27 Set2015
A.I. Artificial Intelligence
John Williams
A.I. Intelligenza artificiale (A.I. Artificial Intelligence, 2001)
La-La Land Records LLLCD 1353 (Edizione a tiratura limitata)
CD 1: 22 brani – 65:50
CD 2: 11 brani – 58:08
CD 3: 14 brani – 58:30
Dopo anni di gestazione, Kubrick decise di coinvolgere Spielberg nello sviluppo, convinto che il regista di E.T. L’extraterrestre fosse più adatto di lui a portarlo sullo schermo. Spielberg era certo che alla fine sarebbe stato comunque Kubrick a dirigerlo, ma accettò di partecipare al progetto. I due geniali filmmaker collaborarono per diversi anni in modo saltuario, fino al momento in cui Kubrick decise di accantonare momentaneamente A.I. per tornare finalmente dietro la macchina da presa con Eyes Wide Shut, altro progetto a lungo meditato e preparato. La morte improvvisa di Kubrick – in piena post-produzione di Eyes Wide Shut – fermò anche lo sviluppo di A.I., ma dopo pochi mesi Spielberg annunciò che A.I. Artificial Intelligence sarebbe stato il suo prossimo film, in omaggio all’amico e collega scomparso.
Sembra infatti proprio questo il solco nel quale il regista di Schindler’s List e Lo squalo sceglie di inserirsi e di strutturare il suo lavoro: Spielberg riprende in mano tutto il lavoro di pre-produzione preparato da Kubrick, riscrive personalmente la sceneggiatura e lo mette in scena tentando di girarlo “come lo avrebbe fatto Stanley”. Una sfida che agli occhi dei cinefili più oltranzisti suonò quasi come un affronto, se non addirittura un atto di lesa maestà. Come avrebbe potuto il regista più commerciale e “hollywoodiano” di tutti i tempi entrare nei panni del filmmaker “auteur” per antonomasia? E’ molto difficile trovare infatti il trait d’union tra due personalità artistiche tanto diverse e distanti, ma se dovessimo osare, diremmo che si può intravedere un legame nella rispettiva devozione totale all’arte del Cinema e al suo potere di plasmare l’immaginazione delle masse attraverso storie sospese nel Tempo e nello Spazio, ma capaci di indagare anche nelle pieghe più oscure della Storia dell’Uomo. E dunque A.I. Intelligenza artificiale diventa una impossibile fusione a freddo di questi due mondi diversi eppure così affini: un’opera kubrickiana con l’impronta di Spielberg, o forse addirittura un film spielberghiano “stregato” in ogni fotogramma dallo spirito di Kubrick. Il risultato finale è indubbiamente un film eclettico, multiforme, ma anche disgiunto, problematico e talora addirittura schizofrenico, eppure ricco di suggestioni e momenti sinceramente ispirati. Gran parte del suo fascino – che oggi, a distanza di quasi 15 anni, comincia ad essere meglio compreso ed apprezzato – sta probabilmente in questa strana dicotomia di stili e percorsi estetici.
Un discorso analogo si potrebbe fare per la partitura composta da John Williams, probabilmente una delle più sfaccettate ed eclettiche mai scritte dal compositore per il regista e collaboratore prediletto. Le scelte musicali sono sempre state uno dei marchi autoriali più forti del cinema di Stanley Kubrick, il quale, da 2001 Odissea nello spazio in poi, fu accompagnato soprattutto (ma non solo) da selezioni tratte dal repertorio classico, quasi sempre “ricontestualizzate” in modo assolutamente geniale e spiazzante, capaci di aprire nuovi ed ampi spazi di senso estetico sia in termini narrativi e cinematografici che in quelli puramente musicali. Spielberg sceglie saggiamente di non imitare la prassi kubrickiana e affida come d’abitudine l’interpretazione musicale alla sua anima gemella, il quale risponde ancora una volta con rinnovato e sorprendente slancio creativo. Lo spettro di Kubrick si aggira comunque anche nella colonna musicale di Williams, soprattutto in alcuni palesi omaggi a pagine ed autori resi celebri al grande pubblico dal regista di 2001, come Gyorgy Ligeti e Aram Khachaturjan. Tuttavia, sono molte e delle più diverse le anime che coesistono in questa partitura, un vero e proprio caleidoscopio di colori ed atmosfere che la nuova edizione discografica filologica realizzata da La-La Land Records ci restituisce in tutto il suo fascino multiforme. La coraggiosa casa discografica indipendente presenta infatti un lussuoso cofanetto con l’edizione completa di tutta la musica scritta da Williams per il film su due CD, più un terzo disco di brani alternativi, musica diegetica e bonus tracks a vario titolo, per un totale di 3 ore d’ascolto, rimpiazzando in modo definitivo sia l’album della OST uscito nel 2001 (una striminzita selezione di poco più di un’ora di materiale che non rendeva affatto giustizia alla vastità dell’opera e piagata oltretutto da una qualità sonora insoddisfacente) che il famigerato “promo” in 2 CD stampato in poche centinaia di copie esclusivamente per i giurati dell’Academy of Motion Picture Arts & Sciences (e che aveva raggiunto quotazioni da capogiro sul mercato collezionistico secondario). Come accaduto per le edizioni di 1941, Hook e L’impero del sole, la generosità di materiale presente in questa pubblicazione discografica non è ascrivibile solo a manie “completiste” da collezionisti né a ragioni di mera compilazione d’archivio, ma piuttosto alla volontà di recuperare e preservare un tassello importante della collaborazione Spielberg/Williams (e prova ne è il coinvolgimento diretto di regista e compositore nella supervisione di questa edizione), come ha raccontato il produttore Mike Matessino in questa intervista (http://www.jwfan.com/?p=7726), offrendone una presentazione soddisfacente e realmente definitiva in termini di ascolto, resa sonora e note di copertina.
