James Horner – Jean-Jacques Annaud, storia di un connubio tra immagini e musica

James Horner – Jean-Jacques Annaud, storia di un connubio tra immagini e musica

In questi giorni il mondo della musica è rimasto orfano di un protagonista che ha saputo creare un nuovo modo di musicare le immagini, di conferire ad esse un’emozionalità nuova. James Horner è stato uno dei compositori più ricercati del mondo hollywoodiano che ha attinto a un vasto repertorio stilistico, dall’Oriente al mondo indiano, dalla classicità all’elettronica. Su un medesimo percorso può calibrarsi la sua collaborazione con il regista francese Jean-Jacques Annaud con il quale ha dato vita a un mondo musicale sconfinato, ricco di sfaccettature, infarcito di elementi musicali e non solo distanti nel tempo e nello spazio.

La loro prima collaborazione risale al 1986 anno nel quale il regista francese adattò per il grande schermo il romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa; nella pellicola, caratterizzata da una pervasiva oscurità e da un mistero avvolgente, Horner aveva creato un’atmosfera che rispecchiava perfettamente il clima di continua sospensione che avvolgeva l’abbazia. Horner, per l’occasione, creò un tessuto musicale dal carattere tenebroso, dai ritmi sincopati, dall’andamento «caliginoso» sul quale si stagliano voci e percussioni che costituiscono l’unità fondante della colonna sonora; non mancano momenti più melodici ma nella sua sostanza, alla stregua del prodotto cinematografico, l’essenza musicale rimane al di là di un superficiale ascolto. In perfetta relazione all’intento del regista, la musica appare rarefatta, di non facile comprensione, come un «palinsesto» sul quale rimangono tracce di più copisti. Tra musica sacra e atmosfera di assoluta sospensione la prima collaborazione di Horner e di Annaud risulta felicemente coerente e la musica si intreccia con le immagini per creare un’unità.
Nelle produzioni successive, Annaud si rivolse ad altri compositori, impossibile dimenticare la splendida musica, firmata John Williams, per Sette anni in Tibet dopo il quale il regista francese, tornando sui suoi passi, si rivolse nuovamente a Horner per la stesura della colonna sonora del film Il nemico alle porte.
Ambientato nella Russia della seconda guerra mondiale, il compositore bissò la comunione di intenti con il regista, creando un ambiente musicale che, a tratti, sovrasta anche le immagini. La colonna sonora scritta per il film spicca infatti per intensità emotiva e profondità d’orchestrazione; Horner infatti seppe unire varie componenti stilistiche in un connubio che risulta di grande spessore. Accanto alle voci russe, è possibile percepire lo stile dei grandi compositori di quel paese dei quali, d’altra parte, Horner si è sempre dimostrato grande estimatore. Il tessuto musicale risulta disteso, delicato, innestato su un unico tema che costituisce la trama di tutta la partitura e che si intreccia con l’ordito degli stilemi musicali tanto cari a Horner. Il risultato è di notevole bellezza la quale trova nella variazione il nocciolo della propria essenza e che sarà, come vedremo, elemento fondante anche delle successive collaborazioni.
Nei film seguenti ancora una volta, il sodalizio sembrò spegnersi; Annaud si rivolse a Stephen Warbeck per Due fratelli e a Javier Navarrete per Sa majeste minor. Dopo il flop di quest’ultimo film, Annaud si ritirò in un silenzio che vide il suo termine nel 2011, anno nel quale uscì Il principe del deserto che costituisce la terza collaborazione con James Horner.
Ancora una volta, il regista francese scelse luoghi esotici nei quali ambientare il proprio film; anche Horner sembrò intraprendere un medesimo cammino ma tuttavia non riuscì completamente in quell’operazione di perfetto equilibrio che aveva caratterizzato le precedenti collaborazioni. La musica infatti rimane ancorata a un unico tema che sembra non trovare la giusta dimensione; le voci che fanno da cornice all’impianto musicale generale non riescono a ricreare quel meccanismo che precedentemente aveva funzionato. Il tessuto musicale rimane appiattito su un unico tema il quale tuttavia non è fatto oggetto di quella riproposizione creativa alla quale tante volte Horner aveva fatto ricorso; certo, ci sono momenti di grande musicalità nei quali viene in soccorso la grande perizia pianistica del compositore, ma essi sono ben poca cosa rispetto a una colonna sonora che non sembra trovare la giusta dimensione, cosa che invece accade per la successiva collaborazione.
Con L’ultimo lupo Annaud e Horner trovano una perfetta alchimia, le musiche accompagnano le immagini e le une diventano specchio delle altre. Horner fa un grande lavoro nel quale si ritrova quell’unità che precedentemente sembrava perduta; lo schema musicale ritrova equilibrio e perfetta compenetrazione tra le varie sonorità. Il tema costituisce la monade sulla quale è costruito l’intero edificio musicale che risulta equilibrato in ogni sua parte; la variazione qui diviene imitazione creativa, la musica è di grande impatto emotivo e accompagna le immagini, trovando una perfetta armonia di stilemi.
Nelle loro collaborazioni, Annaud e Horner hanno trovato una comunione di intenti e stilemi che è raro reperire altrove; la musica non è solo compagna delle immagini ma diventa elemento fondante di un discorso che travalica l’aspetto visuale per trasformarsi in musica e trasmettere emozioni.
Purtroppo non vi saranno altre collaborazioni tra il regista e il musicista; la scomparsa prematura di Horner ha aperto un vuoto difficile da colmare; i suoi fan lo potranno incontrare al di là della cortina di note, nella nebbiolina delle emozioni che attraverso la musica ha saputo ispirare negli animi umani, Annaud rimane orfano di un collaboratore con il quale aveva saputo creare un’intesa che travalicava le semplici immagini.

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