Valerian and the City of a Thousand Planets

cover valerianAlexandre Desplat
Valerian e la città dei mille pianeti (Valerian and the City of a Thousand Planets, 2017)
Europacorp, 3700551782109
32 brani – durata: 100’10’’

Nella tassonomia dei generi, la fantascienza possiede al suo interno una certa varietà di filoni e sotto-generi che hanno attraversato tutta la storia del cinema. Dal filone filosofico (2001 - Odissea nello spazio) alla fantascienza sociale (Elysium), dalla componente young-adult (Ender’s Game) al cinema più fracassone (Transformers), questo genere gode di una grande varietà di sfaccettature alle quali anche le musiche che compongono la cornice dei lungometraggi sembrano di volta in volta adeguarsi.

Dall'uso magnificente della musica di Strauss nel film di Kubrick, si passa a una musica quasi sacrale in film come Interstellar per giungere alle compilation pop-music anni '80 de I guardiani della galassia. Quasi tutti i grandi compositori americani di musica da film (da John Williams a James Horner, da James Newton Howard ad Hans Zimmer) si sono cimentati nell'opera di composizione di partiture per film di fantascienza. Con Valerian anche Alexandre Desplat per la prima volta si cimenta in un’opera prettamente ascrivibile al genere fantascientifico. Sebbene i risultati al botteghino non siano stati soddisfacenti, non si può non riconoscere a Luc Besson il merito di aver tentato di approfondire in Europa un genere prettamente americano (tanto che per gli effetti speciali si è affidato alla Weta Digital di Peter Jackson). Il compositore francese segue la strada tracciata dal regista cercando un incrocio tra i varie sottogeneri del macrocosmo fantascientifico. Ecco, dunque, che la score si compone di un’ampia parte musicale costituita da importanti successi della musica pop (riprendendo la tradizione de I guardiani della galassia) su cui svetta “Space Oddity” di David Bowie per passare da pezzi di Cara Delevigne (anche attrice nel film).
La chiave stilistica del compositore francese è sempre visibile per le sonorità tipicamente europee (come nel primo brano “Big Market”) che contraddistinguono le sue partiture. I brani di score, disseminati nel primo CD, danno un’idea di quanto detto. In “Bus attack” il linguaggio musicale si trasforma in qualcosa di più frastagliato, più vicino anche alle componenti statunitensi di un tessuto musicale di largo consumo. Indubbiamente, Desplat sembra essersi appiattito su un modo di fare musica basato su un continuo movimento centripeto senza un apparente centro. Infatti, in tutta la partitura manca un tema tramite il quale individuare l’identità musicale della partitura. In “Arriving Alpha” e in “Spaceship chase”, troviamo la continuazione del medesimo discorso ma è nel secondo brano citato che il Desplat europeo sembra prendere le distanze dal vortice “uniformante” delle score di fantascienza-azione del cinema più prettamente americano. Si badi bene, infatti, che Valerian, seppur ispirato alle pellicole Made in USA, rimane comunque un prodotto europeo e Desplat dal canto suo cerca di mantenere anch’egli un profilo musicale consono, sebbene le sirene del lato fracassone sono sempre dietro l’angolo.
In “Medusa”, sembrano riecheggiare stilemi alla Trevor Rabin che presto lasciano il posto a delicati movimenti di archi in “Pearls on Mul” dove per la prima volta sembra possibile individuare una componente tematica non propriamente sviluppata che si perde in un vibrante movimento di ottoni e legni. La mancanza di una precisa identità musicale è visibile anche nei successivi brani dove vi è una mescolanza di sonorità (compresa quella orientale in “Reading the memo” e quella tecno in “Showtime”) che però mancano di un centro di gravità ben preciso.
La score diviene un susseguirsi di momenti musicali dalla varia natura, dalla componente più movimentata (“Valerian in trouble” e “Pearl’s attack”) a un andamento più solenne, fornito dall’uso del coro sul quale si innesta la corsa dei fiati ai quali si uniscono gli archi in “Valerian’s armour”, dove non mancano nemmeno elementi di elettronica. Un’atmosfera strumentalmente più rarefatta e di attesa la possiamo scorgere in “Submarine” sulla quale si apre uno squarcio lirico (il primo della partitura) in “Shoot” il quale però trova poco spazio. Con “Fishing for butterflies” e “Le souper du roi” e “Boulanbator combat” un tessuto più ruvido ritrova ampio spazio sul palcoscenico musicale imbastito da Desplat la cui regia però torna presente in “Bubble” dove gli archi eseguono note lunghe e melanconiche alle quali fanno da compagni i fiati e un uso minimale del piano. La medesima rilassata e distesa componente, che si mischia a ottoni e percussioni del brano “Pearl’s world”, la possiamo ritrovare nei brani finali “I am a soldier” e “Pearl’s power” dove, tra l’altro, si inserisce una componente epica e magniloquente che fino a qui non era stata presente. Tutte queste componenti trovano un ultimo spazio nel brano conclusivo “Final combat” nel quale, ovviamente, predomina uno sviluppo agitato che, dopotutto, costituisce la parte prevalente di tutta la score.
Alexandre Desplat ha dato così il suo contributo al cinema di fantascienza, intrecciando tematiche musicali tra loro differenti e non riuscendo sempre nell’intento di amalgamare tutte le sezioni messe in gioco. Certamente il risultato non è memorabile ma in ogni caso è godibilissimo negli andirivieni musicali che il compositore francese ha creato. Valerian, dunque, non passerà alla storia del cinema così come la sua partitura non sarà ricordata nella storia di musiche per cinema ma, bisogna sempre tenere in alta considerazione, le sperimentazioni che, per quanto possano essere di dubbia qualità, hanno il grande pregio di aver osato.

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