Come si diceva, la partitura di A.I. Artificial Intelligence segue in maniera aderente il percorso narrativo del film e ne rispecchia fedelmente il profilo estetico, arrivando ad incarnarne probabilmente l’anima più profonda. Williams ha sempre riservato per i film dell’amico Spielberg una cura e un’attenzione particolari, riuscendo sempre a trovare la chiave interpretativa ideale in termini musicali e a sfoderare un ventaglio espressivo estremamente ampio ed articolato. Il camaleontismo del compositore trova un terreno particolarmente stimolante in questa occasione, che gli consente di esplorare territori a lui congeniali, ma indubbiamente meno battuti, grazie all’ampia tela messa a disposizione dalla storia e dai temi presenti in essa. Così come il film è nettamente ripartito in tre atti distinti, anche la partitura di Williams presenta almeno tre differenti anime musicali, che il compositore riesce però a legare insieme attraverso un lavoro particolarmente sottile e meditato sul materiale tematico e sull’impianto timbrico generale. E’ un Williams scevro dai feux d’artifice sinfonici che spesso animano le sue colonne sonore per i film di ambientazione fantastica e sci-fi, così come assai restio a lasciarsi andare ai suoi proverbiali tour de force di virtuosismo orchestrale, prediligendo invece un lavoro di sottrazione e assottigliamento del materiale musicale. Il carattere predominante è meditabondo, interrogativo, prevalentemente interessato ad una chirurgica dissezione del contenuto intellettuale dell’opera, ma talora capace di momenti di grande intensità emotiva. La voce del compositore fa il paio con quella di Spielberg, il quale alterna gelidi sguardi di indagine sui personaggi ad emozionanti epifanie ricche di sentimento. E’ in questa totale sinergia estetica che lo score di A.I. offre alcuni dei suoi momenti più ispirati e coinvolgenti, che la nuova presentazione discografica fa emergere in modo ancora più convincente.
Ascoltata e vissuta in questo modo, la partitura di Williams diventa un vero e proprio viaggio che esplora una grande varietà di stili ed atmosfere, il corrispettivo musicale dell’odissea vissuta dal protagonista. Il primo atto del film – l’arrivo e la vita del robot bambino David nella vita della famiglia Swinton – è contraddistinto da un carattere ora algido e spettrale, ora incerto e dubbioso: la pagina d’apertura per soli archi (“Cybertronics”) svela immediatamente la parentela con l’universo kubrickiano con un richiamo alla ninna nanna del balletto “Gayaneh” di Aram Khachaturjan, utilizzata da Kubrick in 2001: Odissea nello spazio per la sequenza degli astronauti della nave Discovery in viaggio verso Giove. Non è tuttavia soltanto un omaggio, ma piuttosto una dichiarazione di intenti da parte del compositore, che in questa pagina riesce a sintetizzare in modo assai efficace tutto lo spirito che pervade gran parte dell’opera, pervasa da analoghe incertezze tonali. I brani successivi presentano infatti un universo sonoro fatto di atmosfere vitree (“David’s Arrival”, “Of Course I’m Not Sure”, “David Studies Monica”, “Reading the Words”), dove l’organico è ridotto quasi sempre ad archi, legni, pianoforte e sintetizzatori, con interventi sporadici di arpa e celesta, ammantando i personaggi e la narrazione di un carattere costantemente inquieto, stemperato solo in rare occasioni da accorati assolo di oboe e corno inglese. Williams presenta tuttavia già in questa fase una buona parte del materiale tematico che fa da architrave dell’intera partitura. Il personaggio di David è accompagnato da due figure tematiche: la prima è una linea melodica incerta e malinconica, affidata quasi sempre al pianoforte, che pare dipingere il destino di solitudine del robot-bambino (“Wearing Perfume”); l’altro tema è invece un motivo saltellante costruito su un ostinato ritmico altrettanto sghembo (“Hide and Seek”) che pare quasi voler mettere in musica la natura “robotica” del protagonista. In tutto questo, Williams esplora registri talora persino allucinati e distorti (“David and the Spinach/The Operating Scene”, “The Scissor Scene”, “The Pool Rescue”), dove qualunque appiglio emotivo o sentimentale viene disperso in una nebbia di armonie incerte e colori slavati. Anche il “tema dell’abbandono” viene introdotto nelle sequenze iniziali (“David Studies Monica”, brano escluso