Il Gladiatore in concerto

Il Gladiatore in concerto al Circo Massimo di Roma 
   
Potrebbe essere una musica destinata a riecheggiare nell’eternità, quella di Hans Zimmer e Lisa Gerrard per Il Gladiatore di Ridley Scott. Certo è che la fama che da sempre l’accompagna, fin dall’uscita del film nel 2000, è ampiamente meritata: quello di Zimmer – col contributo, soprattutto d’esibizione canora, della Gerrard – per il revenge-movie di Scott ambientato nell’antica Roma, è un capolavoro di rara potenza espressiva in cui convergono le esperienze maturate dal compositore di Francoforte nei campi della ricerca etnica (Il re leone, Il principe d’Egitto) e del cinema d’azione (Black Rain, Broken Arrow), e dove soprattutto trionfano il suo celebre polifonismo “sacrale” e il suo gusto per la citazione colta (qui soprattutto nei confronti dell’opera di Wagner). L’Orchestra Italiana del Cinema, sotto la direzione di Justin Freer, ne ha fatto un’esecuzione completa, in sincrono con la proiezione integrale del film, nei giorni 6, 8 e 9 giugno a Roma: il 6 al Colosseo, l’8 e il 9 nella non meno suggestiva cornice del Circo Massimo.

Dalla magniloquente resa del 9 giugno, a cui abbiamo assistito (e in cui a sorpresa è salito sul palco l’attore protagonista Russell Crowe), sono emersi, ancor più che su disco, l’imponente afflato tardoromantico dell’opera (le sonorità grandiose di ottoni e percussioni) e il suo mirato – dunque anche sintomatico di una certa economia di mezzi – utilizzo di strumenti etnici (il dulcimer cinese; il duduk) nonché dell’impareggiabile vocalità della Gerrard. Riguardo agli elementi etnici, sono bastate le prime battute a ricordarci quanto il lavoro sia lontano anni luce da un ingenuo tentativo di ricostruzione filologica: le rarefatte atmosfere iniziali – in cui spiccano i timbri del dulcimer e del duduk – e poi l’entrata della voce della Gerrard, denotano piuttosto una visionarietà cupa e “aliena” che fa il paio con la vivida fantasmagoria dell’immaginario di Scott. Arrivano poi il celeberrimo tema principale in re minore esposto da ottoni e coro – a cui si aggiungono gli archi per un contrappunto di indimenticabile carica drammatica – e il cosiddetto “Gladiator Waltz”, geniale commistione di eleganza e brutalità, ideato per le scene di battaglia: ma va detto che in questa esecuzione le brusche sonorità degli ottoni non sono affiorate con la necessaria evidenza; per contro sono emersi gli archi, con un nitore sconosciuto anche ai vendutissimi album della Decca: di sorprendente chiarezza la linea cromatica ascendente dei violini che segue il tema principale nella sua prima enunciazione, così come il luttuoso climax che accompagna il patricidio da parte di Commodo (Joaquin Phoenix) ai danni dell’anziano Imperatore Marco Aurelio (Richard Harris) e quello relativo alla scena più drammatica di scontro fra Commodo e la sorella Lucilla (Connie Nielsen); momenti in cui Freer ha saputo nobilitare la costruzione rigorosa del discorso musicale zimmeriano non meno della sua vorticosa e quasi insostenibile violenza interna.
Straordinarie poi le esibizioni corali, soprattutto nei frangenti più concitati (gli staccati acuti delle voci femminili); ma i momenti di suggestione più alta ce li hanno regalati le impeccabili performance solistiche: in primis quelle della Gerrard, che ha dato nuovamente prova di saper passare da apici di pathos drammatico, come lo sconvolgente lamento in crescendo per la scena del ritrovamento, da parte di Massimo, di moglie e figlio morti – il punto più alto del contributo della Gerrard – a tonalità gravi e spente come quelle per certe scene di violenza e/o relative al personaggio di Commodo (soprattutto nel suo rapporto, ai limiti dell’incesto, con Lucilla); e poi quelle, molto presenti, del suonatore di Yan Ching (dulcimer cinese), che è chiamato anche all’esecuzione delle melodie arabeggianti per le scene di viaggio nella prima parte del film, del motivo intonato a inizio film dalla Gerrard o ancora del semplice quanto suggestivo tema che si può ascoltare nella traccia “Earth” del principale album Decca. Chi – come il sottoscritto – si è lamentato della resa acustica degli ottoni nella prima parte, ha dovuto ricredersi spesso nella seconda, come quando tuonano, unendosi per un corrusco accordo di settima diminuita, prima della celebre frase: “Avrò la mia vendetta, in questa vita o nell’altra”; o durante la scena che prelude allo scontro risolutivo tra Massimo e Commodo, dove a rafforzarli è il coro misto per un decorso armonico-melodico che ricorda il “Requiem” di Mozart. Per la scena della morte di Massimo Decimo Meridio e poi durante i titoli di coda, Lisa Gerrard si esibisce in una toccante resa della celebre melodia, di limpida e ultraterrena serenità, che nell’album si può ascoltare nelle tracce “Elysium” e “Now We Are Free”.
L’esecuzione generale ci ha restituito – al netto delle imperfezioni – tutta l’ambivalenza di questo ineguagliabile affresco sonoro, in cui eroismo e tragico senso di sconfitta si mostrano quali parti inscindibili di una sola, grande poetica. A concerto terminato, Marco Patrignani – Presidente dell’Orchestra Italiana del cinema – si è lasciato andare a un elogio appassionato della cultura della Roma antica (“Roma è Madre! E noi siamo i suoi figli.”), ma riecheggiava ancora la musica di Zimmer, a ricordarci anche la violenza indicibile su cui quella civiltà si è fondata.

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