Musica & Cinema: Riz Ortolani & Pupi Avati

foto_pupi_avati.jpgMusica & Cinema: Riz Ortolani & Pupi Avati
Reportage del concerto dell’Ensemble Duomo tenutosi presso il Teatro Filodrammatici di Milano domenica 15 marzo 2015 e Intervista al regista bolognese premiato per l’occasione.

Per festeggiare i 25 anni, le “nozze d’argento” artistico-sonore, di attività culturale e musicale dello storico Teatro Filodrammatici di Milano il quintetto Ensemble Duomo, capitanato dal direttore, compositore e musicista Roberto Porroni, insieme a coloro i quali curano da anni l’organizzazione del teatro stesso, hanno voluto omaggiare con un concerto di musiche per film e una targa speciale il regista Pupi Avati con il prestigioso riconoscimento, nato con l’intento di premiare grandi artisti nazionali ed internazionali del nostro tempo, quali punti di riferimento per l’arte e la cultura nel mondo, il “Premio Milano per la Musica – Consorzio Buenos Aires”, consegnatogli prima del concerto;
un Premio che dal 1991 ad oggi è andato a nomi autorevoli dell’Arte mondiale (vedi Uto Ughi, Ennio Morricone, Riccardo Chailly, Salvatore Accardo, Angelo Branduardi, Lorin Mazel, José Carreras, Luca Ronconi, giusto per citarne alcuni) e Avati, accompagnato da applausi scroscianti di un pubblico numeroso e appassionato, ha ringraziato tutti con queste ironiche e sincere parole, raccontando i suoi inizi da clarinettista in una jazz band bolognese ed un incontro che gli ha cambiato la vita: “Bellissimo questo Premio e anche bellissimo sentirsi inadeguati. Nella vita è importante sentirsi inadeguati perché vuol dire che c’è qualcosa di ingiusto e continuo che ti accade, ma immeritato, visto che di premi ne ho ricevuti tanti nei 47 anni della mia carriera e più di 40 film diretti. Ciò vuol dire soltanto che qualcosa è andata bene, però in contesti come questo mi sento a disagio dato che gli altri premiati passati si chiamano Carlo Maria Giulini, Carla Fracci o Roberto Bolle, e via dicendo, tutti personaggi appartenenti ad un contesto che poteva essere il mio se fossi stato dotato di un talento musicale di cui invece non sono stato dotato, perché nella musica come in tutte le forme d’espressione occorre un talento, una vocazione e una predisposizione; io ho seguito la musica con grande passione, un investimento personale ed impegno enorme, perché mi ricordo quanto amo e ho amato il jazz, quanto disperatamente ho cercato di diventare il miglior clarinettista non solo d’Italia ma del mondo; pare non ce l’abbia fatta (risate del pubblico). Sono rimasto sempre ai margini, soprattutto quando nella nostra orchestra entrò un individuo di bassissima statura e apparentemente innocuo e gentile (diceva sempre ‘Grazie Pupi, grazie Pupi’), dotato però di grandissimo talento: si chiamava Lucio Dalla (applauso lungo e commosso del pubblico). Suonavamo in questa orchestra formata esclusivamente da ginecologi (risate generali); sono esseri umani molto particolari con delle abitudini molto particolari (ancora risate grasse) e solo più avanti negli anni ho capito perché avessero scelto questa specialità (risate senza fine). Tornando a Dalla, insomma c’era questo ragazzino che nell’orchestra fungeva da secondo clarinetto (il primo ero ovviamente io), e doveva fare solo alcuni interventi brevi tra il primo e il secondo tempo dello spettacolo. Dormivamo nella stessa stanza in tournè come i calciatori ed io, praticamente, ero un po’ il suo tutor. Poi una sera, durante uno dei nostri concerti all’estero, improvvisamente accadde una cosa: questo ragazzino invece di eseguire quelle poche note che gli competevano, si mise a fare un lungo assolo che non era previsto. E pensai, senza dire niente agli altri, perché da me primo clarinetto sarebbe sembrato un intervento invidioso, che sarebbe stato rimproverato dato che nella musica è tutto prestabilito, organizzato. Invece dietro le quinte tutti quelli del gruppo dissero a Lucio ‘Bravo, bravo, fanne un altro’, e in quel momento iniziò il mio dramma, così capii l’ingiustizia divina, perchè Dio non premia le persone secondo il loro impegno (risate), ma in modo molto differente e strano! Insomma questo ragazzino manifestò un talento, una creatività, la capacità tutte le sere di raccontare con il suo strumento storie diverse. E questa era una cosa che io non potevo sopportare (ancora risate), l’avrei voluto veramente vedere morto (risate grosse): l’invidia è un sentimento che va capito! Così ho finito!!! (risate a tutto andare). Uno che suona così ti inibisce, ti fa regredire. Ad un certo punto, eravamo a Barcellona e io non suonavo più, fingevo (grandi risate), muovevo le dita, battevo il piede ma non emettevo suono. E stavolta ho finito sul serio di raccontare! (lunghi applausi). Avati scende dal palco visibilmente felice e riconoscente del premio appena ricevuto