07 Ott2011
Paradiso
Ennio Morricone
Paradiso (2011)
Hayley Westenra soprano
Decca 4783087
14 brani – durata: 58’08”
Non è un mistero che la poetica di Ennio Morricone, la qualità della sua scrittura e la particolare natura del suo “melos” abbiano attratto negli anni numerose, quanto diverse fra loro, voci femminili: quasi che qualcosa di ontologicamente, naturalmente “femminile” (non stucchevole né lezioso) abiti nell’architettura di alcune sue composizioni, in quel levarsi sidereo di melodie lunghissime appoggiate a inquieti e mobili archi fruscianti, a pedali severi, a lievi giochi di rimandi fra legni e percussioni… Dalle “storiche” presenze di Edda Dell’Orso (alla cui collaborazione col maestro romano la GDM Music ha da poco dedicato un doppio, incantatorio cd, sul quale torneremo) e Christy (Tepepa, Corri uomo corri, Diabolik), da Milva a Celine Dion , da Amii Stewart a Katia Ricciarelli, da Mireille Mathieu a Joan Baez sino a Dulce Pontes, voci sublimi di ogni stile, formazione e latitudine si sono nel tempo misurate con il non facile compito di dare una forma “verbale”, semantica, a pagine spesso grandi proprio in quanto puramente strumentali, eppure così irrefrenabilmente spinte, quasi propense alla categoria – di radici operistiche e ottocentesche – del “cantabile”. Ultima in ordine di tempo arriva ora una giovanissima voce sopranile (definirla “soprano” in senso classico sarebbe fuorviante), la neozelandese Hayley Westenra, appena 23 anni ma già detentrice di record di vendite con il suo album di debutto internazionale registrato dieci anni orsono (!), “Pure”, 4 milioni di copie in 11 paesi del mondo.
“Paradiso”, registrato a Roma al Forum Studio di Piazza Euclide dove Morricone è di casa da sempre, e con il maestro stesso sul podio dei 120 elementi della Sinfonietta di Roma, è il quinto album di Hayley Westenra ed è, forse, per la giovane artista la sfida più ambiziosa. Perché l’incontro fra l’83enne gigante della musica per film europea e la poco più che adolescente e sensibilissima cantante (che a 17 anni, ricordiamo, è divenuta anche la più giovane ambasciatrice dell’Unicef) ha prodotto un risultato inedito, nel metodo e nel merito: nel metodo perché per la prima volta Morricone ha appositamente inserito, rivedendo tutte le orchestrazioni, delle parti vocali, in varie lingue, in brani che non le prevedevano, andando quindi a modificare la natura dei brani medesimi; nel merito perché questa differenza generazionale e la barriera linguistica sono state abbattute, azzerate, da una perfetta sintonia sul piano “lirico”, ovvero sulla capacità della Westenra di divenire, quasi istintivamente, parte integrante del “melos” morriconiano. Un risultato che si avvale anche di contributi di prestigio sul piano dei testi, in alcuni casi scritti dallo stesso maestro romano, in altri dalla Westenra, in altri ancora da nomi illustri nel settore come Don Black, Tim Rice, Alan e Marilyn Bergman.
Tecnicamente parlando, la voce di Hayley Westenra tende al soprano leggero, di coloratura, con un’emissione “alta” e una straordinaria capacità di filature e mezze voci, meno “infantile” e più formata – anche dal punto di vista interpretativo - di Charlotte Church: la natura mista del suo repertorio (pop, folkloristico, classicheggiante ma non “classico”) la rende una tipica voce crossover, cioè in grado di far convivere e incrociare più generi e stilemi, creando peraltro una naturale e comprensibile curiosità sullo sviluppo futuro del suo talento, se indirizzato con gli opportuni studi e nelle opportune metodologie tecniche, magari in direzione operistica.
