Rabbia furiosa – Er Canaro

cover rabbia furiosaMaurizio Abeni
Rabbia furiosa – Er Canaro (2018)
Digitmovies CDDM298
39 brani – Durata: 69’01”

Lo aveva battuto sul tempo di qualche mese, ma nondimeno Rabbia furiosa – Er Canaro, terza regia a lungometraggio del “Tom Savini italiano”, ossia Sergio Stivaletti, già sodale di Dario Argento ed esperto di effetti speciali gore, è rimasto decisamente all’ombra di Dogman di Matteo Garrone: entrambi ispirati all’allucinante delitto del “Canaro della Magliana”, avvenuto nel 1988 a Roma e ampiamente ricostruito dalle cronache recenti.

 Facile intuirne la ragione: quanto Dogman è un film autoriale, notturno e cupamente interiorizzato, persino fiabesco nella struttura, altrettanto Rabbia furiosa è uno slasher in piena regola, truculento quanto serve (cioè molto), pauperista e orgogliosamente “di genere”. Ma a dimostrare quanto la musica per film si diverta a volte a complicare le cose secondo modalità imprevedibilmente stimolanti, ecco le rispettive partiture. A Garrone è toccato Michele Braga, brillante e rigoroso compositore nostrano della generazione dei quarantenni, in realtà lui sì molto versato nei generi più diversi, dalle commedie di Verdone sino all’exploit fenomenale di Lo chiamavano Jeeg Robot;  Mentre il “sanguinario” Stivaletti torna ad affidarsi per la terza volta a Maurizio Abeni, che non è solo l’attento e sensibile direttore d’orchestra di molte tra le più recenti score di Pino Donaggio, ma è anche compositore in proprio duttile e fantasioso (il suo album di canzoni partenopee “Once upon a time in Napoli”, FM Records, è tra i dischi italiani più belli degli ultimi anni), e che per Stivaletti aveva già creato due partiture estremamente raffinate per i suoi radicali horror M.D.C. Maschera di cera e I tre volti del terrore; capace tuttavia di incursioni nei contesti più diversamente impegnativi, come per il documentario Con la furia di un ragazzo di Franco Giraldi, dedicato alla storica figura del segretario della FIOM e della CGIL Bruno Trentin.
 La prima sorpresa di Rabbia furiosa è la tonalità complessiva della partitura. Trattandosi di fatto di un horror senza sconti, ci si aspetterebbe una pesca a strascico nel vasto mare di effetti elettronici, soprassalti, colpi bassi e quant’altro (pensiamo, in questo caso davvero “con orrore”, a cosa avrebbero combinato in un simile contesto molti compositori d’oltreoceano!). Viceversa ci si trova dinanzi da subito (”Una città chiamata Roma”) ad un orecchiabilissimo tema conduttore per chitarra e fischio, qualcosa che sembra uscito dagli stornelli dei barcaroli trasteverini, tra Lando Fiorini e Gabriella Ferri, o dai titoli di coda di qualche western italiano minore degli anni ’60. Non un tema “pulp”, dunque, piuttosto un tema genuinamente “pop”, che Abeni modula in lungo e in largo all’occorrenza trasformandolo (“Ritorno a casa”, “Fabio e Anna”) in autentica, toccante elegia. In realtà è solo il biglietto da visita introduttivo di una score che viaggia costantemente sul registro della malinconia bucolica, della nostalgia e di un solitario lirismo melodico, affidato ad un organico rarefatto e molto ben dosato, dal sapore vagamente vintage (si vedano il flauto di Pan, molto utilizzato, di “La periferia” e “Una droga nuova” o ancora il piglio, stavolta consapevole, da western de “Lo sceriffo”).
 La delicatezza del tocco strumentale e il frequente ricorso a movenze da balera di provincia non impediscono però ad Abeni di contrarre il percorso musicale in momenti di esplicita tensione, con improvvisi tremoli degli archi, minacciosi sibili e scariche elettriche, (“Effetti della droga”), impennate metal (“Combattimento di cani”) o scudisciate da brivido (“Morte Black e incubo”, che si apre con una reminiscenza da “Shine on you crazy diamond” dei Pink Floyd). Ma il paesaggio evocato, al netto delle efferatezze di Stivaletti (il cui cinema da regista è monoliticamente orientato a dimostrare quanto ci sappia fare nel suo settore di elezione), è e rimane costellato di mezzetinte assai più che di rosso sangue, e si ripiega in momenti di meditazione interiore come “Solitudine del commissario” per pianoforte: lo stesso strumento che poi dialoga con la chitarra nel tema principale in “Allucinazioni sonore” per disperdersi infine in arpeggi trasognati e ondivaghi.
 Chiamando in causa anche l’organo, e tornando all’espediente del fischio (“Esecuzione dello sceriffo”, “Ricordo dello sceriffo”), Abeni si ricollega poi alle atmosfere da spaghetti-western, e trova momenti di intensa pietas nel sussurrante “Funerale per un cane”, a contrasto con il breve ma violento percussionismo di “Ribellione”. Ammirevole, in generale, risulta la grande varietà espressiva delle pagine – spesso inferiori a un minuto – che in un ventaglio di climi, dalla più allarmante tenebra sonora (“Nuovi effetti della droga”) sino ad una ritualità astratta e metafisica (gli accordi chitarristici su un pedale dissonante di archi di “Quasi un duello”), passando per l’ironia volutamente goffa di un valzerino stonato (“Preparativi della tortura”), costruisce un situazionismo musicale spaesante e sempre sorprendente. Così, la purissima horror music di “Ti saluta Anna” convive agevolmente con l’esemplare “Valse macabre”, di ascendenza vagamente rotiana e dalla scrittura di impeccabile progressione grottesca.
 All’elettronica, convogliata in solenni e funebri quanto profondi rintocchi, tocca calare il sipario con “Adesso tocca a me” e “Ultimo atto rabbia furiosa”, mentre per il bizzarrissimo finale del film, “Lettere dall’aldilà”, un flebile accenno del leit-motiv viene assorbito da un coro angelicale per defluire poi nell’intenerito intervento della chitarra. Quasi naturale, infine, che il tema principale si riappropri interamente della sua valenza di canzone sentimentale e popolare nella versione proposta in dialetto dalla cantante Giulia Annecchino, “Un bacio d’amore”: non è solo l’amaro e beffardo sigillo “romantico” ad una delle più truci vicende della cronacaccia nera italiana ma anche, in fondo, una specie di carezza gentile e comprensiva che il compositore rivolge ad un mondo tanto miserabile quanto feroce, e tanto dannato quanto – in fondo – innocente.

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