The Black Dahlia

cover_black_dalhia.jpgMark Isham
The Black Dahlia (id., 2006)
Silva Screen SILCD1221
15 brani - durata: 47'47"

 

“Nulla rimane sepolto per sempre” recita il titolo della suite conclusiva di quest’opera. Nemmeno la bravura di Mark Isham, saremmo tentati di aggiungere. L’eccellenza di un’opera artistica si valuta anche in base alla difficoltà della sfida creativa affrontata dall’autore. L’incarico di scrivere musica per un film di De Palma richiede coraggio estremo, per qualsiasi compositore di Hollywood. A scoraggiare da un simile proposito basterebbe l’elenco dei nomi autorevoli che in passato hanno collaborato con questo regista, come Herrmann, Williams, Morricone e Donaggio, con partiture che hanno lasciato il segno nella storia della film music. Ma anche la difficoltà di tener dietro al dinamismo, al gonfio e rutilante immaginario filmico di De Palma, è certamente un banco di prova impressionante, dal quale non si esce con troppa facilità. Ne ha fatto le spese Sakamoto, che ha lavorato sulle ultime due pellicole del regista portando a casa risultati non particolarmente memorabili. Un’ulteriore motivo di esitazione deriva infine dallo specifico filmico in questione, un noir basato su uno dei più acclamati romanzi di James Ellroy, un genere che si porta dietro una consolidata tradizione di musiche e di autori di primo piano con cui confrontarsi. Mark Isham, alfiere del commento sfumato, atmosferico, dominato da elettronica e da sonorità di sottofondo, ha saputo mettersi in gioco, con estremo coraggio, e ha accettato l’incarico, ottenendo alla fine un risultato a dir poco sbalorditivo.
Il thriller anni ’50 di ambiente californiano esige vesti musicali ben precise. Una scrittura elegante, percorsa da sofisticate sfumature soft jazz, per evocare un quadro d’epoca radicato nell’immaginario collettivo, in cui il ricorso al suono della tromba solista è irrinunciabile.
I precedenti sono troppi per poterli ignorare: si pensi solo al marchio indelebile lasciato dal doppio intervento di Goldsmith in questo genere, con i suoi celebrati Chinatown e L.A. Confidential (quest’ultimo pure tratto da Ellroy). Anche Isham si è già magnificamente confrontato con questo approccio nel suo splendido commento a L’occhio indiscreto (in quel caso l’epoca è la stessa, ma l’ambiente è New York). Isham sa bene che sarebbe follia cambiare l’idioma di base. Per questo rispetta il dogma e affida episodi salienti dell’opera al canto dolente, malinconico e lacerato della tromba, i cui assoli esegue magistralmente di persona. I nostalgici di Goldsmith troveranno non poche strizzate d’occhio al loro beniamino: Isham sceglie l’impostazione dinamica, ruvida e ossessivamente percussiva dello scomparso maestro di Los Angeles.
Ma a parte queste poche e comprensibili derivazioni, del tutto fisiologiche, il resto di The Black Dahlia è genio allo stato puro, una sorpresa dall’inizio alla fine, un tuffo rigeneratore in una scrittura per grande orchestra sinfonica che non lesina nulla, dal melodramma all’azione più violenta, dalla malinconia al romanticismo sofisticato, con pagine rese inebrianti dal vigore esecutivo impareggiabile degli orchestrali di Londra. Una partitura al tempo stesso sobria e monumentale.
I tre temi principali, dominati da quello misterioso e predestinato della Dahlia (una pennellata agghiacciante, che fa pensare alla geniale semplicità con cui Herrmann ha caratterizzato tanti capolavori del passato), si susseguono attraverso l’intera opera. Ciascun brano fa storia a sé e meriterebbe un’analisi distinta, tante sono le vulcaniche idee, i cambiamenti d’umore, le sottigliezze timbriche che si trovano in ciascuno di essi. La cifra stilistica raggiunta è talmente solida ed elegante che questo splendido lavoro si apprezza fin dai primi ascolti distratti, candidandosi subito ad un meritato approfondimento dei molti eccezionali episodi di cui si compone. Un appuntamento stimolante anche per chi non ha apprezzato il film.
Insomma, la latente genialità sinfonica di Isham ha finalmente visto la luce. Speriamo che sia l’inizio di un nuovo corso. Per fortuna a Hollywood i grandi artigiani qualche volta riescono ancora a sfoderare gli artigli, e non sempre il risultato della loro fatica viene cestinato e sostituito con paccottiglia preconfezionata.

 

 

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