Dark Waves - Bellerofonte

cover dark wavesAlexander Cimini
Dark Waves - Bellerofonte (2016)
Kronos Records KRONCD073- Edizione limitata 300 copie
16 brani + 1 bonus track – Durata: 59’11”

Siamo di fronte al terzo (in ordine di distribuzione, non di realizzazione, visto che le riprese risalgono a quattro anni fa) capitolo di una fantatrilogia che, con i precedenti Red Krokodil e Doll Syndrome, conferma in Domiziano Cristopharo la personalità più coerente e rigorosa capace oggi di muoversi da vero indipendente nell’accidentato terreno del cinema di genere, fra complesse simbologie, fortissime pulsioni oniriche e psicoanalitiche, con un talento visionario eccezionale e una ricchezza linguistica ai limiti del barocco.

Si è già avuto più volte occasione di annotare come fra i non secondari meriti del cinema di Cristopharo vi sia anche quello di aver tenuto a battesimo il talento emergente di alcuni giovani compositori di solida formazione accademica, imbevuti di cultura classica ma profondamente innovativi e di larghe ambizioni: è il caso di Kristian Sensini, Susan DiBona, Salvatore Sangiovanni e, appunto, di Alexander Cimini, che per Cristopharo ha già scritto lo score pluripremiato di Red Krokodil.
 Horror anomalo, di ambientazione mediterranea e arcaica ma rappresentato in chiave moderna, Dark Waves è un nuovo banco di prova per il quarantenne compositore tedesco di nascita ma italiano di adozione, e costituisce forse sino a questo momento lo sforzo più notevole e diretto del musicista nella direzione di quel romanticismo moderno, “critico” che è la sua cifra stilistica prevalente. Sin dalle prime note del “Bellerofonte main theme” infatti, affidate ad una severa melopea del corno solista seguito dalla limpida voce sopranile di Monica Boschetti, appare evidente l’intento lirico della partitura, in netto contrasto con qualsiasi facile tentazione effettistica di “scary music”. Un’impostazione, quella di Cimini, che passa attraverso un accorato tema principale (dilagante in tutta la sua irresistibile potenza emozionale in “The tower”, ancora grazie al ruolo della voce femminile forse in qualche modo memore dei vocalizzi morriconiani di Edda Dell’Orso) e che riluce in un’orchestrazione sontuosa, densa soprattutto nel comparto degli archi; il trattamento di questo tema, semplice e toccante, si rivela di grande raffinatezza nella trascrizione per arpa e piano di “Wine like blood”, arricchito da una perizia contrappuntistica e da una scrittura severa, raccolta, che aborrisce l’enfasi e preferisce ritrarsi in meditazioni solenni, di sapore mahleriano, come in “The arrival”, scandito dal rintocco funebre dei timpani. Traspare insomma anche da questo score quel sentimento del dolore, del disfacimento e della perdizione che erano già riscontrabili in Red Krokodil e che qui, fra reminiscenze herrmanniane (“The fog”) e limpide quanto sorvegliate aperture liriche (“Fragments of memories”), sovente affidate al piano dello stesso Cimini o al dialogo squisitamente classico tra il violino di Roberto Noferini e il cello di Sebastiano Severi, tocca vertici di intensa emozione.
 Il tributo che Cimini versa all’aspetto più “di genere” è in linea con l’impostazione anticonvenzionale e diciamo così “psicovisuale” dell’horror secondo Cristopharo: ossia vi prevale l’aspetto onirico, delirante nel senso letterale, su quello banalmente terroristico o scioccante. Ne discende che anche le pagine più movimentate (come la drammaticissima “The secrets revealed”) vibra di una tensione passionale, inquieta, in un alternarsi di accordi minori violenti e imperiosi con filamenti solitari e smarriti dei violini (aggiungiamo che raramente, nella recente musica per film, si è sentito utilizzare con tanta perizia e intensità il settore degli strumenti ad arco). Anche la tensione, dunque, e financo la paura sono interiorizzate fra mille sfumature nella musica di Cimini, divenendo un moto dell’animo più che una superficiale sollecitazione dei sensi; e comunque è l’aspetto romantico, emotivo e lirico a prevalere costantemente, come nel breve ma bellissimo “Farewell” che inizia con l’assolo di cello e prosegue col canto femminile o nel pianistico, soave e struggente “Memories lost in the sea” dei titoli di coda.
 Tutto questo pregevole materiale è compulsato nella conclusiva “Bellerofonte concert suite” di quasi nove minuti dove, svincolato da costrizioni di sincroni, il compositore può lasciare libero corso alla propria vena concertistica, grazie ad una scrittura sofisticata ed in una sapiente ricapitolazione dei temi principali – giocati prevalentemente tra violino e violoncello ma con il contributo essenziale del piano – in quello che appare come un saggio quasi di scuola del sincero e radicato, ma non meramente accademico bensì costantemente rielaborato e rivissuto, classicismo di Cimini.
 In linea (ma anche in autonomia) con questo climax si pone il breve ma incisivo bonus track conclusivo del “Love song (Opening title”) composto da Marco Werba: pagina aspra, spigolosa e politonale che si muove fra dissonanze pianistiche, contrappunto del cello e successivo, perturbante intervento degli archi, sino a un crescendo stringente che, più che concludersi, sembra interrompersi bruscamente e minacciosamente. Congedo perfetto per un film che, come ha osservato Marco Minniti su “Quinlan”, più che un horror tradizionale è «un malinconico ed originale melodramma. Cupo e minaccioso nelle premesse, quanto aperto nell’approdo».

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