dal missaggio finale del film), sebbene trovi il suo sviluppo più compiuto appunto nella scena dell’abbandono di David da parte della madre adottiva Monica (“Monica’s Plan”, “Abandoned in the Woods”). E’ infatti a partire da questo turning point narrativo che Williams estende la gamma dinamica e timbrica della partitura, chiamando a raccolta tutte le sezioni dell’orchestra e arrivando ad un crescendo di grande intensità (che belli quei disperati accordi ribattuti del pianoforte in cima al “tutti” orchestrale al termine di “Abandoned in the Woods”). Il febbrile ostinato ritmico che accompagna la sequenza introduce un altro carattere distintivo della partitura, ossia l’influenza di matrice minimalista (in questo caso vicina ad alcune composizioni di Philip Glass), che Williams sviluppa ulteriormente e in modo ancora più spettacolare in alcune pagine successive.
La vicenda prosegue con la cattura di David da parte di umani spietati decisi a sterminare pubblicamente i robot in raduni populisti noti come “Fiera della Carne”. E’ la sezione del film forse meno riuscita, in cui Williams si fa saggiamente da parte, ad eccezione della sequenza della cattura di David, accompagnata con una delle sue moderne pagine d’azione (“The Moon Rising/The Biker Hounds”) sganciate da qualunque tipo di risoluzione melodica. David – convinto di voler trovare la Fata Turchina che lo trasformerà in un vero umano come Pinocchio – prosegue il suo cammino insieme ad un inaspettato compagno di viaggio, il robot-amante Gigolo Joe, un vero e proprio Lucignolo che lo condurrà a Rouge City, ovvero una originale ed inaspettata versione del Paese dei Balocchi concepita da Kubrick. In questa sequenza (“Journey to Rouge City”) Williams cambia nuovamente stile e introduce un’altra figurazione musicale di marca minimalista, questa volta ispirata a compositori come John Adams e Steve Reich, in cui archi, legni e strumenti a percussione creano un motore inarrestabile su cui Williams innesta una gustosa citazione di uno dei celebri valzer del “Rosenkavalier” di Richard Strauss, creando un altro legame con l’universo musicale di Stanley Kubrick. Ma è nella sequenza del viaggio di David e Joe verso Manhattan (“The Mecha World”) che l’ostinato minimalista raggiunge vertici di grande intensità: Williams costruisce una vera e propria piramide musicale, affastellando timbri, colori, armonie fino ad arrivare ad un climax di enormi proporzioni, in cui spicca soprattutto il virtuosismo richiesto a flauti e ottavini; è il volto del Williams epico e sinfonico, ma trasfigurato in questa circostanza da un carattere minimalista allora inedito per il compositore (troveremo infatti ulteriori sviluppi di questa cifra stilistica in lavori successivi come Minority Report, Memorie di una geisha e La guerra dei mondi). Partendo da una suggestione narrativa (il legame tra stile minimalista e robotica), Williams si appropria di un lessico per lui nuovo, lo introduce nel suo magistero compositivo e arriva a farlo proprio, secondo una prassi che ricorda le “appropriazioni” di Igor Stravinskij.
La quest di David continua e giunge ad un altro punto di svolta, nella sequenza in cui prende consapevolezza di essere soltanto un tassello di una produzione industriale di robot identici a lui. In questa sequenza spettrale (“Replicas”), Williams sceglie di richiamare il mondo musicale di Ligeti, utilizzando le sue tipiche tessiture micro-politonali nel coro e nell’orchestra, rinforzando nuovamente la parentela con le sonorità kubrickiane. Tuttavia il compositore cambia nuovamente abito e forma, introducendo nuovi temi e nuovi stili nelle sequenze successive. In “Finding the Blue Fairy”, David si trova finalmente di fronte alla Fata Turchina nelle profondità di una Manhattan sommersa dalle acque oceaniche, ma si tratta soltanto di una statua. Williams crea uno stato di totale sospensione e si avvicina ai territori della fiaba musicale, scegliendo la voce umana per accompagnare la “preghiera” di David. Viene dunque presentato il tema della Fata Turchina, un vocalizzo per soprano (Barbara Bonney) etereo e profondamente malinconico, forse una delle melodie più dolorosamente belle mai uscite dalla penna del compositore e con esso cala il sipario sul secondo atto del film, suggerendo l’umore musicale generale che accompagnerà le battute finali del film.
