Mary Shelley

cover mary shelleyAmelia Warner
Mary Shelley (Id., 2017)
Universal Music Classics/Decca Gold
19 brani – Durata: 38’44”

L’universo cantautoriale femminile di provenienza britannica continua a produrre new entries nel mondo della musica cinematografica: dopo Mica Levi è ora la volta della 36enne Amelia Warner, che sul palco si esibisce con lo pseudonimo di Slow Moving Millie ma che è nota anche come attrice di talento, vista nella serie Waking the Dead e in pellicole quali Mansfield Park, Æon Flux - Il futuro ha inizio e Il risveglio delle tenebre.

Il dato interessante è che queste compositrici-neofite, all’atto di affrontare la dimensione delle colonne sonore, non si accontentano di traslocare sugli schermi il proprio talento pop ma ambiscono a qualcosa di più complesso e impegnativo, con score d’impianto sinfonico, elettronico o misto, sempre però all’insegna del commento stringente e drammaturgicamente motivato, anziché della prevedibile compilation di canzoni. La Warner del resto lo aveva già dimostrato con il suo esordio del 2016 nel settore, ossia la partitura struggente e partecipe di Mum’s List – La scelta di Kate, duro e straziante melodramma di Niall Johnson su una giovane madre malata terminale che cerca di preparare la propria famiglia ad elaborare l’imminente lutto.
Qui invece il romanticismo è anche culturalmente molto più diretto e letterariamente motivato, giacchè l’opera seconda (dopo l’acclamato La bicicletta verde) della regista saudita Haifaa al-Mansour, prima donna ad impugnare la macchina da presa nel proprio paese tanto ricco di petrolio quanto troglodita in materia di diritti umani, è una sontuosa produzione anglo-american-lussemburghese focalizzata sul tormentato amore tra la futura autrice di “Frankenstein”, nata Mary Wollstonecraft Godwin, e il poeta Percy Bysshe Shelley, da lei sposato nel 1816: figure che insieme a Lord Byron e John William Polidori formano il nucleo generatore di quel romanticismo gotico inglese fiorito in Gran Bretagna nella prima metà dell’800. Un mondo e personaggi già affrontati sullo schermo, se ricordiamo ad esempio le Mary Shelley interpretate da Natasha Richardson in Gothic (1986) di Ken Russell e da Sally Hawkins nel tv movie Byron (2003), rispettivamente recanti score di Thomas Dolby e Adrian Johnston: per non parlare qui della smisurata fortuna cinematografica toccata alla sua celebre “creatura”…
Questa impostazione narrativa ci anticipa subito un elemento essenziale: non siamo dinanzi ad un film né ad una score di genere horror, bensì ad una classica vicenda di area romantica attraversata da presagi e fantasmi (Mary amava recarsi spesso in cimitero per concentrarsi) e soprattutto - tema molto a cuore della regista - imperniata sul profilo pre-femminista, combattivo e financo vendicativo della protagonista: un’antesignana di lotte per l’emancipazione che sarebbero esplose solo un secolo dopo ma che lei seppe in qualche modo anticipare e convogliare, insieme ai propri incubi, proprio in quel “mostro” letterario, figlio anche della vulcanica relazione con Shelley. Ne consegue che l’approccio della Warner è anch’esso assai più psicologico e interiore che ad effetto, più misterioso che spaventevole. Esempio lampante è il tema che apre “Mary Shelley”, una cantilena vocale femminile di angelica fattura e di immediata memorizzazione, come accade ai leit-motifs di levatura superiore. Del resto è proprio la tavolozza timbrica sui cui opera la Warner a fare la differenza: perché orchestra (prevalentemente archi con un pianoforte aggiunto), elettronica e voce dialogano costantemente su un registro irreale, onirico (“Storm in the stars”, “Rights of women”), ma all’occorrenza lasciando il dovuto spazio alle varie componenti. Gli archi ad esempio si animano e si confrontano coi legni in ampi arpeggi romantici con “Mary’s decision”, senza mai pretese affermative ma evocando un’intermittenza di sentimenti che è poi la medesima in cui si dibatte la protagonista.
Analogamente fasi di celestiale, trasognata impalpabilità (la celesta di “It’s time we left this place”) si alternano a parentesi decisamente più inquietanti (“An unreal mystery”) ottenuti con sobrio utilizzo delle tecnologie - soprattutto nel riverbero o nella dilatazione degli interventi vocali – e il ricorso ad un lirismo vagamente “ambient” che può ricordare alcune pagine di Vangelis; ma va anche rimarcata la chiarezza di idee che la Warner dimostra sia nell’orchestrazione (il delicato scambio clarinetto-flauto che chiude “Bloomsbury”) che nell’organizzazione melodica, gestita spesso con cenni allusivi e sfumati (“Mary meets Percy”).
La partitura appare adagiata su un terreno emozionale privo di spigoli e irregolarità, delegando a qualche particolare frangente un maggior dinamismo, come il brioso “King’s cross” o il valzerino pianistico da luna-park “Caged bird”. In “Mary’s nightmare” tuttavia riappare il tema vocale iniziale di Mary, ma iterato e arabescato in rimandi e intrecci continui, sino ad allargarsi con l’intervento in crescendo degli archi per acquisire uno statuto drammatico inappellabile: a tale proposito di tutto rilievo appare “The book”, la pagina decisamente più accalorata e sinfonicamente ricca della score, fondata anch’essa su un disegno ricorrente degli archi sostenuto da terzine pianistiche e condotto ad un complesso sviluppo variativo. Ma se “Seance” concede nettamente qualcosa all’horror music – peraltro sempre all’insegna di un understatement esemplare, senza effettacci ma ricorrendo a sapienti intrecci di dissonanze – “Scotland” propone invece un altro intenso tema di sapore nostalgico, mentre “None of this will matter at all” torna a trasportarci in dimensioni sonore eteree e inafferrabili, così come il finale “Lost in darkness and distance” sembra brevemente riaprirsi ad un empito romantico, sigillato però da un ultimo, flebile vocalizzo. Nel mezzo fra gli ultimi due c’è però “Clara”, severo e persino cupo momento di concentrazione, nel corrucciato fraseggio degli archi, in una partitura che sembra fare proprio il celebre aforisma di Goethe: «dove la luce è più forte, l’ombra è più nera».

Stampa