Dove non ho mai abitato & Via degli Specchi

cover dove non ho mai abitato

Pino Donaggio
Dove non ho mai abitato (2017)
Quartet Records QR295
15 brani – Durata: 36’13”

cover via degli specchi

Pino Donaggio
Via degli Specchi (1982)
Music Box Records MBR-123
12 brani + 6 bonus tracks – Durata: 39’15”

Un ulteriore tassello va ad aggiungersi all’affascinante puzzle che compone la personalità artistica di Pino Donaggio. Di lui conosciamo i trascorsi classici, intimamente legati alla stagione del barocco veneziano, poi la carriera internazionale di cantautore, poi ancora l’ingresso trionfale nella musica per film, ramificato nei generi più diversi: thriller, horror, avventura, commedia, western, peplum, fantasy, film politico, televisione…
 Ciò che ci svela invece la partitura per il quarto lungometraggio di Paolo Franchi (La spettatrice, Nessuna qualità agli eroi, E la chiamano Estate) è un lato che definire “minimalista” sarebbe forse improprio, a meno di non intendere come tale non tanto l’ossessione per microstrutture iterate e autosufficienti che caratterizza compositori come Glass o Nyman quanto una costante, coerente e intensa sottrazione espressiva, un’assenza radicale di retorica o enfasi (d’altronde mai ricorrenti in Donaggio), un pudore ed una sobrietà di eloquio straordinariamente attenti, ed un’economia di interventi musicali estremamente parsimoniosa e perciò ancora più efficace e risaltante, in un’epoca di film – italiani e non – farciti di musica inutile dal primo all’ultimo minuto.

