The World of Hans Zimmer in concerto

The World of Hans Zimmer
Reportage dal concerto del 6 Novembre 2019 presso il Forum d’Assago di Milano

Devo essere sincero: non mi ero preparato come realmente avrei dovuto. In testa avevo solo le musiche con le quali, da li a poco, mi sarei emozionato come un bambino la mattina di Natale, ma non sapevo chi le avrebbe suonate ed ero addirittura convinto, pensate, che il Maestro in persona sarebbe apparso sul podio a dirigere o addirittura suonare. Purtroppo no, piccola delusione (vedi cosa succede ad arrivare impreparati?!). A mia parziale discolpa posso dire che fino all’ultimo non sapevo se sarei riuscito a presenziare al concerto causa lavoro, ma, naturalmente, è un motivo non sufficiente ad assolvermi.

Non era la prima volta che assistevo a concerti dal vivo al Forum di Assago, ma lo era per il genere di musica che mi apprestavo a godere, questo sì. Con alle spalle la frequentazione di esibizioni di band o solisti nell’ambito del pop-rock italiano e internazionale con il pubblico che, galvanizzato, canta sulle note dell’artista di turno, sono rimasto stupito e positivamente meravigliato nel vedere come la musica da film abbia suggestionato e scatenato lo stesso entusiasmo in masse abituate ad adulare il proprio cantante o gruppo preferito.
Ora “bando alle ciance”, iniziamo ad immergerci in un ricordo ancora fresco, che conserverò, sono sicuro, per molto tempo. Spero di trovare le parole più adatte ad evocare l’atmosfera magica di quella serata e a toccare le corde della vostra immedesimazione sonora. Via!
Sono decisi, pungenti ed alternano “schiaffi” violenti ad un leggero ticchettio delle lancette di un orologio, i colpi di percussioni di The Dark Knight che danno inizio allo show. Sono poi gli archi a prendere le redini della scansione metronomica e, per l’intero minutaggio del pezzo, a “cavalcare al galoppo” su ostinati in trentaduesimi (mentre le percussioni battevano dapprima i quarti e poi gli ottavi). Sopra a questa base ritmica si sviluppano dei semplici, per così dire, salti di intervalli, in prevalenza di terza minore, affidati nella maggior parte dei casi agli ottoni, che rappresentano il perno su cui ruota il senso di drammaticità e di tensione che avvolge la traccia. Questo, se non ricordo male, è l’unico momento in cui, alle spalle dell’orchestra, non appare alcuna scena rappresentativa del film in questione, ma solamente il simbolo dell’uomo protettore delle strade di Gotham City. E poi lo sguardo dello spettatore era letteralmente catturato dalle enormi H e Z che sovrastavano l’intero palcoscenico; ah quanto te la tiri Hans! E fai bene…



Le prime immagini che compaiono sullo sfondo sono tratte dal film King Arthur. Le sue musiche annunciano anche l’entrata in scena di un elemento fondamentale, non solo dello spettacolo ma, e soprattutto, dello stile epico e grandioso del compositore: il coro. Posizionato alle spalle dell’orchestra, più precisamente su ambedue i lati, nascosto in precedenza da due immense porte scorrevoli di grande impatto scenografico, si eleva (tenori e soprani sulla sinistra e contralti e bassi a destra) su piani ed altezze differenti creando una suggestiva collocazione visiva e sonora.
Siamo solo agli inizi, ma è un susseguirsi di colpi di scena. Hans ha appena fatto la sua comparsa sul grande schermo, ci dà il benvenuto, ci ringrazia della presenza, saluta il suo grande amico e direttore d’orchestra (che si dimostra essere un grande professionista anche per la presentazione iniziale in lingua italiana), ci introduce e ci accompagna passo dopo passo in questo lungo viaggio all’interno del suo mondo musicale, tra siparietti con alcuni dei registi con cui ha collaborato (tra cui il simpaticissimo ed eterno ragazzino Ron Howard) e altre figure cardine che hanno dato linfa vitale alle sue partiture, fino alla sorpresa finale che è un vero e proprio tocco di classe.
Come ho anticipato nella recensione del CD (se avete piacere di recuperarla, ecco il link http://www.colonnesonore.net/recensioni/cinema/6359-the-world-of-hans-zimmer-a-symphonic-celebration-live.html) il valore aggiunto, il diamante che fa splendere non solo l’anello al dito, ma il corpo intero, sono i solisti (già in King Arthur ne avevamo pregustato il sapore, ma era solo un assaggio di quello che sarebbe arrivato dopo). I riflettori sono tutti puntati su un uomo dai capelli lunghi, con una bandana nera in testa che imbraccia una chitarra classica. Dopo un’introduzione affidata alla sua tecnica flamenca eccezionale, che non smetterà di sostenere tutto il suo intervento, ecco che prende vita quella breve ma struggente melodia spagnoleggiante di Mission: Impossible 2, sostenuta da un vigoroso ritmo di battito di mani e da una sovrapposizione degli archi che danno maggiore spessore al tema e contemporaneamente contribuiscono ad ammorbidirne la sonorità rispetto all’iniziale ruvidezza chitarristica. A completare la parentesi eroica dell’agente dell’IMF è il brano successivo, dove l’orchestra dialoga con la prima ed incantevole voce solista. Questo è un colpo dritto al cuore; la memoria ci rimanda immediatamente al rapporto speciale che si crea nel corso della storia tra i due protagonisti che sentono crescere e consolidare un forte senso di protezione ed affetto reciproco.



