Ennio Morricone

cover libro ennio morricone moscatiItalo Moscati
Ennio Morricone (2020)
Roma, Castelvecchi
pp. 78
€ 11,15

Un tempo, diciamo sino alla metà degli anni Novanta del trascorso secolo, scritti su Ennio Morricone erano reperibili quasi unicamente in riviste specialistiche o fanzine amatoriali. Contributi generosi e sentiti, alcuni anche di una certa serietà; ma per lo più viziati dalla retorica dell’elogio, appesantiti dall’entusiasmo acritico del fan, e inconsistenti dal punto di vista musicologico. Facevano eccezione le voci enciclopediche come quella curata da Ermanno Comuzio nel suo dizionario, o gli apporti saltuari e le recensioni discografiche (quali la rubrica “Segnodischi” curata – allora e ora - da Roberto Pugliese su “Segnocinema”), gli interventi in occasione di festival e rassegne come la gloriosa “Trento Cinema” (1988 e 1990). Poi, nel 1994, la monografia di Sergio Miceli (Morricone, la musica, il cinema, Casa Ricordi), aprì una prospettiva diversa: più scientifica, documentata, sistematica; tant’è che oggi ancora quello studio, per quanto fermo alla prima metà dell’ultimo decennio del secolo, appare fondamentale e stimolatore. Da allora, ed in particolare nel nuovo millennio e dopo l’assegnazione del secondo Oscar, i contributi italiani ed esteri si sono moltiplicati nelle due direzioni del libro-intervista (ma meglio sarebbe parlare di “colloqui”) e degli interventi saggistici. Nel primo caso è il compositore stesso, sollecitato dalle domande della controparte, a raccontarsi, come nelle “conversazioni” con Antonio Monda (Mondadori 2010), Donatella Caramia (Morcelliana 2012), Alessandro De Rosa (Mondadori 2016), Giuseppe Tornatore (Harper Collins 2018). Per contro, la sua opera diviene oggetto di analisi e interpretazione; basta pensare ai volumi collettanei Norme con ironie (Suvini Zerboni 1998) e Quaderno 18 dei Cuadernos de Filmoteca Canaria Spain (2018), o agli studi di Stefano Cucci (Lontane presenze… L’universo poetico di Ennio Morricone, LIM 2018), Franco Sciannameo (Reflections on the Music of Ennio Morricone – Fame and Legacy, Lexington  Books United Kingdom 2020), Francesco Castelnuovo (7 chiavi per Ennio Morricone, Bietti 2020), ed altri (1). Ora, quando un musicista da oggetto di fervida ammirazione diviene materia di indagine razionale e critica disamina: beh, allora v’erano in quelle costruzioni sonore un’inventiva sagace, un senso della struttura, una ricerca formale (accorta scelta dei timbri, dei ritmi e delle modulazioni armoniche) e di sostanza (ovvero potere evocativo forte e, per dir così, inconsapevole: estraneo ad ogni volontà programmatica di espressione di situazioni, sentimenti, stati emotivi stereotipati) che superano la sfera edonisticamente fruitiva - quell’oggettivazione sentimentale che prescinde dalla qualità del prodotto - e identificano una dimensione complessa, un cosmo ordinato e pluriprospettico, trasversale ed ambiguo (aperto) che solo ricerca analitica e studio rigoroso condotti da menti acute e storicamente preparate illuminano di luce per quanto parziale (perché, quale che sia la prospettiva adottata, più attenta all’evento musicale in sé o agli aspetti – chiamiamoli così - contenutistici, continua ad avere ragione Mendelssohn, ”i pensieri che la musica esprime non sono troppo indefiniti, ma troppo definiti per essere descritti con parole”).

