Conan the Barbarian

cover conan le barbare reeditionBasil Poledouris
Conan il barbaro (Conan the Barbarian, 1982)
e altre pagine di colonne sonore del compositore
Milan Records 399 990-2
21 brani – Durata: 78’ 59’’

A più di trent’anni dalla prima edizione, e dopo le versioni estese di altre etichette, la Milan ripropone la sua versione di 49 minuti della lussuosa score orchestrale di Basil Poledouris per il film Conan il barbaro, celeberrimo fantasy epico firmato John Milius che ha lanciato Arnold Schwarzenegger.

Nonostante sia oltremodo apprezzabile il lavoro svolto dalle case discografiche Varese, Intrada e Prometheus nell’averci fornito più ampio materiale di studio per quest’opera – e nel caso della Prometheus anche un’esecuzione molto superiore a quella originale – la suite edita dalla Milan mantiene un fascino unico nella sua stringatezza; l’operazione ha poi il pregio di aggiungere 9 bonus tracks provenienti da altre tre colonne sonore di Poledouris (tre tracce per ognuna), ovvero quelle per Alba rossa, Addio al re (entrambi sempre di Milius) e Robocop di Paul Verhoeven; titoli che comprovano la predilezione del compositore, prematuramente scomparso nel 2006, per il cinema epico e d’azione, e che mettono in luce – qualora l’ascolto delle musiche per Conan il barbaro non fosse bastato – i pregi ma anche i limiti del suo stile. Così, se di Farewell to the king si apprezza la sapiente coloritura etnica e di Robocop la commistione di ritmi synt e timbri orchestrali, lo stesso non si può dire del tronfio pompierismo di Red Dawn, in cui Poledouris sembra sforzarsi continuamente di riesumare il Goldsmith di Patton, generale d’acciaio; ma non bastano ritmi dispari e una marzialità appena oscurata da accenti funebri per eguagliare il genio di quel compositore. Analogamente, tornando a Conan the barbarian, si potrebbe polemizzare che la scrittura modale e l’imponente uso di ottoni non giustificano da sé quel confronto con l’opera di Miklos Rozsa che troppo spesso è stato fatto in sede di analisi di questa partitura.
L’unico versante in cui il paragone può apparire in parte legittimo è quello dell’invenzione melodica: i motivi scritti da Poledouris per Conan sono in effetti memorabili. “Prologue/Anvil of Crom” ne presenta due: il primo, enunciato dai corni dopo l’introduzione della voce narrante, è possente ed eroico e si caratterizza anche per un incedere irregolare scandito dalle percussioni (tra cui spiccano i timpani); il secondo, agli archi, è un’accorata melodia in modo eolio che fungerà da leitmotiv per Conan e che risulterà oggetto di alcune variazioni operate in base alle diverse necessità narrative; a tal proposito, se appare sostanzialmente inalterata la riesposizione che compare nella prima parte di “Riddle of Steel/Riders of Doom”, preceduta da una suggestiva modulazione alla dominante (Sol maggiore) che accompagna l’insegnamento iniziatico del padre di Conan, i ritorni del tema in “Love Theme” e in “The Funeral Pyre” ce lo presentano in una veste nuova e più conforme al soggetto delle due scene di riferimento, ovvero l’amore del mitico eroe per la ladra Valeria. Ma neanche in tali mutazioni viene meno quella concezione unitaria che pervade gran parte del lavoro: la variazione presente in quelle due tracce rimane la stessa dal punto di vista melodico, pur dipanandosi attraverso una diversa armonizzazione che garantisce la necessaria differenziazione di tono.
Anche le scene di battaglia presentano tra loro lo stesso percussivo e scolpito commento (la seconda parte di “Riddle of Steel/Riders of Doom” e “Battle of the Mounds, Pt. 1”): una concitata pagina per coro e orchestra costellata da progressioni da manuale; e in generale tutte le situazioni più movimentate vengono ridotte musicalmente a un rigore quasi soffocante (persino “The Orgy”, vivace pagina scandita dal tamburello). Naturale conseguenza di tale quadratura formale è la capacità di cogliere non tanto la lettera quanto il senso complessivo di ogni sequenza. Nella score non mancano momenti placidi e distensivi (il bellissimo tema di “Theology/Civilization” o quello di “The Love Theme”) o ancora positivamente avventurosi (“The Search”), ma il clima generale è quello di una compostezza fortemente intrisa di fatalismo (l’andatura supplichevole degli archi in “The Gift of Fury” o quella sincopata della seconda parte di “Column of Sadness/Wheel of Pain”), in fin dei conti la chiave stilistica ideale per catturare quello scarto fra descrittiva freddezza e violenza immersiva che rimane la qualità più rilevante del capolavoro di Milius.  

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