Scored to Death - Conversation with some of horror’s film composers

cover libro scored to deathJ. Blake Fichera
Scored to Death - Conversation with some of horror’s film composers (2016)
Silman-James Press, pagg.356, $ 19.95
www.silmanjamespress.com

La suddivisione per generi cinematografici è uno dei molti metodi, forse anche uno dei più efficaci, con i quali si può tracciare un percorso storiografico della musica per il grande schermo. Naturalmente la riuscita dell’operazione varia di genere in genere: nel western, ad esempio, l’impresa è relativamente agevolata dalla possibilità di circoscrivere più facilmente l’oggetto d’indagine dal punto di vista cronologico, ossia con un inizio, una fine e qualche sporadico ma vistoso prosieguo nella contemporaneità.

Ma con un genere come l’horror la faccenda si complica alquanto: e questo perchè l’horror si è, nel tempo, enormemente dilatato e ampliato, giungendo a fagocitare altri generi (il fantasy, il thriller, la fantascienza), contaminandoli e contaminandovisi, mescolandone simbologie e iconografie, situazioni e personaggi, sino a renderlo quasi una sorta di gigantesco ipertesto che molti altri ne comprende e sottende.
Ne consegue che il ruolo del compositore si è anch’esso complicato: da un lato, soprattutto con le nuove tecnologie, i musicisti sono in grado di ottenere effetti sempre più “scary” e spettacolari, rischiando però una tediosa serialità e trovandosi spesso nella scomoda posizione di chi deve cercare di suscitare tensione senza però anticipare o rivelare troppo; dall’altro l’horror si è rivelato un’incredibile palestra di sperimentazioni e di sfide linguistiche e di stile, cui i migliori talenti hanno spesso saputo rispondere non cadendo nelle trappole della routine, bensì con la dovuta maestria e originalità.
Ora un corposo volume – del quale sarebbe auspicabile una traduzione italiana - tenta di fare il punto sullo stato dell’arte scegliendo la strada (forse un pò troppo comoda) delle testimonianze dirette dei protagonisti, ossia i musicisti. Lo firma lo studioso, produttore e appassionato newyorkese J. Blake Fichera, con questo “Scored to Death” (astuso e intraducibile calembour tra “scared”, spaventato, e “scored”, musicato), che raccoglie le lunghe conversazioni avute negli anni dall’autore con quattordici indiscussi maestri del genere: Nathan Barr, Charles Bernstein, Joseph Bishara, Simon Boswell, John Carpenter, Jay Chattaway, Fabio Frizzi, Jeff Grace, Maurizio Guarini, Tom Hajdu, Alan Howarth, Harry Manfredini, Claudio Simonetti e Christopher Young.
Si affaccia subito una prima riserva. D’accordo sul sottotitolo prudentemente limitativo, “some of”, alcuni: ma in un volume così settoriale, per di più dedicato alla memoria del grande Wes Craven, fa specie l’assenza del suo compositore di maggior fiducia e rilevanza qualitativa negli ultimi anni, oltre che indiscusso pilastro del genere, il nostro Marco Beltrami. E, con tutto il rispetto e l’affetto per Frizzi e Guarini, com’è possibile quando si parla di horror music dimenticare Pino Donaggio? E ancora: ok Manfredini e Chattaway ma... e LoDuca, e John Harrison, e Renzetti? E tutta la scuola spagnola, da Roque Baños a Carles Cases a Fernàndo Velàzquez? E la vecchia guardia italiana, come Stelvio Cipriani?
Scelte, d’accordo, e come tali opinabili. Ma, ciò premesso, il resoconto di questi incontri offre una mole inattesa e insperata di notizie, curiosità, aneddoti e profili: è un pò come se i singoli compositori ci guidassero nella loro “bottega” per svelarci i propri segreti del mestiere. Una lettura che procede per conferme e sorprese: è ad esempio una conferma constatare come Christopher Young, maestro non certo di primo pelo, ami richiamarsi alla lezione e allo stile dell’età aurea hollywoodiana della musica per film, magari filtrata attraverso la generazione dei Venti e Trenta (leggi Goldsmith e Williams); mentre appare invece sorprendente scoprire come Joseph Bishara, che in materia di horror music oggi ha pochissimi rivali (e quei pochi tutti in terra di Spagna), declini il proprio debito formativo nei confronti dei Tangerine Dream, gruppo europeo techno-progressive dalla breve quanto intensa fortuna negli anni ‘80.
Ma una miniera d’oro informativa si rivela anche il colloquio parallelo con il geniale John Carpenter, figura unica di regista-compositore-sound designer dallo stile inconfondibile, e con il suo braccio destro Alan Howarth, in realtà artista autonomo e indipendente quanto sottovalutato in proprio; in assenza di Beltrami, è poi Harry Manfredini a svelarci qualche “dietro le quinte” craveniano, in particolare su Le colline hanno gli occhi e lo sfortunato Il mostro della palude, mentre il faccia a faccia con Jay Chattaway può essere lo stimolo a riascoltare le partiture disturbanti e insieme struggenti di un talento assoluto, ed il focus su personalità meno note come Nathan Barr, Jeff Grace e Tom Hajdu accende l’interesse intorno a figure di “artigiani” alla vecchia maniera ma dall’attrezzatura moderna. Quanto ai due “argentiani” Simonetti e Boswell, le loro “confessioni” costituiscono un’ulteriore tappa nell’esplorazione di un periodo e di un regista che, anche sotto il profilo musicale, si è rivelato rivoluzionario per il cinema italiano.
Insomma, precedute da un esergo degli stessi compositori e corredate da una filmografia selezionata, queste interviste offrono un percorso certo incompleto ma nondimeno entusiasmante fra i meandri più “dark” ma anche più stimolanti del mestiere di cinemusicista: al termine del quale ci si rende perfettamente conto, come osserva Larry Fessenden nella sua prefazione, che buona parte dell’esperienza, delle emozioni, dei brividi e delle riflessioni che lo spettatore prova davanti a un film horror è dovuta, anche se talvolta non ce ne rendiamo conto, proprio al lavoro di questi maestri.

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