Heartless

cover heartlessDavid Julyan
Heartless (2009)
Screamworks Records SWR-11003
14 brani – Durata: 41’40”

Nella sua collaborazione con la parte iniziale, quella migliore, della filmografia di Christopher Nolan, l’inglese David Julyan ha avuto modo di mettere a punto uno stile particolarmente severo, sobrio, ellittico, permeato di colori orchestrali scuri e di un linguaggio misterioso e fascinosamente gravido di tensione. Si parla delle partiture per i primi corti del regista londinese, Larceny e Doodlebug, e poi per Following ma soprattutto Memento e Insomnia, nonché The Prestige: prima, cioè, della “sbornia” batmaniana e dell’impatto con il panzer zimmeriano nei due ambiziosi ma irrisolti kolossal Interstellar e Dunkirk (con la dovuta eccezione di quel capolavoro, filmico e musicale, che è Inception).

Questa forte impronta d’autore ha condizionato il compositore anche nel resto della sua non copiosissima filmografia, soprattutto sul versante horror (The Descent 1 e 2), nel quale Julyan si muove non ricorrendo al solito repertorio di facili effetti terrorizzanti o presunti tali, ma evocando atmosfere striscianti, insinuanti, con ritmi pacatamente opprimenti e timbri sinistramente opachi.
 Proprio nello stesso anno di The Descent part 2 si collocava anche questo inquietante e doloroso horror-thriller scritto e diretto da Philip Ridley con Jim Sturgess nei panni di un giovane fotografo dall’enorme voglia a forma di cuore che gli marchia il corpo, protagonista di una discesa – anche questa – agli inferi che lo porrà a tragico confronto con i propri dèmoni interiori. Una vicenda, come si evince, di spessore eminentemente tragico e psicologico, categorie in cui Julyan dà comunemente il meglio di sé. Per ottenere questo risultato però il compositore sceglie una strada opposta a quella battuta più spesso dai suoi colleghi: ossia limita l’effettismo a pochi interventi di sound design elettronico molto calibrato e rarefatto, perlopiù confinato a continue pulsazioni intrecciate e riverberate o a manipolazioni complesse e labirintiche dei piani sonori (“Demons in the dark”, “Journey to Cendrillon”), e si rivolge invece con maggiore attenzioni ad un trattamento sofisticato e sorvegliato dell’orchestra – qui in particolare archi – lavorando sui pianissimi e su un fraseggio delicatamente terrificante, come nel pressoché silenzioso “Papa B”.
 In realtà la score si poggia su un magnifico, ancorché piuttosto isolato, tema principale dei celli (“Main titles”), dall’incedere sofferto e pensoso, riproposto in una serie di variazioni appena percettibili e associato a intensi sviluppi contrappuntistici (“Magical tree”) di nobile, solenne lirismo e di scrittura squisitamente classicheggiante. La sovrapposizione di queste due componenti (archi ed elettronica), in una spartizione netta e razionale, crea un effetto di disorientamento psicologico non solo perfetto per la storia ma di grande suggestione espressiva, incrementata da alcune cristalline, smarrite note del pianoforte e da un’architettura dei brani che si sviluppa lungo fasce continue e avviluppanti di suono (“It’s ten o’clock”); il canto degli archi intorno al motivo conduttore (“You’re beautiful”) assume agevolmente una funzione catartica, redentrice, a tratti quasi liturgica, mentre l’implosione hi-tech di pagine come “Papa B returns” o “Run, Jamie, run!”, che ricorda dappresso alcuni momenti di Insomnia, lascia rapidamente il posto a tonalità da autentico requiem come “I’m not afraid”, superba pagina per archi fondata su un’estrapolazione accordale del leit-motif che alla fine si diluisce in una coda celestiale dei violini divisi, spenta nel lontano rimbombo dei synth. Una perorazione che si dispiega accoratamente in “So many stars”, nel lamento struggente del violoncello solo sostenuto con passione a piena orchestra, e che si estingue nel brevissimo “Into the dark”, di nuovo su accordi semplici e filamentosi dei violini.
 Una lezione di stile, questa di Julyan, con l’unico parziale limite di un’eccessiva parsimonia nell’inventiva tematica e nell’elaborazione dell’idea centrale: ma che ci svela molto della classe di un compositore la cui produzione è per fortuna di qualità inversamente proporzionale alla quantità.

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