The Foreigner

cover foreignerCliff Martinez
The Foreigner (Id., 2017)
Sony Classical
15 brani – Durata: 46'04”

Vi sono compositori la cui stretta affiliazione a registi dalla forte individualità ne produce quasi automaticamente l'esportazione dello stile anche in altri contesti o per autori diversi. Cliff Martinez è senz'altro uno di questi.
Trent'anni di sodalizio con il cinema camaleontico e sofisticato di Steven Soderbergh e, molto più recentemente, l'incontro con le visioni filmiche disturbate e disturbanti di Nicolas Winding Refn hanno infatti radicato nel 64enne maestro newyorkese un linguaggio inconfondibilmente algido, “alieno” e inquietante, che passa attraverso il ricorso praticamente esclusivo all'elettronica ma con un rigore formale, con intenti ed esiti espressivi sconosciuti alla maggior parte dei suoi colleghi.

 La prima e più vistosa conseguenza di quesrto metodo è che Martinez può definirsi tutto tranne che un “musicista d'azione”, perlomeno nel significato più convenzionale del termine. Non si ravvisano nelle sue partiture gli abituali e ormai lisi stereotipi del genere, né sul piano ritmico né su quello timbrico; in realtà non si riscontrano nemmeno leit-motifs di facile orecchiabilità ma nemmeno gratuite valanghe di cluster o proliferazioni incontrollate di effetti sussultori. Eppure le sue score funzionano anche nei contesti di maggior tensione, meglio se suscitata con mezzi e in contesti fuori dal comune, in ogni caso estranei all'asfissiante logica dei blockbuster: si pensi, per fare un esempio recente, a quella sorta di parodia allucinatoria della musica da videogame che è il suo soundtrack per Game Night – Indovina chi muore stasera?.
 Precedente a questo era anche The Foreigner, tratto dal romanzo di Stephen Leather, amara e corrusca storia di vendetta e spionaggio con Jackie Chan in un ruolo insolitamente drammatico e, accanto a lui, l'ex-007 Pierce Brosnan, che ritrova qui il regista di Goldeneye Martin Campbell. Che ci sia azione è evidente, ma che il clima sia più oscuro e tormentato che superficialmente muscolare, ce lo rivela subito “Landscape gardener”, un assemblaggio stringente di alte e basse frequenze dalla ritmica martellante e con un effetto di chitarra elettrica galvanizzante; né da meno è “Sign it out”, che ricorda dappresso lavori come Neon Demon o Contagion, con l'enucleazione di un sound extraterrestre, di provenienza e decifrazione difficilmente individuabili, dalla scansione inesorabilmente regolare e con un baricentro tonale di terrea fissità. Con una abilissima manipolazione delle fasce di suono ed una ripartizione ritmica particolarmente eccitante, Martinez si dimostra in grado di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, riuscendo ad accumulare strati su strati di tensione (“Wired to blow”), ed imprimendo all'occorrenza delle accelerazioni (“He jumped off the roof”) di calibratura e precisione ingegneristiche.
 Nessuna sorpresa che in una score e in un film siffatti manchi quasi del tutto una componente melodica o più genericamente “umanistica”: anche se la melliflua, ipnotizzante impalpabilità su cui volteggiano brani come “Another bombing” ma soprattutto la fascinosa “Daughter's room” testimoniano di una vocazione lirica, intimistica – ma pur sempre orgogliosamente antinaturalistica e antisentimentale – del compositore. Elemento che trova conferma nell'atteggiamento estatico e contemplativo di pagine come “Observe and report”, che ricorda certi passaggi di Solaris o Drive, a conferma di quanto annotavamo all'inizio, e dove comunque la contrapposizione dei registri (l'ostinato percussivo basso, lo stridulo e perforante disegno acuto) assume un ben preciso ruolo e profilo di comunicazione psicologica. Una tecnica confermata e accentuata in “She used you”, insieme scintillante e luttuoso, con alterazioni dinamiche interne continue e spaesanti, ma coerenti con una visione omogenea e implacabile del paesaggio sonoro, torturato e instabile eppure a suo modo affascinante.
 Ma del resto è questo l'universo musicale in cui si muove ormai da decenni colui che fu tra le altre cose anche il batterista dei Red Hot Chili Peppers, e che oggi ci ha abituati a lunghe immersioni in mondi sonori di cui avvertiamo razionalmente la pericolosità ma dai quali istintivamente non riusciamo a distogliere l'ascolto.

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