16 Dic2011
Snow Flower and the Secret Fan
Rachel Portman
Il ventaglio segreto (Snow Flower and the Secret Fan, 2011)
Sony Classical
18 brani – durata: 49’42”
Ventennale carriera quella di Rachel Portman, compositrice che si è misurata con generi opposti che vanno, solo per fare due esempi, dal thriller di La macchia umana (2003) alla commedia di Ma come fa a far tutto? (2011), vincendo però già nel 1996, a pochi anni dall’inizio della sua carriera da professionista in ambito cinematografico, il premio Oscar per la colonna sonora del film di Douglas McGrath Emma, e guadagnando successivamente le nomination per Chocolat e Le regole della casa del sidro. Quella per Il ventaglio segreto è una colonna sonora quasi sussurrata, elegante e delicata come tutto il film del resto, senza eccessi, controllata anche nel dolore, anche nel dramma, in una sorta di rispetto della felicità e della sofferenza, una “necessaria” complementarietà degli opposti tipica della cultura orientale, e che si esprime con pienezza nelle tracce di questo disco.
L’ambientazione del film, che alterna i nostri giorni e l’ottocento cinese, viene subito suggerita dall’utilizzo, da un lato, di alcuni strumenti tipici come l’erhu e la pipa, oltre che da un più riconoscibile flauto etnico, e dall’altro da una strumentazione molto più occidentale, suggestivamente intrecciati sfocando spesso i confini sonori tra le due temporalità.
La prima traccia (“Lily meets Snow Flower”) è già il tema principale del film; si tratta di sole cinque note che avranno sì uno sviluppo successivo, ma che già nella loro immediata ripetitività rivelano subito la loro efficacia grazie al carattere evocativo e riconoscibilissimo. Questo tema sarà protagonista di diverse tracce; in “The secret fan” esso ritorna poggiandosi su una morbida nuvola di archi, in assenza della sezione dei contrabbassi (per la verità usati pochissimo in questa colonna sonora); questa omissione fa sì che il peso tonale della composizione venga affidato ai violoncelli, che hanno però un carico di frequenze basse più leggero rispetto ai contrabbassi; il tutto dà una sensazione di maggiore leggerezza della musica. Il tema torna ancora in “Delang’s return”, questa volta in una brevissima versione più solare e movimentata, in “Forbidden to see”, è affidato al flauto etnico sostenuto morbidamente dalle due sezioni di violini, a loro volte supportate da un movimento serrato di viole e violoncelli, ma mai spigolosi, mai eccessivi, sembra infatti che la dinamica scritta in partitura di tutta questa colonna sonora non ecceda mai il mf (mezzoforte); stesso discorso vale anche per la traccia “Nina finds manuscript”, in cui il tema apre questo brevissimo pezzo distendendosi delicatamente su un quasi impercettibile tremolo degli archi; un’altra versione del tema principale si può ascoltare in “I cannot be what you wish”, esso si stende quasi con timore su uno sfondo scuro fatto di archi gravi e un tamburo profondo.
“Letters at the airport” invece è un caso in cui il tema è ben più avanti rispetto agli esempi appena elencati, qui la delicata pienezza delle sezioni d’archi si fa sentire, ma si tratta obiettivamente di una colonna sonora tessuta sulla ricerca di atmosfere e suggestioni (come suggerisce una traccia come “The Suit”) piuttosto che di brani melodici veri e propri; forse è anche per questo che il tema principale è così breve e sempre abbastanza discreto. In questo senso, tante sono le tracce di attesa e sospensione (“Sophia offers comfort” per esempio), caratteristica sonora ottenuta grazie all’utilizzo di una orchestrazione mai nervosa, fatta di attacchi sempre molto morbidi, una ricerca del suono evidentemente ben chiara negli intenti già in fase di registrazione, come nel caso del pianoforte e dell’arpa, gli unici strumenti potenzialmente con un attacco più deciso ed esplosivo.
Nella seconda traccia “The letterbox” si può per la verità già ascoltare un secondo tema, ottenuto con un movimento minimo e lento del pianoforte, su un discreto tappeto d’archi; tema che torna anche nella conclusiva “We will be laotong”, prima con il solo pianoforte, poi con l’aiuto del violoncello; la sensazione è quella di una musica di grande ed essenziale semplicità, ma che fa di questo duetto un esempio di quanto l’immediatezza delle note possa essere di notevole efficacia espressiva; sembra proprio questa l’essenza di tutto il film, ovvero il tentativo di definire quel rapporto raro e inspiegabilmente indissolubile, urgente, che può esserci tra due persone (in questo caso donne), che non sia di forma erotica o fraterna, ma qualcosa di diverso o di eccedente. Anche in “Exodus” mi è parso di riscontrare una caratteristica simile nella musica; il susseguirsi delle voci degli archi singoli su uno sfondo fatto di sezioni, nella dinamica e nella lentezza del tempo, sembrano suggerire rispetto per un sentimento che è più della amicizia, più di un patto, ma che ha a che fare (come indicato nel film in una battuta) con quadri astrali che permettono alle protagoniste di essere l’una il completamento dell’altra, tanto da avvertire come necessità quella di obbedire ad una legge dell’attrazione che impedisce loro di allontanarsi, a meno di non avvertire questo movimento come qualcosa di assolutamente innaturale, contro natura.
Ci sono altri momenti di questa colonna sonora degni di nota. “Bicycle” è traccia cupa, presaga di qualche imminente sciagura; è infatti il momento dell’investimento di una delle protagoniste, un pedale di suoni sintetici e sottili fa da sfondo ad un piccolo e ripetitivo disegno del pianoforte che crea una forte sensazione di attesa. “Snowflower’s son dies” è invece uno degli attimi più drammatici del film, ancora di grande delicatezza, ma anche uno dei rari in cui la dinamica dei crescendo degli archi preme sulla corda dell’emozione dello spettatore. In “Nina passes note” invece il pianoforte, a tempo e raramente solare, è supportato da lunghe note di fisarmonica, discreta, in secondo piano; un momento inaspettato, in quanto questo strumento non si percepisce così facilmente in altre tracce, anzi, il sospetto è che sia stato utilizzato solo per questo brano; più avvertibile invece e per tutta la durata del disco, l’arpa, protagonista in “Lily leaves to marry”.
Questa partitura si ascolta con grande scorrevolezza, è quasi poco impegnativa, il che non deve essere considerato come un aspetto negativo. Anzi, proprio perché morbida e lenta, proprio perché fatta di leggere pennellate sonore piuttosto che di schizzi, spigoli o sottolineature, essa agisce molto subconsciamente e in perfetta sintonia con le immagini; forse questo film, per sua natura, argomento e intento, non poteva avere musica diversa. Pur non essendoci grandi accadimenti o momenti di straordinaria scrittura (è tutto molto tonale e rassicurante), essa serve bene il film, tanto da non avvertirla in determinati momenti. Nel cinema, i casi di perfetta sinestesia tra audio e video (cfr. “L’audiovisione” di Michel Chion, fondamentale testo per ogni appassionato di colonne sonore) sono estremamente rari. Questa colonna sonora e questo film ne sono un esempio molto felice.