Regression & In the Heart of the Sea

Roque Baños
Regression (Id., 2015)
Lakeshore Records LKS 34520
21 brani – Durata: 65’26”

Roque Baños
Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick (In the Heart of the Sea, 2015)
Water Tower Music
16 brani + 6 bonus tracks – Durata: 88’51”

Ateo dichiarato ed entusiasta, omosessuale altrettanto dichiarato, attratto sia dai risvolti metalinguistici del thriller (Tesis) che dal fanta-horror (Apri gli occhi, The Others), così come da tematiche di battagliera laicità (Mare dentro, Agorà), il cileno Alejandro Amenábar annovera fra le curiosità del suo profilo anche quella di essere stato sino a qualche anno fa il musicista dei propri film, entrando così in quella non vastissima pattuglia di registi-compositori (Clint Eastwood, Mike Figgis, John Carpenter, Robert Rodriguez, John Ottman, per non parlare del grande precedente di Charles Chaplin) che accentrano su di sé i due ruoli con risultati talvolta disomogenei ma sempre interessanti.

Tuttavia da Agorà (2009, che ha musiche del nostro Dario Marianelli) Amenábar sembra aver abbandonato questa prassi che, almeno per quanto riguarda The Others, aveva portato a risultati ragguardevoli, preferendo indirizzarsi a compositori specializzati e collaudati. Tale può senz’altro definirsi nel genere horror-thriller (cui Regression di diritto appartiene) Roque Baños, indubbiamente il musicista spagnolo più in vista del momento ormai anche a livello internazionale, come attesta lo score parallelo per il kolossal avventuroso e paraletterario di Ron Howard Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick. L’eclettismo quasi trasformistico di cui sta dando prova Baños (da segnalare anche le musiche per la commedia corale Ochos apellidos catalanes di Emilio M. Lázaro, sequel del fortunato Ochos apellidos vascos del 2014, stesso regista ma musica di Fernando Velázquez) non gli impedisce naturalmente di riservare il meglio della propria ispirazione in patria a quel genere ”border line” che da Fragile a La casa (vetta insuperata di terroristico virtuosismo orchestrale), passando per le Pelìculas para no dormir, costituisce per lui un terreno di elezione: qui il maestro spagnolo trova infatti il prezioso equilibrio poetico tra le esigenze e gli elementi caratteristici di una partitura per film che vivono di tensione, paura e angoscia, e la propria vena fluentemente classica, sinfonico-melodica, arricchita da una propensione leitmotivica di straordinaria freschezza e immediatezza, che egli tende a sfruttare per caricare di pathos emotivo, intimo dolore e umano smarrimento le vicende che si svolgono sullo schermo. In sintesi ciò significa che Baños non si accontenta mai semplicemente di spaventare l’ascoltatore (cosa in cui peraltro riesce come pochi altri) ma lo vuole avvolgere in un clima di profonda malinconia, dove la paura spesso cede il passo ad un senso di solitudine e mistero. Sono i sentimenti espressi per esempio dai due temi – soprattutto il secondo – portanti di Regression, così come appaiono in “Opening” e “The shattered family”: entrambi, ma specialmente il secondo, hanno la struttura di nenie discendenti e sconsolate, spesso sostenute da pedali immobili di archi sugli armonici. In particolare la seconda idea sembra diffondersi viralmente per tutto lo score, acquisendo un valore simbolico-ossessivo di grande effetto; ma il compositore si spinge oltre nella ricerca di soluzioni anticonvenzionali, come il ticchettio dell’orologio che si confonde con sinistre evoluzioni dell’orchestra in “John’s regression” e “Roy’s bedroom”, mentre il tema n.2 si offre a variazioni cupe e vagamente religiose, come nell’esposizione dei celli di “They’ll kill me”, cui segue peraltro il primo tema accennato al piano. Con rarissime eccezioni il suono dell’orchestra, che l’autore dirige come al solito con certosina perizia, si spinge raramente oltre il mezzoforte; la tensione, e a tratti il terrore, scaturiscono piuttosto dall’interazione fra i due temi principali ed effetti strumentali tanto semplici quanto risolutivi (in particolare per gli archi impegnati in glissandi raggelanti e sonorità innaturali), come in “Angela’s statement”, dove interviene anche una voce lontana e cantilenante.
Baños non perde mai di vista la “struttura”, l’architettura complessiva dello score, conferendo ad ogni pagina – anche la più ad effetto o “raccapricciante”, come “Night call” – un andamento unitario, omogeneo e razionale; inoltre, nessun altro compositore è capace come lui di lasciarsi andare a momenti di struggente, tipicamente mediterraneo lirismo come in “A way to confuse you”, dove il primo tema è inizialmente protagonista di una accorata versione dei violini, per poi disperdersi in echi spettrali e minacciosi pedali dei bassi.
Ebbene, è proprio questa visione d’insieme, coesa da poche ma forti idee, che sembra invece difettare nello score per l’ambizioso blockbuster marinaresco di Ron Howard: non perché manchi la suggestione di una partitura avventurosa e sinfonicamente quasi vintage nel suo assaporare i piaceri di un’orchestrazione ariosa, ampia (korngoldiana, verrebbe da dire) e i risvolti del consueto, torrenziale tematismo; ma perché il tutto si muove in un’orbita decisamente più convenzionale, risaputa, di puro ancorchè altissimo mestiere. Manca insomma la scintilla dell’inquietudine, sostituita da una diligente, raffinatissima compilazione di stereotipi: per esempio l’apertura di “Arriving Nickerson’s lair” sfodera un tema solennemente imperioso nei celli, di chiara aspirazione eroica, cosparso tuttavia di bagliori sinistri. Spunti folkloristici e di calore percussivo si affacciano in “Chase walking Nantucket”, mentre “Farewell” svela l’intatto, coinvolgente melodismo del compositore. Ma “Essex leaving Harbor”, nella sua andatura martellata e marziale, presta il fianco a evidente critiche di “zimmerismo” di riporto, anche se la predilezione di Baños per il rilievo dei comparti orchestrali (qui in particolare gli ottoni, caricati di wagneriano spessore) lo mette al riparo da facili ripieghi di maniera. “Blows”, ad esempio, è una pagina di magistrale costruzione ritmica, con un sapientissimo utilizzo delle percussioni, così come l’irreale “Homecoming” sembra riportarci, nell’alternanza tra effetti spettrali e melodismo etereo sfociante in un cantabile struggente e di disarmante emozione, alla vena più fantastica del compositore. Nelle pagine di pura azione come “The attack” Baños non si tira indietro, scatenando l’orchestra in eruzioni sonore incontenibili, ma forse l’epica non è una dimensione che gli si addice completamente, a meno che essa non sia velata di enigmatica complessità o meditabondo sconforto, come nell’adagio per archi di “The story is told” o nella voce evocativa, quasi sirenica, di “The white whale chant”.
Partitura ricchissima e impegnativa, Heart by the Sea di fatto non contiene probabilmente elementi sufficienti a suscitare nel musicista quella mescolanza felice di angoscia e sentimento che è il suo tratto distintivo, ma che sembra finora appannaggio prevalente del cinema europeo, e dei turbamenti di cui questo si fa portatore.

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