E ridendo l’uccise
Ennio Morricone
E ridendo l’uccise (2005)
Beat Records CDCR73
19 brani – durata: 48’51”
E ridendo l’uccise (2005) è un film di Florestano Vancini, importante regista scomparso qualche anno dopo l’uscita di questo suo ultimo lavoro. Esso, realizzato a tredici anni di distanza dal precedente, al primo impatto non colpisce particolarmente, anzi, verrebbe la tentazione di etichettarlo subito come un film di medio interesse, a tratti dal sapore televisivo, con qualcosa di artificiale e finto, forse soprattutto nella recitazione che, riferita ad alcuni attori, appare forzata, accademica e poco convincente; non va invece annoverato tra essi Manlio Dovì, capace di straordinarie performance nel ruolo di Moschino, buffone di corte presso gli Estensi. La cosa inaspettatamente più fastidiosa vissuta durante la visione del film è stato proprio l’utilizzo della musica, troppo spesso adoperata come tappezzeria, spalmata massicciamente un po’ ovunque e in uno stile che dà di datato, sembra infatti che il film sia parecchio anteriore al 2005. Inoltre la musica sottende spesso le battute degli attori, disturbandosi a vicenda. La sensazione è che in montaggio ci si sia detti “abbiamo la musica di Morricone, utilizziamone il più possibile”.
Ciononostante, la sceneggiatura è ben scritta, accattivante e aggancia da subito lo spettatore, il quale viene sospinto lentamente fino al tragico finale. Sorprendentemente, e in opposizione al primo impatto negativo ricevuto guardando il film, a giorni di distanza dalla sua visione, devo dire che la sensazione che rimane del film è invece positiva, è la sensazione di un film importante, forse non pienamente riuscito, ma che comunque non solo si tiene, ma anche contiene in sé una efficace forza narrativa.
Ma passiamo ai momenti più significativi di questa colonna sonora. Il disco riserva una sorpresa già dopo i primissimi secondi. Nella prima traccia, infatti, la voce di Vancini introduce all’ascolto e dà subito una veloce lettura della musica di Morricone.
Dalle prime note della seconda traccia “La Ferrara delle burle” emerge immediatamente che i protagonisti indiscussi di questa colonna sonora saranno flauti e liuti di ogni tipo, subito proposti in un intreccio a tre voci che esegue il tema principale del film, la cui particolarità è quella di non risolvere armonicamente, lasciando una tensione nell’accordo finale di riposo. Successivamente questa melodia viene riproposta dal clavicembalo, e più avanti dalla stessa scrittura affidata questa volta a voci maschili e femminili. Il più classico degli incipit, si tratta di una summa delle sonorità di tutta la colonna sonora.
“Cannoni a Ferrara” propone un’atmosfera scura e di attesa. La scrittura è trasparentissima, molto semplice ma straordinariamente efficace, segno di come, nonostante le apparenze, Morricone preferisca lavorare per sottrazione; si tratta davvero di scrittura di altissimo livello, soprattutto per il fatto che la necessità di dover richiamare delle sonorità risalenti a cinquecento anni fa non ha rinchiuso Morricone in un “angoletto” creativo. A riguardo, riporto verbatim le iniziali parole del regista: “[…] per la maggior parte delle persone, la musica di quei tempi è oggi quasi incomprensibile. Ma Ennio Morricone ha compiuto il miracolo, nella sua musica c’è il sapore antico e una straordinaria creatività”. La rievocazione manieristica è infatti lontana, anzi il compositore, ove possibile, reinventa lo stile cinquecentesco, misto ad un autentico sapore pre-moderno, un sapore di distaccata nostalgia, spesso espressa da austeri ottavi, e melodie che si inseguono e si incrociano l’una con l’altra; tanto che a volte l’orecchio non riesce a decidere quale di esse seguire, nonostante tutte concorrano a tessere un arrangiamento nobile, severo, algido… quasi matematico.
Nella pacata “Alla corte degli estensi” viene ben messo in evidenza il clavicembalo, dapprima in solo, per poi passare alle voci a cappella e ai timbri scuri dei flauti magistralmente suonati dal maestro americano David Bellugi, docente di flauto dolce al conservatorio di Firenze. Tra l’altro, navigando qua e là in rete ho fatto una piacevole scoperta: Bellugi ha pubblicato uno slideshow su youtube che lo ritrae in studio proprio durante le sue registrazioni per questa colonna sonora; nelle foto pubblicate vediamo anche ritratti Morricone e Vancini. Ecco il link a questo inaspettato e prezioso reperto: http://www.youtube.com/watch?v=ZoQJSQa19No.
