Florence Foster Jenkins

cover florence foster jenkinsAlexandre Desplat
Florence (Florence Foster Jenkins, 2016)
Decca Records B002495102
18 brani + 5 brani classici + 2 canzoni – Durata: 63’51”

A differenza di quanto sostengono le biografie più indulgenti, Florence Foster Jenkins (Wilkes-Barre, 1868 – New York, 1944) non era “una cantante sprovvista di qualsiasi talento”. Questo si può dire di una comprimaria qualunque o di un soprano di terza fila senza particolari doti che ne tramandino la memoria.

 No, Florence Foster Jenkins, ricca ereditiera newyorkese che aspirava in verità alla carriera di pianista, era quella che per parafrasare la serie Boris si può definire una “cagna maledetta”. O se preferite una gallina strozzata, priva dei benché minimi requisiti di emissione e intonazione, che ha massacrato un intero repertorio lirico con soave indifferenza e incoscienza, nel compiacimento ipocrita e interessato di un marito-sfruttatore e della buona società dell’epoca, che la blandiva e adulava sollecitandone i favori. La sua popolarità a rovescio deriva proprio dall’essere stata, inconsapevolmente, la cartina di tornasole della doppiezza conformistica di una classe sociale parassitaria, prosperata nei salotti e sostanzialmente sorda (eticamente prima che anatomicamente) a qualsiasi stimolo culturale, a meno che questo non potesse tradursi immediatamente nell’acquisizione di qualche ulteriore privilegio.
 Dunque una vittima, in fondo, destinata nei decenni a divenire un’autentica icona del “trash”: il che, considerato il credito di cui gode oggi questa categoria, spiega la sua recente fortuna in libri, serie tv, documentari e film. Tra i quali si segnalano Marguerite (2015) di Xavier Giannoli, con Catherine Frot, che ne trasporta la figura nella Parigi degli anni ’20, e questo film di Stephen Frears con protagonista Meryl Streep. La quale, essendo dotata in proprio di doti (anche) canore eccellenti (come dimostra nella splendida versione di “When I have sung my songs” di Ernest Charles, un classico del ’34) , ha dovuto sforzarsi non poco per restituire gli obbrobriosi miagolìi dell’originale, come si può constatare nei brani operistici contenuti nell’album, fra cui spicca un’allucinante Seconda aria della Regina della Notte dal “Flauto magico” mozartiano: di cui in ogni caso, per chi amasse farsi del male, è disponibile sul web anche una registrazione dell’originale…
 Tra ironia e compassione, il soundtrack infierisce abbastanza su questo aspetto, ad esempio laddove si pongono a confronto le due versioni dell’”Aria dei campanelli” dal secondo atto della “Lakmé” di Léo Delibes: la prima offerta dalla voce dorata di Aida Garifullina, l’avvenente giovane soprano kazako che qui interpreta il leggendario soprano Lily Pons, in un arrangiamento curato da Terry Davies, che si è accollato l’arduo compito di supervisore di tutta la parte musicale classica del film, comprendente anche pagine di Wagner, Liszt, Chopin, Bach e altri; la seconda appunto da Streep-Jenkins!...
 Ma quel che qui è più interessante annotare è il ricercato contrasto tra le pagine di repertorio, necessariamente “sconciate”, e la score originale di Desplat. Se in Marguerite il collega e conterraneo Roman Maillard - per la parte che gli compete - s’intromette fra un’aria e l’altra indirizzandosi verso uno stile astratto, moderno e vagamente gelido, con movenze che sembrano guardare a barocchismi essiccati e scostanti, qui Desplat prende invece a riferimento il jazz suadente e discorsivo dei Roaring Twenties e dei fulgidi Thirties, adottando uno di quei procedimenti di mimetizzazione stilistica che sappiamo essergli familiari. Così, il brano di apertura omonimo del film ha un abbrivio carezzevole e danzante, smagatamente salottiero; al pari, i blues e i sincopati di “Bribing” e “Socialité”, che esibisce un sinuoso tema principale discendente di sapore orientaleggiante ripreso poi in “McMoon”, puntano ad ammorbidire la sottile cattiveria del film (lavorando spesso con Frears, Desplat dev’essercisi abituato…), sino ad ottenere con “Florence and Whitney” una specie di “notturno amoroso” delicato e affettuoso.
 C’è ovviamente un intento sdrammatizzante e partecipe nei confronti della protagonista, tutto sommato incolpevole ostaggio di una classe sociale cinica e farisaica; una condivisione affettiva che a tratti abbandona la veste jazzistica come nel denso e vibrante fraseggio degli archi, d’impianto operistico, della breve e bellissima “Sing Madame Florence”. Proprio l’idea tematica contenuta in quest’ultima pagina, struggente e malinconica, ritorna in “Bedtime” con un’unica enunciazione in forma molto rallentata, a connotare la fragile intimità della protagonista. Ma la spiritosa, saltellante “For Toscanini” riprende il tema di “Socialité”, denotando una vena parodistica ravvisabile anche in “On radio” e che addolcisce anche “Going to Kathleen’s”, inizialmente dedicato al solo piano. In realtà va proprio a tutto merito di Desplat l’umanizzazione del personaggio, con tocchi delicati e una strumentazione raffinatamente discreta (archi e legni), come in “St.Clair’s blues”, mentre il ritorno del tema principale assume in “The Post”, grazie allo staccato degli archi e al clima sospeso, colorature di autentica suspense.
 Naturalmente a questa vena fa costantemente ombra quella grottesca, quasi caricaturale, come in “Carnegie Hall”, sorta di musica circense alla Nino Rota, e “The audience”, pezzo di virtuosismo per fiati sostenuti dalle percussioni. “After reading” però, dopo una prima parte sempre tesa, si scioglie appassionatamente negli archi a esporre l’ accorato tema di “Sing Madame Florence”: archi che si raccolgono poi in una meditazione quasi cupa, luttuosa in “I think I am going to read”, lasciando ad un blues d’impianto classico per piano, batteria e contrabbasso, “For the love of the music”, il compito di una conclusione che – a cominciare dal titolo - non si sa se accogliere come una dichiarazione speranzosa d’intenti o un soprassalto finale di pietà…

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