e entrano i cinque musicisti dell’Ensemble Duomo (Roberto Porroni alla chitarra, Luigi Arciuli al flauto, Silvia Pauselli al violino, Flavio Ghilardi alla viola e Marcella Schiavelli al violoncello) per un’ora di concerto straordinario, tutto dedicato, nella prima parte a musiche di autori classici nate per o prestate al Cinema, e nella seconda parte alle colonne sonore del compianto Riz Ortolani che ha avuto con Pupi Avati un lunghissimo sodalizio (ben 23 film insieme!). Abbiamo intervistato prima del concerto Avati sul suo legame con Ortolani: “Ci siamo incontrati per la prima volta nel 1980 perché dovevamo realizzare il primo esperimento di film musicale italiano, un vero e proprio musical, con Mariangela Melato e tanti altri attori allora celebri (si riferisce alla commedia del 1981 Aiutami a sognare con Anthony Franciosa per cui Ortolani vinse il Nastro d’Argento per le migliori musiche), e occorreva proprio un musicista di grande esperienza, che avesse lavorato anche in America, visto che il musical richiede una enorme capacità di scrivere musica e arrangiarla. Quindi Riz entrò nella mia vita nel 1980 e praticamente fino alla sua scomparsa, lavorando l’ultima volta insieme nel 2012 nella miniserie televisiva Un matrimonio. Ha collaborato con me per più di trent’anni ed è riuscito a vincere con i miei film molti premi importanti, due Nastri e tre David di Donatello. Insomma è stata una collaborazione proficua perché lui era un grande musicista che parlava ad uno come me che non è un grande musicista ma un grande esperto di musica. Ci intendevamo meravigliosamente sul sound da usare, sui musicisti ai quali ispirarci, ed è stato bellissimo per entrambi lavorare a stretto contatto. Credo che la colonna sonora sia il pensiero e la voce fuori campo dell’autore, mentre i dialoghi e le azioni del film raccontano una storia che non sono necessariamente l’opinione dell’autore, la colonna sonora è ciò che in realtà l’autore pensa stia accadendo nel film!” E proprio nella seconda parte del concerto omaggiante la straordinaria simbiosi Musica & Immagine tra il genio visivo di foto_ensemble_dumo_milano2.jpgAvati e quello musicale di Ortolani che l’Ensemble Duomo riesce pienamente a portarla in scena con una maestria eccellente fatta di scambi di sguardi attenti, il sapersi ascoltare a vicenda e suonare all’unisono quei leitmotiv di quel grandissimo ed unico creatore di temi altamente melodici, emozionanti e romantici (ma non solo, si pensi ai film thriller e horror come Zeder o Il nascondiglio) che è stato per l’appunto Riz Ortolani per il suo amico regista emiliano. Su elaborazioni accurate, puntuali e particolareggiate (alcune delle quali tirate giù non da partitura ma direttamente dal film) di Roberto Porroni per il virtuoso quintetto, il violino della Pauselli, il violoncello della Schiavelli, la viola di Ghilardi, il flauto di Arciuli e la chitarra del citato direttore e compositore Porroni hanno suonato come (citando la mia recensione di un loro passato concerto dedicato a Morricone) “una piccola grande orchestra, piuttosto che solo cinque musicisti su di un palco spoglio”, con un volume tra pianissimi e fortissimi davvero stupefacente per grinta e bravura esecutiva: così nella cornice classica del Teatro Lombardo hanno risuonato i temi principali dal celeberrimo Mondo Cane di Cavara, Jacopetti e Prosperi del 1962 con la canzone vincitrice di molteplici premi, tra cui il Grammy, “More” dalla melodia struggente e vibrante, dello sceneggiato di Anton Giulio Majano del 1964 La cittadella con il tema aperto e popolare, l’azzardato e dissonante groviglio disturbante di Zeder del 1983, e le dolcissime note accorate e passionali de Il cuore altrove del 2003 e di Ma quando arrivano le ragazze? del 2004, tutti e tre di Avati.  
Inutile sottolineare quanto il pubblico e il Maestro Avati abbiano applaudito ininterrottamente i cinque eccelsi musicisti dopo ogni loro singola performance, comprese quelle stupefacenti e coinvolgenti dedicate nella prima parte a Shostakovich e la sua suite gloriosa, epica e a tratti minimale e rurale al contempo del film The Gadfly di Alexander Faintsimmer del 1955, a Khachaturian con la sua frenetica e sussultoria nota “Danza delle spade” estratta dal balletto del 1954 Spartacus o Strauss Jr. con il valzer accogliente “Sul bel Danubio blu” che Kubrick usò magnificamente nel suo 2001 odissea nello spazio.
In conclusione è giusto menzionare il bellissimo e molto ortolaniano pezzo originale composto dal Maestro Porroni per Pupi Avati dal titolo “La grande invenzione”, che prende il nome da un libro edito Rizzoli del regista bolognese, di una intensità e armonia davvero emozionanti e ammalianti, come bis per chiudere un concerto molto importante e ricco di pathos.   

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