L’ultimo atto è ambientato duemila anni dopo: il pianeta Terra è ormai completamente ghiacciato, l’umanità è definitivamente estinta e i robot si sono evoluti in super-creature intelligentissime alla ricerca di tutte le tracce capaci di ricondurre ai loro “creatori”. Siamo dunque dalle parti di 2001, anche se Spielberg sceglie di enfatizzare il lato fiabesco e più innocente del racconto. Williams ne segue l’umore e in “Journey Through the Ice” troviamo prima un bellissimo vocalizzo per coro misto (che ben descrive il religioso stupore dei “supermecha” di fronte all’ultima traccia della presenza degli uomini sul pianeta), a cui seguono ulteriori richiami alle tessiture di Ligeti, anch’esse cariche di una imprevista spiritualità. Ma dal brano “Stored Memories” fino al termine della partitura, Williams sceglie di abbandonare qualunque tipo di incertezza tonale, sottolineando invece il carattere pienamente melodico e rassicurante dei suoi temi. Il pianoforte diventa protagonista, spesso in ruolo di solista, e con lui il tema di Monica (o forse sarebbe più corretto chiamarlo il tema dell’amore di David per la mamma): una lunga melodia divisa in due parti, profondamente cantabile e cullante, quasi una ninnananna, accompagnata però da un basso continuo di due note che ci ricorda costantemente la natura robotica del protagonista. In queste battute finali Williams consegna momenti sinceramente commoventi (“What is Your Wish”, quasi morriconiano nella sua essenzialità melodica e armonica) e parentesi cameristiche degne del compositore classico più sensibile (si ascolti il dialogo tra arpa, violoncello e celesta in “The Specialist Visits”). E nella lunga pagina finale (“The Reunion”), l’idillio tra sogno e realtà di David, finalmente riunito alla madre, è affidato quasi esclusivamente al tema di Monica, eseguito dal pianoforte con asciutta essenzialità capace però di comunicare un profondo senso di struggente riappacificazione. Ed è sempre al tema di Monica che tocca chiudere lo score sui titoli di coda, in una commovente versione per soprano e orchestra (“Where Dreams Are Born”) che è quasi un lied senza parole (e lo stesso di può dire di “A.I. Theme”, bellissima versione da concerto per soprano e orchestra del tema della Fata Turchina). E’ davvero singolare che Williams scelga il pianoforte e la voce umana per sublimare una storia che parla di robot e artificialità, ma forse è proprio grazie alla sua musica così sincera e partecipe che il film riesce a comunicare un senso di profonda universalità dei sentimenti e delle emozioni umane (indipendentemente se provate e vissute da macchine piuttosto che da esseri umani). In questo senso A.I. è davvero un film marchiato in modo indelebile dalla firma intima e profonda di Spielberg e Williams più che da quella del compianto Kubrick. L’arco narrativo e l’architettura musicale generale possono ricordare quello di Incontri ravvicinati del terzo tipo e, sebbene A.I. non possieda forse la stessa compattezza e fluidità di quella partitura, è il lavoro recente di Williams che più gli si avvicina in termini di poetica ed espressività. L’eclettismo e la varietà dell’opera tuttavia richiamano anche la poliedricità stilistica quasi “schizofrenica” di una colonna sonora come L’impero del sole. In sintesi, è un Williams particolarmente predisposto a un accompagnamento musicale capace di aprirsi a un vastissimo ventaglio espressivo
Il terzo disco presenta una serie di estratti alternativi di alcune pagine che non differiscono di molto dalle loro controparti filmiche, ma che rivelano, seppur attraverso piccoli dettagli, il particolare lavoro di cesello svolto da compositore e regista nella ricerca del più giusto accompagnamento musicale. Tra i bonus tracks più curiosi vale la pena citare il brano “Inside Dr. Know” (brano di musica diegetica per sintetizzatore assolutamente imprevedibile), ma anche la versione da concerto di “Abandoned in the Woods” (originariamente pensata come pagina per i titoli di coda), nonché un arrangiamento pop in forma di canzone (con testo scritto da Cynthia Weil) del tema di Monica cantato da Lara Fabian e Josh Groban (“For Always”). Come sempre lodevole il lavoro di assemblaggio e masterizzazione svolto dall’eccellente Mike Matessino, così come le approfondite liner notes firmate da Jeff Bond e l’ottimo lavoro di graphic design e packaging ad opera di Jim Titus. E allora fateci dire grazie a La-La Land per averci regalato ancora una volta un’edizione davvero definitiva e di riferimento di un altro capolavoro della collaborazione tra Steven Spielberg e John Williams.