 Del resto il film del regista bergamasco, non a caso formatosi alla scuola di Ermanno Olmi, è  una “non storia d’amore”,  com’è stato definito, vicenda di solitudini e di vuoti affettivi incolmabili che si prestava ottimamente a simili opzioni espressive, e che ha trovato nel compositore veneziano e nel suo lirismo malinconico, nella sua ritrosia emotiva, nella sua semplicità ma profondità di scrittura, una corresponsione ideale.
 Colpisce innanzitutto la lineare, limpida tessitura orchestrale, dominata dagli archi severi e concentrati, e affidata alla Bulgarian National Symphony Orchestra sotto la sensibile e partecipe direzione di Gianluca Podio. I lievi tocchi di arpa e vibrafono sul “fa” acuto dei violini che introducono l’accorato tema del violoncello e poi degli archi in “Verso casa” ne sono un’eloquente riprova iniziale, ponendo a confronto due idee tematiche (ascendente e discendente) che s’incrociano in un andamento mesto e rassegnato; anche “La piazza vuota” sembra vagare nell’indeterminatezza armonica e psicologica, con l’intervento dolcissimo di un flauto (cui subentrano i tenui disegni del clarinetto in “La fontana”), così come “Le cose cambiano”, che però ripropone con pacata insistenza il tema principale circondandolo con i rintocchi del vibrafono. Le pagine, quasi tutte brevissime ma tutte concluse, s’inseriscono con intelligenza nelle pause del dialogo, e si basano su soluzioni di francescana essenzialità: note lungamente tenute, sommessi arpeggi del piano (“Storie di infanzia”), dialoghi strumentali asciutti e penetranti fondati preferibilmente su adagi degli archi, appena mossi da spunti melodici e note vaganti del piano (“Ritorno dal padre”, “Commemorazione”).
 Dunque se di “minimalismo” sui generis si può parlare, è lecito farlo solo nel senso dell’adozione rigorosa e coerente di uno stile sommesso e misurato, in una orizzontalità di scrittura fluente e meditativa (si ascolti il bellissimo “Il fratello”) che può tranquillamente fondarsi sull’interscambio leitmotivico fra archi e piano (“Il giorno dopo”) evitando ogni ridondanza o inutile accumulo di materiali. Lo testimoniano i due brani apicali dello score, altrettanti autentici  gioielli: “Francesca” e “L’abbraccio nel dolore”. Il primo è un magistrale assolo pianistico affidato al tocco delicato e severo di Illiana Todorova, preziosa solista della partitura, e concepito come una sorta di “studio” chopiniano; il secondo, che corrisponde all’unico momento di libero, irrefrenabile scioglimento emotivo del film (l’abbraccio d’addio dei protagonisti sulla soglia dell’ascensore che li separerà per sempre), lascia ampio sfogo al tema principale ancorandolo alla sua tonalità di re minore aumentata ed assaporandolo in tutta la sua dolente comunicatività. Il conclusivo “Dove non ho mai abitato”, che è anche la traccia più lunga della partitura, riassume in forma libera i materiali preesistenti proponendo con particolare nitore e immediatezza il tema conduttore, che si conferma tra le più felici invenzioni melodiche recenti di Donaggio.
 In singolare coincidenza con l’uscita dell’etichetta spagnola, la francese Music Box Records riscopre un prezioso inedito donaggiano degli anni ’80 (sinora confinato solo ad un disperso 45 giri CAM dell’83 contenente la canzone principale, “Love is in my mind” su testo del sodale Paolo Steffan e affidato alla cantante canadese Rita Chiarelli, e sul lato B “Secret agent” cantato dal britannico Douglas Meakin, fondatore della band The Motowns). Via degli Specchi è un thriller a sfondo civile e psicologico molto accentuato, interpretato da Nicole Garcia, Heinz Bennent e dalla nostra Milva, scritto (con Jean Gruault) e diretto da Giovanna Gagliardo, figura di un certo peso del cinema italiano più impegnato e appartato dell’epoca, già compagna di vita e sceneggiatrice del grande Miklós Jancsó, maestro indiscusso del nuovo cinema ungherese affacciatosi a partire dagli anni ’60.
 La struttura del “giallo”, attraverso gli sforzi di una magistrata che indaga sulla morte di una giovane donna, unita agli elementi perturbanti e interiormente complessi che la permeano, offre a Donaggio la possibilità di una felicissima sintesi tra due atmosfere che ricorrono spesso nella sua filmografia: la suspense ipertesa, spinta sino all’ossessione, e la riflessione intima sulle caratteristiche dei personaggi. Anche in questo caso per le opzioni adottate si parla di “minimalismo”: a farlo è in primis lo stesso compositore nelle sue note di copertina, cui fa riferimento anche l’ampia scheda di Gergely Hubai. Ma ancora una volta il termine non va inteso nella sua accezione rigidamente schematica e accademica, bensì piuttosto in quella di una sottrazione emotiva, convogliata nella ripetizione significativa e ipnotizzante di una cellula tematica principale, ondulatoria e drammatica, esplicitata sin da ”Riflessioni” e sottoposta a numerosi processi variativi, il più elaborato dei quali è forse “Dialogo a due voci” affidato a un gioco di specchi (il riferimento al titolo non è casuale) tra arpa, piano e accordi staccati e ostinati in pianissimo degli archi. Questa liquescenza del suono, di apparente trasparenza, si trasforma all’occorrenza in inquietante paesaggio sonoro grazie all’utilizzo di una scrittura armonica dissonante e spregiudicata (“”Rivelazione”, “Omicidio non premeditato”), nella quale il musicista sembra far tesoro della parallela esperienza depalmiana: il tutto senza trascurare particolari occasioni per pagine volutamente retrò, come la popolaresca “Concerto al parco”.
 Del resto è lo stesso Donaggio, riascoltando 35 anni dopo il proprio lavoro, a sottolinearne giustamente gli aspetti tuttora indubbiamente coraggiosi e anticonvenzionali. Il pianoforte, ad esempio, oscilla tra aperture tematiche conversevoli, spericolate e aggressive variazioni (“Sognando un corpo che vola!”) ed episodi quasi percussivi (“Indecisione di un magistrato”) che sembrano guardare a Bartók e Prokofiev; mentre i tratti di brusca, quasi respingente avanguardia che lampeggiano in “I primi indizi” non avrebbero sfigurato in un film dei primi Bergman o Antonioni.
 Particolarmente interessanti poi i sei bonus tracks che offrono versioni alternative di alcune tracce precedenti, elaborandovi ulteriori e intriganti ricerche sul timbro – elettronica compresa - come in “Rivelazione”, oppure smascherando definitivamente la natura implacabilmente e dolorosamente stringente dell’idea melodica centrale in “Ossessioni”.
 Ecco quindi un ulteriore esempio del felice frutto scaturito dalla collaborazione tra il musicista e “l’altra metà del cielo” registico (Tina Rathborne, Cinzia Th Torrini, Petra Halffter e soprattutto Liliana Cavani): autrici non “mainstream” né facili, e con le quali il lavoro non dev’essere sempre stato facile. Ma che al compositore hanno offerto un’occasione, parole sue, «per aprirmi prospettive creative difficilmente sperimentate altrove». Detto questo, ovviamente, sappiamo che Donaggio è attualmente al lavoro sul nuovo thriller del “suo” Brian De Palma, Domino, un action-movie di terrorismo e dintorni interpretato dal duo de Il trono di spade, Nikolaj Coster-Waldau e Carice van Houten: il capitolo numero 8 di un sodalizio ultraquarantennale che ha marcato indelebilmente il percorso di entrambi.

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