Tulip Fever

cover tulip feverDanny Elfman
Tulip Fever (Id. - 2017)
Sony Classical 88985419202
18 brani – durata 42'57''



Per questo film, Danny Elfman sembra sia stato l'unico della troupe a concludere il lavoro in tempi regolari. Tulip Fever è stato inizialmente programmato nel 2004, poi effettivamente entrato in sviluppo tra il 2014 e il 2015, per la regia di Justin Chadwick su soggetto basato sull'omonimo romanzo scritto da Deborah Moggach. Il film era previsto per il 2016, poi posticipato prima per febbraio e poi per agosto 2017. Insomma, una lunga e travagliata post-produzione, di cui però Elfman sembrava l'unica certezza: la sua colonna sonora è stata pubblicata nel febbraio 2017, scritta circa due anni prima.

Il lavoro del compositore storico di Tim Burton sembra seguire, stavolta, una via di mezzo fra lo sperimentalismo minimalista e il sinfonismo più tipico del suo repertorio.
Il brano di apertura del disco, “Sophia’s Theme”, ci restituisce un approccio musicale del tutto inaspettato per un film drammatico ambientato nel Seicento barocco, il secolo in cui nacque appunto la musica “classica” propriamente detta, basti pensare a Bach o Monteverdi. In questi primi 4 minuti di musica Elfman ci presenta il leitmotiv della protagonista Sophia (Alicia Vikander), servendosi principalmente di un’orchestra d’archi, legni e pianoforte, con l’aggiunta di un tamburo etnico che ogni tanto scandisce il ritmo del brano senza essere mai troppo invadente col resto dell’orchestrazione. Queste prime pagine di musica fanno già trasparire gli stilemi tipici di Elfman: i violini sugli acuti, i rapidi staccati degli archi e i vocalizzi femminili che aprono il pezzo. In “Lost” predominano gli archi, con una connotazione drammatica per nulla scontata, che si muove su accordi maggiori e minori dando un senso di incertezza e tristezza: una traccia che all’ascolto muove decisamente i nostri pensieri verso qualcosa di profondo. ''Willem'' ci ricorda che Elfman è un abile tessitore di sonorità intrecciate, per cui una melodia è iniziata prima da uno strumento e continuata poi da un’altro, in modo progressivo. Lo sperimentalismo di Elfman lo si percepisce di più in “The Unveiling”, che inizia con una marimba (strumento a percussione della famiglia dello xilofono) che scandisce il ritmo per poi districarsi nell’orchestrazione, su cui si muovono prima rapidi intrecci di archi e pianoforte, per poi soffermarsi su una riflessione più silenziosa e quieta che ci permette di ascoltare sonorità e sensazioni diverse.
Forse Elfman ha tentato di darci un approccio meno personale e più tipicamente seicentesco in “The Streets” e “The Streets – part 2”, sfruttando costruzioni sonore e ritmiche più saltellanti e giocose. Un Elfman più incisivo e aggressivo, seppur moderatamente, lo troviamo in “A Storm is Coming”, “Devastation” e “The Wait”, seppur alternandosi con momenti di quiete o di tensione. “Ultramarine” è la testimonianza di quanto il compositore sia legato agli archi, che ormai sono la sua specialità come per John Williams lo sono gli ottoni: un minuto di puri passaggi armonici di violoncelli, viole e violini che partono in un punto e non si sa mai dove possano arrivare.  Si tratta di una di quelle composizioni in cui a Elfman piace prendere una strada senza mai sapere dove può portarlo, lasciandosi guidare sicuramente dal proprio intuito, restituendoci una musica spontanea e quindi più profonda. Accade la stessa cosa, in maniera più accentuata, per la traccia “The Reveal”.
“Nailed” sembra quasi un brano fuori contesto, forse per la troppa presenza di strumenti elettronici e pre-campionati di cui il compositore fa uso, nonostante si percepisca la sua intenzione di non sembrare mai scontato. “Maria’s Theme” è una traccia di 55 secondi dedicata al personaggio interpretato da Holliday Grainger, per il quale Elfman non ha pensato un vero e proprio leitmotiv, ma un discorso musicale che, pur nella sua brevità, riesce a creare un senso di grazia e gentilezza, che si riconosce tuttavia paragonato a tutte le altre tracce del disco, perchè forse è l'unica a non avere risvolti drammatici o pensierosi.
Tra tutti i momenti più tragici della score, uno più convenzionale ma più lungo e variegato è sicuramente “The Grand Finale”, uno degli ultimi brani del disco. ''Convenzionale'' perchè in questo caso Elfman non sperimenta nulla di nuovo, rispetto a come ha già fatto per il resto delle musiche che suggeriscono lo stesso tono drammatico, limitandosi a creare, in chiusura al brano, atmosfere non molto originali su cui predominano il pianoforte e gli archi. “Happy Family” sembra proprio erede del lavoro su Alice in Wonderland, grazie ai vocalizzi di una voce femminile che comunque ci ricorda di chi sono le note che stiamo ascoltando: Elfman negli ultimi anni ha cercato sempre di più di rendersi estremamente versatile come il suo idolo Bernard Herrmann, ma è impossibile comunque non riconoscere la sua vena stilistica.
Tuttavia questa score è uno dei pochi lavori recenti in cui possiamo sentire un Danny Elfman più libero di esprimere il suo talento, e ci conferma che egli ha ancora molto da dare all’industria cinematografica dei giorni nostri.

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