A seguire due musiche agli antipodi per ricerca sonora e direzione emotiva: in Pearl Harbor un delicato ma potente tema melodico ci pervade dapprima eseguito dalla chitarra che duetta con l’orchestra, prosegue poi con lo strumento a tasti bianchi e neri che ne coglie la vera essenza, passa al coro ed infine alla voce solista; in Rush è patente (gioco di parole che si commenta da solo per il basso livello di umorismo…) la connessione musicale con l’intensità emotiva giocata sul grande schermo; un immenso crescendo che a partire da un semplice ritmico riff di chitarra elettrica su cui prende vita una vibrante melodia affidata alla bellissima violoncellista solista, si espande attraverso decisi ed adrenalinici colpi di percussioni fino ad infiammare l’intera orchestra, tra sferzate d’archi e graffianti interventi degli ottoni, tutto in pieno stile zimmeriano.
Il compositore tedesco non ha il solo merito di comporre temi unici e memorabili, ma partiture musicali complesse dove ogni singola sezione, articolata o meno che sia, brilla di luce propria, sostenendo con energia e grande forza emotiva lo scorrere della storia narrata. Le 4 tracce che seguono ne sono un chiaro esempio: tratte dallo score di The Da Vinci Code, hanno il pregio di accompagnarti all’interno del film, ripercorrendone i momenti-chiave. La musica dal vivo ne esalta e amplifica le sensazioni, avvolgendoti al punto tale da farti sentire parte della scena stessa circondato dalle bellissime ambientazioni pregne di memoria storica e culturale. Il finale di questa sorta di suite produce in me proprio questo effetto: io che, incarnato il personaggio di Tom Hanks, cammino lungo le strade di Parigi alla volta del Louvre, ogni mio passo si fa sempre più sincrono con l’ostinato degli archi ed i miei occhi si illuminano di gioia e stupore al salto d’ottava del violino solista che sempre di più vibra e riempie di pathos il tema melodico; quando ormai, convinto che la strada sia quella giusta, l’intera orchestra, con ampie arcate e il coro mi sospingono verso l’ambito l’obbiettivo finale mentre nella mie mente risuonano le parole chiave dell’aforisma risolutivo della ricerca del Santo Graal. Brividi ed emozione pura.
Intervallo.
Leggerezza è la parola d’ordine per accedere all’ascolto dell’incipit musicale della seconda parte dello spettacolo. Tra spensieratezza e disinvoltura, tra gli accordi di un ironico ma calzante ukulele e uno spumeggiante basso elettrico, l’orchestra balla insieme agli animali della divertentissima famiglia di Madagascar e vola delicatamente sulle note di una scanzonata melodia fischiettata.
In Spirit Zimmer veste i panni di una vera popstar giocando così facilmente con i nostri sentimenti da renderci, in maniera del tutto naturale, vulnerabili a qualsiasi gioco di note ed armonie adagiate in partitura. Il risultato? Impossibile non amare e provare un forte desiderio di libertà all’ascolto dei dolci e allo stesso tempo potenti temi del cavallo selvaggio, protagonista del film.
Dalle terre dei nativi americani ci spostiamo in oriente, in compagnia del panda Po, dove la nostra compagna “leggerezza” permea e si insinua prepotentemente nella strumentazione qui utilizzata: un tradizionale flauto di legno, morbido e con un suono molto soffiato, spicca sull’accompagnamento in arpeggio dell’arpa e su un delicato tappeto d’archi, pronto a dare man forte quando sale la tensione.
Fuori dalla sua confort zone, ma in perfetta sintonia con l’atmosfera appena creata, The Holiday è un bagno di gioia e felicità, di beatitudine e relax. Zimmer ti esorta a riposare la mente e a rasserenare lo spirito, a stringere forte la mano di chi sta accanto per far sentire il proprio calore, ad emanare grandi dosi di bontà perché volersi bene ci fa sentire più forti insieme e più appagati con noi stessi.
Chiude il cerchio un’aria di Bach…scusate devo aver avuto un lapsus, o forse no? Non credo sia una mera coincidenza il fatto che nel film Hannibal sia stata inserita l’”Aria BWV 988” delle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach suonate dal genio eccezionale di Glenn Herbert Gould, sua prima incisione, entrata prepotentemente nell’immaginario collettivo. Il brano di Zimmer, che prende il titolo di “To Every Captive Soul”, è a tutti gli effetti un omaggio all’intramontabile compositore tedesco. Un arioso scritto per violoncello solista (che ancora una volta riceve un calorosissimo riconoscimento dal pubblico non solo per la sua straordinaria bravura, ma anche per l’affascinante eleganza del suo lucente vestito rosso) e orchestra. E’ volutamente di rottura l’idea di comporre un tema così delicato e leggero per accompagnare le gesta dell’indimenticabile serial killer.
Ed ecco arrivare il momento atteso da ormai quasi un’ora e mezza. Qui non riesco proprio ad essere imparziale perché entrano in gioco reminiscenze emotive fortissime: sono smisuratamente di parte. Come si può non esserlo quando, a detta dei miei genitori, il cartone animato in questione proseguiva sullo schermo del televisore per un minimo di 2/3 volte consecutive. Stiamo parlando di vera poesia in musica, di suono che sgorga direttamente dal cuore, di vibrazione di corpo e anima (questa musica mette in seria crisi la mia non convinzione spirituale), insomma di note che, magistralmente combinate, possono dar vita a melodie morbide e sfuggenti, così come, dialogando con le diverse sezioni orchestrali, a momenti maestosi ed epici da farti sentire piccolo ed indifeso. Signore e signori, this is The Lion King!



