la sua, commentare, proporre idee; non mi sarebbe stato possibile restare in sala di registrazione con lui ad ascoltare, discutere e apportare modifiche, e non avevo il tempo di fare avanti e indietro.
Fortunatamente mi è stato possibile portare con noi Pete Anthony, che è uno specialista e con il quale ho un ottimo rapporto di lavoro. Ci intendiamo molto bene.

intervista_marco_beltrami_abbey_road3.jpgCS: Hai ormai composto le musiche per parecchi film horror: è inquietante lavorare su questi soggetti? E non ti intimidiva ripercorrere le orme di Jerry Goldsmith, autore premio Oscar del film originale?
MB: Io non sono affatto un appassionato di film dell’orrore, perché mi spavento facilmente – ma quando incomincio a collaborare a una produzione e a scrivere la musica, non mi fa più effetto: non sono più solo uno spettatore, il mio lato creativo prende il sopravvento.
Come soggetto, Il presagio è un replicante del film precedente, ma non è semplicemente una pellicola gore o horror. Io l’ho interpretato più come un giallo, ed è per esso che ho scritto il tema principale della partitura. C’è anche un aspetto di horror psicologico, e ho creato elementi tematici anche per questo; ma non lo vedo soltanto come un film dell’orrore.
Con la mia musica spero soprattutto di riuscire a sottolineare le emozioni e le immagini che John ha catturato nel film, la sua tessitura emotiva, la sensazione di tragedia incombente.
Ero molto consapevole della partitura scritta da Jerry Goldsmith per la prima versione del film. Ho voluto rendergli omaggio senza copiare la sua musica: ho utilizzato parte dei suoi testi latini, e ho richiamato la sua orchestrazione nell’utilizzo del coro e nell’enfasi data ai legni. Aveva scritto un brevissimo tema di tre note, che poi elaborava, e io l’ho incorporato, sviluppandolo però in modo diverso. Nei titoli di coda, infine, ho inserito un nuovo arrangiamento della sua musica.

CS: Hai sottolineato l’interazione creativa tra John e te – è da considerarsi la norma?
MB: Anche se sono stato fortunato, e la maggior parte dei registi con cui ho lavorato davano importanza alla musica – non mi hanno detto soltanto “fa’ la musica, non mi importa come” – il film appartiene soprattutto a loro. E la musica è un linguaggio astratto; ci vuole tempo perché si sviluppino fiducia, conoscenza reciproca e un vocabolario comune, non succede subito.
Ma se ci sono rispetto e comprensione per l’altro, è un rapporto che cresce con il tempo, e se si lavora su più di un film la relazione evolve. Per esempio questo film è molto più facile da fare di Il volo della Fenice, in buona parte grazie al rapporto già collaudato con John.
Lui propone opinioni e idee molto specifiche, il che mi è molto utile perché ha una visione completa del film mentre io sono più coinvolto nella partitura; a volte suggerisce cose che dal punto di vista solamente musicale io non avrei preso in considerazione, ma che mi aprono gli occhi su altre possibilità.
Un altro regista con cui ho lavorato su diversi film è Guillermo del Toro: abbiamo una relazione che funziona molto bene, anche lui durante le sessioni di registrazione è molto coinvolto e offre idee e suggerimenti. Anche Wes Craven ha molte idee, ma è più passivo.

CS: Hai lavorato anche in Europa, con un regista danese, Ole Bornedahl: com’è nata la vostra collaborazione?
MB: Ole e io eravamo ambedue sotto contratto con Miramax, e lui stava dirigendo per loro Night Watch. Mi ha chiesto, forse su loro suggerimento, di comporre per due sequenze; gli sono piaciute molto, e quando l’anno dopo ha diretto un film in Danimarca, Deep Water, mi ha proposto di scriverne la musica. In seguito ha lavorato su una produzione norvegese, I Am Dina, e mi ha chiesto di fare anche quello. Deep Water l’abbiamo registrato a Copenhagen; I Am Dina a Colonia.

CS: Fra tutti i film che hai fatto, ce n’è qualcuno a cui sei particolarmente affezionato? E uno che avresti preferito non fare?
MB: Sono affezionato a diversi film per differenti motivi. Dal punto di vista compositivo, direi proprio I Am Dina: per acquisire la giusta prospettiva ho fatto molta ricerca sulla musica tradizionale norvegese, gli ho dedicato parecchio tempo ma mi ha dato molta soddisfazione. Per lo stesso motivo sono contento di Il volo della Fenice, ci sono molte scelte creative di cui sono soddisfatto. Sento molto vicino Scream, forse perché è stato il primo: e Mimic… È difficile sceglierne uno, sono tutti buoni o comunque tengo ad essi per motivi personali.
Solo una volta mi è capitato di trovarmi in una situazione in cui il regista non sapeva bene cosa voleva; il soggetto mi piaceva, ma dopo che ho iniziato il mio lavoro sono cominciati i problemi, perché il produttore ha dovuto prendere in mano il film e io non sapevo a chi dovevo rispondere. È stato sgradevole, non per ragioni concrete ma politiche: avevano idee diverse su cosa avrebbe dovuto fare la musica, e io non sapevo come comportarmi.

CS: Hai scritto un po’ di tutto, persino un brano d’opera in tedesco per Hellboy – c’è un genere nel quale vorresti cimentarti?
MB: In Hellboy c’è una scena nella quale suonano un vecchio disco, e nella temp track erano stati utilizzati brani di Wagner. Io ho suggerito che sarebbe stato più interessante se avessi arrangiato il tema dei personaggi principali, Ilsa e Gregory, trasformandolo in un pezzo d’opera – è stato divertente.
Mi piacerebbe fare un western. Composi la colonna sonora per un film intitolato Texas Rangers, ma la musica non fu utilizzata: il film comunque uscì, ma dev’essere rimasto in sala per un giorno, non l’ha visto nessuno. Le tre sepolture è ambientato nell’Ovest, ma è un po’ particolare… mi piacerebbe farne uno più epico.

intervista_marco_beltrami_abbey_road5.jpgVorrei fare ancora molte domande, ma la pausa è finita e l’orchestra aspetta. Marco mi lascia e torna in cabina di registrazione con John Moore.
Poche ore dopo siamo alla fine delle sessioni, l’orario di lavoro è terminato, quasi tutti i musicisti se ne sono andati. Dopo averlo visto così a pezzi e bocconi, è difficile valutare il film, ma almeno la sequenza iniziale, persino senza i dialoghi, è decisamente efficace. E la musica di Marco è potente nelle scene d’azione, maestosa e inquietante nei brani corali, suggestiva nei temi più sommessi. Manca un solo tocco: per l’ultima scena John sembra dubbioso, poi decide un cambiamento radicale. Marco si siede al pianoforte, compone e poi esegue un assolo di pianoforte che sostituirà i cori. Lo esegue un paio di volte, perché il regista vuole che sia in sincronia con alcuni dettagli delle immagini e dei suoni che ha in mente. Lo riascoltiamo, adesso il film si conclude con emozione e delicatezza, prima dell’inquadratura finale e dell’esplosione sonora dei titoli di coda. John si alza ed esclama: “It’s in the movie!

Fotografie di Cesare Cioni

 

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