Dal punto di vista dell’ascolto vi sono momenti da brivido: è uno di questi è l’incipit, in cui Hayley affronta angelicamente, con un’emissione morbida, vibrante e sussurrata insieme, il “Gabriel’s oboe” da Mission (divenuto “Whispers in a dream” su testo della cantante), sostenuta dallo straordinario fraseggio degli archi morriconiani (emozionante allo spasimo la ripresa del tema dalla viola solista!). I due temi da Nuovo Cinema Paradiso divengono una specie di doppio lied mediterraneo in cui la cantante scopre probabilmente per la prima volta la naturale, ma anche difficile da restituire per chi non è di lingua madre (e spesso anche per chi lo è), musicalità della lingua italiana: “Profumo di limone”, su testo di Morricone, è offerta con grazia infinita e – ancora – una vibrazione intensissima nel registro medio-basso che si trasforma in oro purissimo in quello acuto; “Would he even know me now?”, su testo di Black, che è poi il più celebre, lunghissimo, avvolgente, sublimemente circolare, tema del film, trova in Morricone un orchestratore sempre capace di rinnovarsi in funzione delle occasioni contingenti, in questo caso muovendo un contrappunto e una serie di intersezioni degli archi (mai simmetrici. mai prevedibili rispetto all’andamento della melodia) su cui la voce della Westenra si alza come ne fosse la conseguente, eterea prosecuzione. La Califfa, partitura tra le più toccanti e intime del Morricone anni ’70, appare in una versione italo-inglese in due parti, entrambe precedute da un intenso dialogo fra due legni: e il testo fortemente e duramente “politico” di Morricone produce, a contrasto con la celestiale dizione della Westenra, un curioso effetto di contrasto.
C’era una volta il West, ovvero il tema di Jill, pone un problema insormontabile: il confronto, immediato e istintivo, con l’insuperabile versione originale di Edda Dell’Orso, la cui voce, i cui legati, i cui pianissimi sembravano provenire da distanze non concepibili da mente umana, in un’apoteosi malinconica e struggente: Hayley,coadiuvata da Morricone che nella parte finale la fa contrappuntare dai violini, vocalizza come può e sa, ma è un’altra cosa…
La celebre bossa-nova, circolare e ossessiva (reminiscenza da “Se telefonando”, scritta per Mina) di Metti una sera a cena, chiama Hayley al ruolo di vera e propria cantante pop, esaltandone le qualità musicali piuttosto rare nella categoria, e una sbalorditiva capacità di impadronirsi della lingua anche in un testo (di Morricone) piuttosto intricato: e sul piano del puro virtuosismo, è un piacere ritrovare la brillantissima “Lezione di musica” dal lontano, sessantottino H2S di Roberto Faenza, che impegna la cantante in una serie di vocalizzi all’interno di una costruzione barocca disincantata e divertita.
Da sempre ritengo che il “Deborah’s theme” da C’era una volta in America, con le sue lunghe pause, veri respiri dell’anima, il pedale di celli e bassi, il levarsi ardente e doloroso insieme della linea melodica sospinta fino al registro acuto, per restarvi lì sospesa mentre gli archi scendono per semitoni sconsolati, sia uno degli esiti in assoluto sommi della poetica morriconiana; l’interpretazione di Hayley Westenra, su testo di Alan e Marilyn Bergman, è squisitamente liederistica, su tempi meno lenti dell’originale, ma con una linea di canto composta e intimisticamente contenuta. Anche “Here’s to you”, da Sacco e Vanzetti, deve fare i conti con una “concorrente” originale e difficilmente eguagliabile (autrice anche del battagliero testo), Joan Baez: stupisce ancora oggi l’implacabile coerenza architettonica di questa pagina, strutturata in pratica su un ostinato canonico, e va detto che la qualità vocale della Westenra pur non possedendo l’impeto perorante della Baez restituisce tutto il significato di questo potente inno libertario (tuttora in Cina ne è proibita l’esecuzione!). “Malena”, dall’omonimo film di Tornatore e su testo di Hayley, svela una volta ancora le sue assonanze col tema di Deborah (che lo precede di sedici anni), soprattutto nella parte iniziale, e ancora una volta permette alla cantante neozelandese di dispiegare i propri mezzi vocali (straordinario davvero il vibrato, soprattutto nel registro medio-grave, ma particolare anche l’estensione negli acuti) in perfetta sintonia con il fraseggio accorato degli archi.
Completano il cd “Amalia por amor” su testo di Joao Mendonca, cover del brano scritto da Morricone per Dulce Pontes, la festosa e quasi disneyana “Per Natale” (L’esprit de Noel) su testo di Josephine Drai, e l’intensa “The edge of love” su testo di Tim Rice. Si esce dall’ascolto con un duplice motivo di emozione: verificare il talento in ascesa di una giovane artista i cui orizzonti devono sicuramente ancora dischiudersi del tutto, e lo stupore per la freschezza e la disponibilità con cui un maestro di questa statura riesce a ripercorrere e “riaprire” continuamente il proprio lavoro, riflettendone sulla costruzione intima e sempre pronto a metterlo in comunicazione con nuovi moduli, nuove risorse e nuovi strumenti interpretativi.