Reportage del concerto Sinfonie Stellari dell’Orchestra Sinfonica di Milano

locandina star wars universe

Sublime capolavoro della ritrattistica celestiale: “I Pianeti” & “Star Wars”
Reportage del concerto Sinfonie Stellari dell’Orchestra Sinfonica di Milano del 13 e 15 ottobre 2023

Prendo a prestito, per il titolo di questo resoconto, una frase riportata all’interno del libretto dell’eccellente CD Decca (478 3358 - Virtuoso) del 2011, “Holst: The Planets”, con Zubin Mehta che dirige la Los Angeles Philharmonic Orchestra nell’esecuzione, per l’appunto, de “I Pianeti” di Gustav Holst e di una suite da Star Wars di John Williams, che calza a pennello al concerto performato dall’Orchestra Sinfonica di Milano il 15 ottobre denominato “Sinfonie Stellari”, contenente su per giù il medesimo programma del succitato compact disc: <<Sublime capolavoro della ritrattistica celestiale>>.

Effettivamente le due lunghe suite (24’ la prima e 51’ la seconda), eseguite dalla pregevole compagine milanese, costituenti i sette movimenti di Holst chiamati “I Pianeti, op. 32” – “Mars, the Bringer of War”, “Venus, the Bringer of Peace”, “Mercury, the Winged Messanger”, “Jupiter, the Bringer of Jollity”, “Saturn, the Bringer of Old Age”, “Uranus, the Magician” e “Neptune, the Mystic” – e di Williams dal primo Guerre Stellari (Star Wars: Episodio IV - Una nuova speranza, 1977, George Lucas) e dal secondo L'impero colpisce ancora (Star Wars: Episodio V - L'impero colpisce ancora, 1980, Irvin Kershner) – “Main Title”, “Princess Leia’s Theme”, “The Imperial March”, Yoda’s Theme” e “Throne Room and End Title” – sono reali quadri di un’esposizione ‘stellare’ (per citare un’altra suite, quella stranota di Modest Petrovič Musorgskij), svelatrice di galassie lontane lontane nel cui nucleo si celano forme variopinte di ineguagliabile sovversiva beatitudine pentagrammata.

foto gustav holst

foto john williams oscar esultante

Insomma sia Gustav Holst che John Williams, che del primo (non il solo compositore e nemmeno l’ultimo) ha colto spunti compositivi non esclusivamente per la saga fantascientifica lucasiana, anche per il suo premio Oscar Lo squalo, hanno scritto capolavori innegabilmente unici e ancora oggi impressi nella memoria musicale collettiva. Ascoltarne le celestiali (galattiche, direi) ritrattistiche melodiche, giostrate con tale e tanta genialità di scrittura, è qualcosa che sublima ogni singola parte corporale e anzitutto mentale, giusto per giocare ancora una volta in questa articolata frase con la frase stessa da cui il titolo del reportage. La performance di John Williams nella prima parte del concerto e di Gustav Holst nella seconda, con l’Orchestra Sinfonica di Milano totalmente compatta nel suono e nella misura timbrica e armonica di ogni singola nuance, traccia dopo traccia – forse, stavolta, a tratti sin troppo manieristica (in special modo nei brani williamsiani, che pure hanno eseguito migliaia di volte) ma pur sempre di una precisione e bravura come poche altre nel nostro panorama italico (come sosteniamo da anni e anni nei nostri articoli che la riguardano) – sotto la direzione di Jaume Santonja, composta e asservita alle note interpretate diligentemente dalla compagine lombarda, ha visto prevalere, con annessa totale immersione performante, la suite holstiana, ed in particolare il finale divinatorio, misterico e astratto, con a sorpresa il coro di voci femminili, dirette da Maria Teresa Tramontin, intonante il misticismo conclusivo del movimento, per l’appunto, “Neptune, the Mystic”, dal fondo dell’auditorium, nientemeno nel salone antistante, con le porte spalancate sulla medesima, a creare una sorta di eco angelicamente ipnotizzante e incantatorio, come il canto delle sirene di Ulisse nell’Odissea di Omero (Odissea, Canto XII: le sirene). Una pagina di grande enfasi sonora che il pubblico ha gradito restituendone l’incanto ottenuto con un applauso torrenziale; applausi scroscianti anche per tutto il concerto che un folto gruppo di persone di varie età ha veramente inneggiato – e che avrebbe voluto inneggiare brano dopo brano, specialmente quelli di Williams, dovendo trattenere il battere delle mani, quasi da istinto compulsivo, per il rispetto della forma suite dove non si applaude fino al termine della stessa (trattenersi dopo aver ascoltato la "Marcia Imperiale" è quasi una bestemmia) –.

foto gustav holst 1

foto john williams d3bo

Ancora una volta sentendo le destabilizzanti e magnetiche musiche di Holst, eseguite dal vivo, viene subito da riflettere sul fatto che gran parte della musica applicata alle immagini non esisterebbe senza questo compositore britannico (1874 – 1934) e senza altrettanti riformatori, tutti eminenze della musica classica che con la musica per il cinema non hanno avuto a che fare (tranne l’ultimo che ne è stato un frequentatore con grandiosi risultati), quali Igor’ Fëdorovič Stravinskij (1882 – 1972) e Sergej Sergeevič Prokof'ev (1891 – 1953). Holst, semplificando parecchio (e non è questo il momento per fare una disamina più compiuta), è stato il padre involontario della musica di commento di genere sci-fi e fantasy (come non sentire in “I Pianeti” echi che verranno copiati o citati dal suddetto Williams, da Bernard Herrmann, da James Horner, da Bill Conti e da molti altri a venire); Stravinskij il padre accidentale della musica di commento di genere fantasy-action-catastrofico (vedi Williams e Jerry Goldsmith in special modo, anche tanti altri ancora oggi che saccheggiano la sua “Sagra della Primavera” o “L’uccello di fuoco”); Prokof'ev il padre casuale di musiche per film fiabeschi, fantastici, guerreschi – logicamente le sue colonne sonore per Il tenente Kiže, Aleksandr Nevskij e Ivan il Terribile hanno fatto scuola (innanzitutto a James Horner) – (ad esempio Williams, Joe Hisaishi, etc. etc. etc.).
Però (c’è un però, sempre) con questa carrellata di generi cinematici e relativi compositori che hanno più o meno menzionato le fonti di riferimento dei tre succitati autori classici (e tanti altri ve ne sono, vedi Ravel, Debussy, Mahler, Strauss, Mozart, Satie e via elencando verso l’infinito e oltre, per citare un film animato spaziale, dato che siamo in pieno tema), non vado assolutamente a sminuire l’eccelso valore di scrittura sulle immagini di Williams, Goldsmith, Hisaishi, Conti, Horner; semplicemente sottolineo che solo i veri Grandi sanno essere tali anche quando si rifanno ai precedenti colleghi classici, trasformando in qualcosa di letteralmente nuovo e incredibile ciò che è stato composto in passato, divenendo ben altro e a loro volta fonte di ispirazione per le generazioni future: così è stato sempre e sempre sarà. E non sono io a dirlo, è la Storia (della Musica)! 

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