Reportage del concerto tributo “Tubular Bells Variations” eseguito dalla Artchipel Orchestra

foto mike oldfield tubular bells

Il burattinaio delle ‘Campane Tubolari’: Mike Oldfield 50 anni dopo
Reportage del concerto tributo “Tubular Bells Variations” eseguito dalla Artchipel Orchestra sabato 28 ottobre 2023 presso il Teatro Civico Roberto De Silva di Rho (Mi)

cover tubular bells anniversary

50 anni dopo l’uscita dell’album seminale di un ventenne compositore e polistrumentista britannico, siamo ancora qui a parlare di Mike Oldfield (nato a Reading il 15 maggio del 1953) e del suo magistrale “Tubular Bells”. Geniaccio sperimentalista con la grande propensione all’improvvisazione ‘ragionata’ e alla ricerca di suoni e mescolanza di generi – dal rock al pop, dalla new age alla classica, dal folk (per lo più di matrice irlandese) al minimalismo, dal sinfonismo al progressive – proprio con il suo primo succitato album, “Tubular Bells”, suonato quasi interamente da Oldfield, giunse alla ribalta nel 1973 – primo album anche per la neonata etichetta inglese Virgin Records che fece letteralmente il colpo gobbo nel produrlo e distribuirlo –, in aggiunta al fatto che un estratto – quel tema reiterativo iniziale del primo movimento, assai circolare e ossessivamente ipnotico-assuefacente, dalle conformazioni mefistofeliche, venne usato dal compianto regista William Friedkin nel suo capolavoro L’Esorcista (ancora oggi imbattuto per satanico atterrimento e penetrante angoscia strisciante anche dopo la visione), sempre del 1973: due premi Oscar su 10 nomination, 4 Golden Globe su 7 candidature e tanti altri riconoscimenti.

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Difatti grazie al film horror demoniaco l’album rimase nelle classifiche del Regno Unito per 279 settimane, vendendo 2.630.000 copie e all’incirca 15 milioni in tutto il mondo. Mike Oldfield, con una trentina di album all’attivo in carriera, che, non molti ricordano, si cimentò pure nella scrittura di una colonna sonora – quella per Urla del silenzio (The Killing Fields) del 1984 diretto dal futuro regista di Mission, Roland Joffé, film pluripremiato, tra cui nomination ai Golden Globe e ai Bafta proprio allo score del compositore britannico oramai divenuto una leggenda nell’ambiente musicale – ha più volte rimesso testa e mani al pentagramma della sua creatura che tanta fortuna e gloria gli ha donato: esistono molte varianti – ad esempio quella sinfonica arrangiata per orchestra da David Bedford, dallo stesso diretta sul podio della strepitosa The Royal Philharmonic Orchestra con Oldfield alla chitarra, denominata “The Orchestral Tubular Bells” del 1975 – tra cui i seguiti del 1992, 1998 e 2003.

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A cinquant’anni dalla comparsa dell’album nel panorama sonoro e del leitmotiv nella pellicola di Friedkin, ne torniamo a scrivere per merito dello straordinario, pazzesco, meraviglioso e stupefacente concerto (e perdonatemi i molti aggettivi ma quando ci vuole ci vuole, senza essere nemmeno troppo sbrodolosi) portato in scena dalla popolare Artchipel Orchestra in provincia di Milano, precisamente a Rho presso il nuovo e incredibilmente scenografico – sia dal punto di vista acustico che architettonico – Teatro Civico Roberto De Silva. Un doppio rinvenimento: dapprima quello di un Teatro avveniristico che giganteggia nella provincia sonnolenta, nebbiosa e un po' dimenticata lombarda, che al contrario pullula di creatività ai massimi livelli qualitativi e di desiderio culturale per la riscoperta del vecchio e la scoperta del nuovo, e in primis l’ascolto entusiasmante di un’autorevole compagine milanese prettamente jazzistica, tra le più acclamate in Italia, diretta dal Maestro Ferdinando Faraò, che l’ha fondata nel 2010, aggiudicatasi per ben tre volte il premio “Top Jazz” indetto dalla rivista Musica Jazz come migliore formazione italica, con alcuni album incisi sia di cover che composizioni ex novo, con stimate collaborazioni in curriculum – vedi quelle con, tra gli altri, Keith Tippett, Julie Tippetts, Mike e Kate Westbrook, Karl Berger, Ingrid Sertso, Adam Rudolph, Cyro Baptista –.

