Manchester by the Sea

cover manchester seaLesley Barber
Manchester by the Sea (Id., 2016)
Milan Records 399 875-2  
10 brani + 1 canzone + 5 brani classici – Durata: 44’15”     


     
Affidare alla musica il compito di “sacralizzare” vicende e personaggi improntati a drammatica laicità, ricorrendo ad autori classici, è una procedura non infrequente nel grande cinema d’autore del passato: si pensi alle opere di Bergman, Dreyer o Pasolini. Ora, il paragone è insostenibile nel merito, ma nel metodo qualcosa di simile si ritrova nelle scelte compiute dal regista e sceneggiatore (Gangs of New York) statunitense Kenneth Lonergan e dalla compositrice canadese Lesley Barber per questa amara, silenziosa e disillusa storia di solitudini e rimorsi a confronto.

Peraltro, la Barber è una delle più sensibili e sofisticate musiciste per il cinema, dal linguaggio scarno e sottotraccia, ma emotivamente coinvolgente: come dimostrato in partiture quali quella per l’horror The Moth Diaries, ma soprattutto per il toccante melodramma lesbico When the Night is Falling e per il letterario Mansfield Park, entrambi della regista sua compatriota Patricia Rozema (e sua ex-compagna: Barber e Rozema sono infatti apertamente omosessuali e insieme hanno avuto due figli). Probabilmente è proprio da questo legame privato che la Barber ha tratto almeno in parte ispirazione, avendo dichiarato infatti di essere stata influenzata dagli inni calvinisti che i Puritani portarono nel New England del XVII secolo (e i genitori della Rozema erano rigidi calvinisti olandesi).
Se ne ritrova ad esempio un palese riscontro nel “Manchester by the sea chorale”, che si offre alla limpida voce del soprano Jacoba Barber-Rozema (figlia della ex-coppia) con nitore adamantino e spartana linearità melodica, appoggiata su accordi tenuti dei violini, secondo un andamento ipnotizzante e antisentimentale che rivela la predilezione – dichiarata – della musicista per padri del minimalismo come Steve Reich o Philip Glass. Un’ascendenza confermata nel ricorrente “Manchester Minimalist piano and strings”, dove secchi accordi appaiati degli archi (che diverranno il vero leit-motif della partitura) girovagano seguiti da un pianoforte ornamentale. Ancora più “spirituale”, quasi evocativo di riti abbaziali, suona il “Plymouth chorale”, mentre “Smoke” riprende il tema conduttore ma in una chiave più desolata e insieme solennizzante, in cui il quartetto d’archi si aggira intorno ad un accordo suscitando atmosfere decisamente funebri. “Floating 149”, nella versione a cappella e poi per archi, è forse la pagina che declina con più decisione influenze sei-settecentesche, laddove la “String reprise” del “Manchester minimalist” sembra concedersi almeno nelle modulazioni armoniche a palpitazioni emotive più forti, e la successiva “Variation”, nell’insistenza dell’ostinato di archi, risveglia almeno sul piano ritmico alcune energie sinora costrette in secondo piano, pur non discostandosi totalmente dai due o tre accordi di base.
La “Smoke reprise” per basso e archi rappresenta invece un breve ma intenso adagio suffragato da un fraseggio intenso, al contrario del congedo della “Manchester by the sea strings reprise”, che immobilizza i violini in un lungo pedale delegando a celli e bassi lente e irrisolte volute incertamente melodiche.
Ma c’è poi da render conto del ricco parterre di brani, classici e non, che si integra nel soundtrack e che sicuramente nelle intenzioni di regista e compositrice devono concorrere a quel sentimento di catarsi e di faticosa redenzione che attraversa la storia dei protagonisti. Si tratta di una variegata tavolozza di cui fan parte, ciascuno con il proprio ruolo nei risvolti del racconto, Bob Dylan e Ryan Taylor, Ray Charles e la promettente Linda Martinez, compositrice e strumentista morta suicida a nemmeno 30 anni nel 2005. Ma nell’album trovano spazio – giustamente - lo Haendel del “Messia” e soprattutto del primo, struggente movimento dalla Sonata per oboe e pianoforte, oltre – in una sequenza centrale - il celeberrimo Adagio di Albinoni nella revisione di Remo Giazotto. Pagina quest’ultima sulla quale occorrerebbe tuttavia istituire una moratoria relativamente al suo utilizzo cinematografico... Ma si ascoltano anche la deliziosa “I’m beginning to see the light” in duetto fra il gruppo afrojazz The Ink Spots e Ella Fitzgerald, nonché un’aria dal “Cherubino” di Massenet dalla voce aurea del soprano statunitense June Anderson.
Un insieme che rivela molto sullo spessore che gli autori hanno voluto imprimere al film, e che trova nelle pacate pagine di Lesley Barber un elemento di perfetta, ancorché sempre personale, integrazione.

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