Leo da Vinci: Missione Monna Lisa

cover leo da vinciMarco Fedalto
Leo da Vinci: Missione Monna Lisa (Leo da Vinci: Mission Mona Lisa, 2017)
Various Artists B0799SSWGC
48 brani + 2 canzoni – Durata: 67’39”

Da oltre un quarto di secolo, il Gruppo Alcuni, originariamente costituito a Treviso nel 1973 come compagnia teatrale da Francesco e Sergio Manfio con Laura Fintina, persegue quella che potremmo definire ”una via italiana” al cinema di animazione. Si tratta di un itinerario nel quale confluiscono una concezione ancora artigianale e appassionatamente umanistica dell’universo cartoonistico, un intento chiaramente pedagogico e didattico rivolto soprattutto ai più giovani ma scevro da qualsivoglia pedanteria, e uno spirito d’avventura dal respiro ampio e scanzonato. Un mix decisamente originale ed efficace, che gli Alcuni hanno esplorato in numerosi lavori televisivi (le serie Ciak Junior e Cuccioli) e più recentemente anche sul grande schermo, tra l’altro riprendendo la serie Cuccioli e ora con questa spassosa e stravagante, movimentata variazione sulla figura del genio di Vinci, avvicinato nella sua adolescenza a caccia di emozioni, sostenute da un estro inventivo e creativo sfrenato.

 Compagno di strada degli Alcuni è da tempo il giovane e talentuosissimo Marco Fedalto, autore di diverse loro partiture televisive e compositore dalle ambizioni decisamente vaste e sorprendenti. Fedalto pratica infatti quel tipo di scrittura musicale rarissima nel cinema italiano, basata su orchestrazioni rigogliose, colori accesi, ritmi incalzanti e sfruttamento intensivo di ogni risorsa timbrica disponibile. Il tutto unito ad una rara felicità d’invenzione melodica, che gli consente ad esempio qui di individuare e sviluppare ben quattro temi principali: il tema del protagonista, svettante in corni e archi sin da “Opening scene” e “Botte’s race”, un’idea gagliarda ed eroica che non sfigurerebbe in qualche blockbuster hollywoodiano; il tema di “Lisa”, costruito su una scala discendente e dall’imprinting spiccatamente romantico, con archi fluviali introdotti dalla fisarmonica saltellante di Luca Piovesan; il tema del “Pirate Boss”, essenzialmente ritmico e ostinato, dalla struttura piuttosto coriacea; ed infine il tema di Fly, ambiguo e sospeso come il personaggio, caratterizzato da una minacciosa fissità e indeterminatezza armonica.
 Attorno a questa intelaiatura non poco impegnativa, Fedalto compone un affresco dinamicissimo, inarrestabile, costruito per frammenti a volte brevissimi (durata massima di una traccia tre minuti e mezzo, molte sotto il minuto) che però saldati insieme formano un caleidoscopico puzzle nel quale il compositore sembra soprattutto divertirsi a setacciare in lungo e in largo le qualità della magnifica compagine strumentale di cui ha potuto disporre, l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, fra le massime formazioni italiane, sotto la direzione scintillante e vivacemente partecipe di Roberto Molinelli. Questo spiega la straordinaria mobilità della scrittura, che in pochi secondi (“Good luck”) alterna tratti umoristici, dispiegamenti melodici e ariose aperture epiche; ma svela anche il suo divertito gusto per il citazionismo, come nel fulminante “Scafandrus”, che sembra una via di mezzo tra il Rota di Otto e mezzo e lo Stravinsky di “Petruška”, o nel sinistro “Damned palace”, i cui cromatismi oscuri dei legni lasciano spazio a inserti solistici trasognati del violino e ad una sapiente variazione del tema di Leo.
 Ma tutta la partitura è un viaggio avventuroso dagli esiti mai prevedibili, fra improvvisi cambi di passo, repentine e brusche accelerazioni, altrettanto improvvise pause, in un quadro di irrequietezza formale che in realtà cela un grande governo della materia musicale, adeguandola tuttavia alla scapicollata andatura del film, senza arretrare dinanzi ad effetti di “mickeymousing” o di pura e semplice comicità (il glissando a scendere dei tromboni in “Strange encounters”). Tutto insomma scorre qui a velocità supersonica, in un rimpallo costante e spregiudicato tra le sezioni (notevole anche l’uso della percussione, dai timpani ai tamburi allo xilofono, e della celesta), ed in un fittissimo dialogo tematico che rivela in Fedalto anche un maestro nell’arte della variazione.
 La possibilità poi di racchiudere in pochi secondi un’intera ”situazione”, lungi dal mettere in difficoltà il compositore, sembra spronarlo verso un sincretismo particolarmente idoneo alla situazione (“Flying the sea”, “Dopes”), quasi egli avesse assorbito – aggiornandola – la lezione di alcuni grandi maestri della musica da cartoon disneyana o warneriana come Frank Churchill o Carl W. Stalling. Ne consegue che anche gli “effetti” (i tremoli sul ponticello degli archi in “Sharks”) sono finalizzati all’atmosfera complessiva e ad una visione d’insieme che non è solo coesa dalla compresenza dei quattro temi sopra ricordati, ma da un tessuto timbrico e da uno stile unitari e personali.
 Il fantasismo orchestrale di cui il musicista si dimostra pieno possessore viene dunque posto al servizio della “filosofia” del film, che si rivolge sì ad un pubblico giovane, ma parla in realtà anche ad una platea potenzialmente adulta e ansiosa di apprendere. C’è infatti anche in questa score qualcosa di intrinsecamente didattico, si direbbe accademico ma senza l’alone a volte negativo che accompagna questo termine: in realtà si tratta di una sapienza architettonica che passa attraverso l’utilizzo instancabile delle ricchissime risorse dell’orchestra (si ascolti un brano come “Minacce” o il rapidissimo frammento “Tensione”) per esprimere e restituire climi, situazioni e personaggi di respiro assai profondo. Un po’ come avveniva per il Goldsmith di Brisby e il segreto di Nimh.
 Un isolato, lunare episodio vocale (il soprano di “Elegy for Leo”), qualche veloce, esterna e spiazzante parentesi “disco” (“Hip hop in the market” e “Tell me why”, di Sergio Manfio, rispettivamente con gli InputLevel Studio e Lorenzo Tomio & Stefano Lenzi) si inseriscono con divertita e consapevole estraneità in una partitura che sarebbe facile definire “vintage” e che si conclude con i gioiosi, ottimistici “End credits” dopo aver assaporato in lungo e in largo ogni possibile risorsa ed ingrediente di un linguaggio musicale che – lo ripetiamo – in Italia non è parlato da molti. E se è stato acutamente osservato come la musica di Marco Fedalto lo apparenti quasi ad un Bruce Broughton, ci permettiamo di aggiungere che forse è un paragone che potrebbe anche andargli stretto.

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