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Una formazione che consta di 22 elementi - doveroso citarli tutti oltre al suddetto direttore: Marco Fior, Marco Mariani e Matteo Vertua (trombe), Alberto Bolettieri (trombone), Fiorenzo Gualandris (tuba), Rudi Manzoli (sax soprano), Paolo Lopolito (sax alto), Germano Zenga (sax tenore), Rosarita Crisafi (sax baritono), Alberto Zappalà (clarinetto basso), Carlo Nicita (flauto), Naima Faraò e Francesca Sabatino (voci), Giuseppe Gallucci (chitarra elettrica), Luca Gusella (vibrafono), Paola Tezzon e Giulia Larghi (violini), Luca Pedeferri (pianoforte, fisarmonica), Andrea Serino (tastiere), Gianluca Alberti (basso elettrico), Stefano Lecchi (batteria) e Lorenzo Gasperoni (percussioni) – che ha sorpreso, con un virtuosismo a dir poco appassionante ed espressivo elevatissimo, il numeroso pubblico che lo ha ricambiato con duraturi e acclamanti applausi, contraccambiati da un bis a fine performance riportante un estratto del concerto chiamato, per l’appunto, “Tubular Bells Variations”, ossia una rilettura originale della composizione di Oldfield da parte della compagine e del loro Maestro Faraò. Il quale spiega, nel comunicato stampa concertistico, la motivazione di questo speciale omaggio, assai particolareggiato ed esclusivo nel suo genere: <<L’idea di avvicinarmi e confrontarmi con la musica di Mike Oldfield risale ad alcuni anni fa. Considero “Tubular Bells” un’opera iconica, che mi colpì moltissimo fin da ragazzo. Nel 2017 ho arrangiato per orchestra la prima parte del disco, riferendomi ai temi principali e alternandoli a momenti di improvvisazione sulle strutture tematiche, ma anche su strutture libere. I “ferimenti” tematici e strutturali hanno un ruolo fondamentale in questa mia personale visione dell’opera che, a distanza di alcuni anni, ho voluto ridefinire e contestualizzare in un’ottica di libera rilettura, caratterizzata da continue variazioni. Non per nulla abbiamo intitolato il concerto di Rho “Tubular Bells Variations”. Inoltre, nella seconda parte della nostra esibizione ci sarà spazio per la prima esecuzione della suite “Tube”, che ho scritto per l’occasione, ispirata al capolavoro di Oldfield>>.

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Annunciati dal giornalista professionista specializzato nell’ambito musicale, Alessandro Achilli, dopo una sua attenta, meticolosa e simpatica introduzione narrante gli esordi e la carriera a venire di Mike Oldfield e alcuni aneddoti succulenti sull’album in questione, l’Artchipel Orchestra entra in scena, ‘ravelianamente’ (o meglio ‘Bolerianamente’), membro dopo membro, posizionandosi al proprio posto e iniziando a suonare l’attinente strumento fino al culmine sonoro del ‘tutti’ orchestrale diretto dal burattinaio Ferdinando Faraò per un’ora e mezza di esecuzione al calor bianco – il suo gesto dinamicamente ipnotizzante e simpaticamente travolgente sembra proprio, in alcuni attimi esecutivi, apparire come quello di un Artista che manovra amorevolmente, ma al contempo seriamente, con quella autorità che confaceva ai maestri di scuola di un dì, i burattini dando pubblici spettacoli, creando così Arte Vera –. Si susseguono, in questo tributo spettacolarmente incomparabile, pagine solistiche in canto e controcanto realmente esaltanti e immersive – il pubblico, compreso chi vi scrive, rimane in un religioso silenzio come stregato da quell’effluvio di note ‘tubolari’ in una sorta di bellissimo caos controllato, dalle nuance avveniristico-fusion-jazz che dire straordinariamente interpretate è poca cosa (aveva ragione Frank Zappa quando dichiarava che <<scrivere di musica è come ballare di architettura>>) –, momenti contrappuntistici che inebriano l’udito, passaggi in cui Oldfield appare e scompare magicamente per non perdersi, anzi rinnovarsi a nuova veste sonora ancora più elettrizzante rispetto all’originale, con quella chiave jazzistica che tutto infrange e tutto ricostruisce senza scalfirne anima e forma, in una sarabanda che neanche un Miles Davis sotto droghe pesanti poteva tirar fuori dalla sua tromba primeggiante e unica. Un concerto sinfo-jazz che si spera non finisca più, anche quando dopo la prima parte dedicata all’iconico pezzo di Oldfield si passa alla seconda parte del brano ispirato al compositore inglese, dal titolo “Tube”, composto da Faraò, altrettanto orchestralmente accurato e jazzisticamente folleggiante, con un tematismo simil ‘tubolare’ solo all’inizio per poi divenire una pagina cantabile dalla bellezza glassiana con tocchi di pazza leggiadria manciniana. Se avrete occasione di apprendere che nelle vicinanze in cui vivete vi sarà un concerto dell’Artchipel Orchestra, vi prego vivamente di non lasciarvelo sfuggire. Sarebbe un oltraggioso peccato.      

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