Sembra tracciata una sottile linea di collegamento tra la soundtrack che segue con quella di Mission: Impossible. E’ ovvio che le atmosfere e i toni sono differenti, ma le similitudini nelle intenzioni e in parte nella scrittura sono chiare all’ascolto (non credo sia un caso visto che parliamo di due pellicole uscite lo stesso anno). Sono tre le parti musicali de Il Gladiatore presentate in questa occasione: la prima gioca su un introduzione sfuggente, vaporosa, con sonorità che richiamano luoghi esotici e lontani che sfocia in una parte dall’accentuato carattere angoscioso affidata prima alla sezione archi (che dai cupi contrabbassi arriva alle dolorose e appassionate arcate dei violini), passando rapidamente sulle note del flauto fino a concludere in maniera drammatica sulla spinta propulsiva degli ottoni e del coro; nella seconda ritorna la chitarra, strumento che ha caratterizzato il personaggio del secondo agente segreto più famoso del mondo (il primo per ovvie ragioni anagrafiche è la spia britannica con la licenza di uccidere), che nel giro di pochi istanti dà il via ad un saltellante e prorompente tema ritmico che è a tutti gli effetti il nucleo embrionale di una delle musiche più celebri che il compositore tedesco scriverà 6 anni più tardi. Dopo la tempesta, raggi di sole squarciano le nuvole portandoci un po’ di quiete con note piene di speranza e serenità; la terza è puro godimento, bisogna solo lasciarsi trasportare e cullare dalla bellissima ed unica voce della contralto Lisa Gerrard: da pelle d’oca.
Regalare emozioni non è mai stato così facile per Zimmer. Non si accontenta di palesare il suo bel faccione sempre sorridente come intermezzo tra uno score e l’altro. Questa volta fa di più, molto di più. Ricordate quando all’inizio scrissi della sorpresa? Ebbene, la traccia “Time”, dal film Inception, la suona lui. Non dal vivo, ma in un ipnotico video registrato nel suo studio. Su due livelli differenti e da due continenti diversi, l’interpretazione del solista e quella dell’orchestra sono in perfetta sintonia. Qui è evidente un altro aspetto caratteristico della sua musica: semplicità e sintesi di scrittura si fondono in una partitura che diventa imprescindibile della pellicola stessa.
Per chi è appassionato del genere e anche solo in parte conosce l’immenso lavoro di Zimmer, sa che manca quella musica, proprio quella, all’appello. La più iconica degli ultimi vent’anni, la più suonata, la più coverizzata, la più richiesta dai musicisti in erba (ne so qualcosa visto che non passa anno scolastico nel quale i miei allievi mi chiedano insistentemente di impararla a suonare): Pirates of the Caribbean. Ho deciso di non entrare nello specifico di questa “scarica elettrica” di portata eccezionale. Non c’è secondo, anzi millesimo di secondo, in cui non ti senti irradiato di vitalità e puro piacere, inebriato di suoni decisi, definiti come scolpiti su marmo: potenza allo stato puro!
Purtroppo il viaggio finisce qui. Dopo più di due ore di emozioni, cala il sipario sotto scroscianti applausi. Ciò che mi preme in ultimo sottolineare è che è inevitabile riconoscere nel lavoro di Zimmer un forte senso di altruismo. Esporsi, spogliarsi di tutto ciò che naviga dentro la mente e nel cuore mettendolo a disposizione degli altri, rappresenta un gesto di pura generosità; mettersi in gioco sapendo che quello che nasce in una dimensione personale e solitaria raggiungerà storie e vite inimmaginabilmente lontane dalle proprie è come abbracciare l’umanità intera: questa è arte, questa è musica. Grazie Hans.

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