Con “Dolce donzella” ci avviciniamo senza dubbio al Morricone più conosciuto, autore di melodie distese, morbide, quelle che rapiscono grazie ai loro tipici passaggi armonici, fatta di una progressione di accordi così inaspettata e al tempo stesso straordinariamente naturale; si tratta di un melodia riconoscibile e cantabile, che rimane nella memoria, leggermente fuori asse rispetto all’universo timbrico cinquecentesco cui si attinge in altri luoghi del disco.
Con “Sull’aia si danza”, infatti, si ritorna vagamente ad un’atmosfera più antica, ma effettivamente mai del tutto filologica. Anzi si direbbe che in più di un’occasione in questa colonna sonora, il nostro abbia prima strategicamente composto la sua musica, per poi puntellarla con elementi dal sapore cinquecentesco. Viene qui esposto un nuovo tema, efficacissimo, azzeccatissimo (…ma dove le va a prendere le melodie Morricone, così varie, così compiute?!) L’efficacia di questa traccia viene fuori dall’inseguimento a canone delle melodie esposte; a metà brano un tocco da maestro: due successive serie di modulazioni che spostano la tonalità progressivamente in basso, pur mantenendo una melodia che le lega tutte insieme. Un espediente compositivo tutt’altro che cinquecentesco, un momento che rapisce l’orecchio e che, se ce ne fosse bisogno, rivela ancora quello straordinario genio che è Morricone.
In “Seconda canzone” ascoltiamo uno strumento inusuale, sembrerebbe una corda pizzicata, abbastanza alta in ottava, ma dal timbro per me indecifrabile. Probabile che si tratti invece di uno strumento del tutto tradizionale ma suonato in un registro insolito.
“Di burla in burla di notte” è pezzo tradizionalmente notturno, fatto di un pedale di viole e violini nel registro basso, note gravi del clavicembalo, sottofondo per alcune frasi anch’esse gravi di fagotto; è musica di attesa e di tensione, si muove poco, molto funzionale all’atmosfera della scena e alle battute degli attori. È questo uno degli episodi in cui viene fuori l’artigianato del mestiere di compositore di musica per film, cui spesso non viene richiesto di fare il grande compositore, ma semplicemente di “servire” l’immagine.
“Grazia più che virtù” è un pamphlet straordinario di scrittura a quattro voci per flauti di vario registro; ancora una volta si tratta del tema del film, affidato poi al clavicembalo, agli archi e ad un soprano.
Nel brano successivo, il titolo “Tre voci sole” fa intuire che il pezzo riprende con le sonorità del brano precedente. In adagio, iniziano due voci femminili con altrettante melodie sovrapposte, cui si aggiunge una voce maschile in un susseguirsi di piacevoli armonie; una austera spinta ritmica, sulla quale queste pacate voci sembrano suggerire leggerissimi e discreti passi nell’aria.
“Li tagliavano a pezzi” è un pezzo interessante, pur inserito nel pieno solco della grammatica della musica per film che deve provocare tensione e suspense. Si tratta di un pezzo scritto per una scena estremamente cruenta, puntellata da armonici degli archi, colpi di grancassa, alcune trombe di corte, episodiche note gravi del clavicembalo, e interventi di flauti fuori tonalità. Piccoli episodici gesti musicali per ogni strumento, quasi senza tempo e senza riferimento tonale.
Ancora una traccia chiamata “Grazia più che virtù” che inizialmente è una rivisitazione del tema della traccia omonima precedente, ma che ad un certo punto si trasforma in un caleidoscopio di note; clavicembali sovraincisi e intrecci di voci creano una scrittura dalla trama fitta e intricata, come, sembrerebbe, il tramare alle spalle dei malcapitati personaggi del film.
Una brevissima rivisitazione di “Dolce donzella”, il pezzo più melodico e “morriconiano” di tutti chiude il disco.
Dopo l’ascolto attento della sola musica, devo putroppo dire che, a mio parere, la visione del film penalizza la colonna sonora, tanto da metterla in ombra nonostante la sua bellezza e nonostante, paradossalmente, ne utilizzi parecchia. Solo dal disco si scopre come questa soundtrack nasconda momenti interessanti e intensi, vere perle di composizione; in altri istanti, è il mestiere più tradizionale dell’artigianato compositivo che viene fuori, sempre con grande spessore, soprattutto nei momenti di pseudo-ricostruzione di un antico mondo sonoro fatto di clavicembalo, trombe di corte, flauti e liuti, archi, incastri di voci maschili e femminili. Non c’è dubbio, un’altra notevole colonna sonora del nostro premio Oscar, che, a mio parere, supera i confini e i limiti del film per cui è scritta.
E lo dice lo stesso Vancini: “[…] e così, come sempre, la musica di Ennio che nasce per il film vive autonomamente per la propria forza emotiva”.