Ant-Man and the Wasp
Christophe Beck
Ant-Man and the Wasp (Id., 2018)
Hollywood Records
25 brani – Durata: 56'14”
Nel mare ormai molto magnum della Marvel, il primo Ant-Man aveva rappresentato musicalmente parlando un insperato episodio di piacevole discontinuità; il collaudato Christophe Beck sembrava avervi recuperato un gusto sinfonico retrò, molto anni '70, plasmato su uno svettante e sapiente tema principale ed elaborato in una partitura mutevole e sorprendente, senza un attimo di respiro ma anche capace di interludi lirici distesi e sofisticati.
Il miracolo non si ripete del tutto nell'inevitabile sequel, purtuttavia Beck continua a dimostrarsi uno dei pochi in grado di padroneggiare superbamente il “Marvel sound”, cui peraltro tocca l'ingrato compito della ricerca di qualche elemento inedito in una fabbrica della fantasia che da tempo sembra averne esaurito le scorte. Il compositore canadese può comunque farsi forte del tema principale desunto dal primo film, e qui miscelato forse addirittura con eccessiva discrezione ma sapiente varietà di toni e di colori; dalle tube wagneriane e imponenti di “It ain't over till the Wasp lady stings” (dove deve fronteggiare il tema della nuova arrivata, The Wasp) ai pianissimi dei corni e degli archi di “A little nudge”, cullato da morbidi arpeggi e comprensivo di assoli dei legni (clarinetto, fagotto) sicuramente non comuni in partiture di questo genere.
Proprio questa tipologia di episodi, più raccolti quando non apertamente cameristici, fa la differenza tra questa e molte altre score consimili, perché Beck è un musicista senz'altro estroso e dotato di un grande dinamismo espressivo, che gli permette di passare da un umore musicale all'altro con intatta efficacia; ed ecco allora che dallo sberleffo retrò di “World's greatest grandma”, in stile jingle da videogiochi Nintendo, si passa alla frenesia sincopata dei ritmi di “Feds” o ai drammatici fraseggi degli archi di “Ava's story”, passando per la fosca idea leitmotivica di “Ghost in the machine”. Le stesse pagine d'azione, tipo “Wings & blasters” o “Misdirection”, ovviamente numerose e impeccabilmente costruite per progressioni ritmiche e inarrestabili crescendi orchestrali (perchè a Beck piace l'orchestra, e molto), sono costantemente inframmezzate da rallentamenti, sospensioni ad effetto, pause ora sinistre ora rilassanti, con un sottile lavorìo sui due temi principali ed una scrittura armonica e melodica di grana decisamente superiore (l'arioso e coinvolgente “Cautious as a hurricane”): e si tratta precisamente di quel connubio tra un sound epico, scultoreo e affermativo, e un impasto invece più morbido e soffuso, che ha sempre caratterizzato nelle sue fasi migliori le atmosfere dei film Marvel e delle loro partiture.
Peraltro, le raffiche di dissonanze ribattute di “Ulmost ghost”o le accelerazioni telluriche di “Windshield whipeout” ci dimostrano che Beck non ha nulla da invidiare a nessuno quando si tratta di scatenare la furia degli elementi; ma sono i mezzi che adopera a rendere il suo lavoro molto più originale, e nel contempo (forse proprio per questo) più tradizionale, di tanti altri. Il mèlos, il cantabile, sono sempre dietro l'angolo, come nella bellissima “Partners” dove flauto, arpa e violoncelli assumono tonalità elegiache di delicata vibratilità. Si notano anche alcune reminiscenze elfmaniane, soprattutto nella chiamata in causa di un coro squisitamente fantasy (“Ghost = Toast”, decisamente il brano più dark della partitura), spesso utilizzate anche come espedienti esornativi per i due temi principali, la cui semplice ma ficcante concezione consente loro di essere sviluppati e manipolati in molteplici direzioni: si ascolti a tale proposito quella formidabile serie di variazioni sul tema di Ant-Man che è “Reduce yourself”, seguita dal brutale, allucinante e animalesco “Quit screwing around”, sino all'ostinato ritmico – ricorrente nella score come una sorta di leit-motif autonomo – di “Anthropodie”, che finisce esplodendo in una esposizione apocalittica del tema di Ant-Man. E c'è persino il tempo di farsi una risata con la “Baba Yaga Lullaby”, tiritera biascicata da David Destmalchian (che nel film interpreta il personaggio di Kurt)...
In breve, una partitura che per fantasia e autorevolezza si situa diversi gradini sopra esercizi analoghi, pur non risolvendo (ma non è compito dei musicisti) il problema ormai annoso di come trarre ancora qualcosa di interessante da un genere arrivato, più che alla frutta, al conto.