Giunge ora di bel nuovo questo Ennio Morricone di Italo Moscati (sceneggiatore, regista, autore di programmi televisivi, critico teatrale e di cinema con all’attivo volumi su Maria Callas, Vittorio De Sica, Sergio Leone, Federico Fellini, Alberto Sordi), che già nel titolo evidenzia un’ambizione onnicomprensiva e al tempo stesso ci ricorda lo Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus di Bernardo di Cluny. Se delle cose possediamo per davvero solo il nome, ebbene quel nome e cognome tante volte uditi, e veduti nei titoli di testa in molteplici dizioni, e nelle copertine degli album, mangiati con gli occhi e assorbiti dalle orecchie, si caricano di valori evocativi, fonici, musica anch’essi. Significanti pregni, allusivi, capaci di ricreare un mondo, un incanto: come se il compositore, e l’uomo, esistessero solo, o già, nel nome; adesso più che mai, ora che la fisica presenza è stata annullata. Quanto all’aspirazione alla totalità, sarà essa da intendersi, più che progetto interpretativo globale – impresa da far tremare vene e polsi -, libero procedere per guizzi ed illuminazioni spaziando dal dato biografico e privato (il padre Mario, la moglie Maria) alla collaborazione con alcuni registi (Leone, Tornatore, Tarantino; ma anche Salce, Wertmuller, Bellocchio, Corbucci, Cavani, Bolognini); dalla ricostruzione del contesto socio-culturale e filmico degli anni ruggenti (la “Hollywood sul Tevere”, le provocazioni sessantottesche, la voglia di inventare un cinema nuovo necessitante di una altrettanto nuova musica) al rapporto di stima e affetto con Petrassi, e il vergognarsi di essersi piegato alla musica “bassa” – che bassa non è mai stata - per campare, col ricordo ossessivo di quel “recupererai, sono certo che recupererai” dettogli dal suo maestro, e che gli suonava come rimprovero, “un ordine garbato, una pretesa che sapeva d’amarezza” (p. 9); dall’esperienza di rottura con i musicisti di Nuova Consonanza “cercatori di pepite da pentagramma” (p. 23) al Gotha hollywoodiano (De Palma, Stone, Tarantino). Il tutto con piglio leggero e gusto aneddotico in otto brevi sapidi capitoletti (“L’uomo della musica”, “Silenzi & colonne sonore”, “Il suono della tromba”, “Dèi della pellicola e dolce vita”, “Ore bellissime e l’urlo della rivoluzione”, “Harley-Davidson e «We all love Ennio…», “La musica del futuro”, “C’era una volta Ennio. E’ sempre musica”).
Talune considerazioni suonano acute, come “La presenza e il talento di Ennio dimostrano la decadenza del cinema italiano che non trovava più il filo del racconto sul paese e sulla sua realtà” (p. 49). Già, in quel cinema che dopo gli anni Settanta si smarriva, orfano dei generi e fagocitato dalla televisione, l’unica bandiera a sventolare rimaneva la musica di Morricone, sempre quella e più bella sempre: una bellezza che era ricerca, entusiasmo, tecnica autoaffinantesi. L’autore non trascura poi la “musica assoluta”, con riferimenti a “Suoni per Dino”, “Bambini del mondo”, “Cantata per l’Europa”, “Frammenti di Eros”, “Voci dal silenzio”. E di “musica assoluta” viene proposta una definizione, “musica che è tutta la musica, non ha barriere, se non nella qualità, nel lavoro di scrittura” (p. 8), la quale integra quella di Morricone (“nasce dal desiderio del compositore, un desiderio svincolato da possibili contaminazioni estranee a quelle musicali, slegata quindi dall’influsso di altre arti” (2) e annulla i dualismi a favore di un continuum unificante le molteplici esperienze di orchestrazione – pensiamo agli arrangiamenti, capitolo importantissimo - e compositive – dalla riconoscibile e non convenzionale cantabilità al versante più aspro, atonale e amelodico, talvolta misto - in un’identica cifra stilistica. Piacciono poi talune concise definizioni, il “Morricone affascinante e segreto” (p. 6), il “Morricone obbligatorio” (p. 26), Morricone che “i registi li ha studiati e non li ha ubbiditi” (p. 17), Morricone “uomo di musica e di poche parole pesate” (p. 34), Morricone “Maestro della instancabilità” (p. 64): luci di scorcio su innumerevoli dark sides. Il libro si lascia leggere nel suo procedere intenzionalmente asistematico, nel registro affabile, nelle professioni affettive (“Dico solo il nome per tenermelo più vicino”, p. 5) di sobria intensità, nella ricostruzione di una esperienza umana, professionale ed artistica, di ricerca del Bello, lunga settant’anni, conclusasi hic et nunc in modo assurdo; ma destinata a durare, “musica del futuro”.

In fine, lo spunto per una riflessione un po’ folle. Leggiamo che “La vita musicale delle colonne sonore di Ennio va da quella per Il federale (1961) a Voyage of Time di Terrence Malik (2016)” (p. 41). Che il debutto cinematografico ufficiale sia avvenuto con il film di Salce, è storia. Quanto a Voyage of Time, non pare attribuibile al maestro romano. Ovunque si cerchi, lo score è accreditato a Hanan Townshend e Simon Franglen. Però. C’è un però. Il nome di Morricone era stato annunciato in più occasioni, anche se poi la musica non fu realizzata (3). Qui sta il punto, qui gli equivoci, qui il problema. Quante “colonne sonore originali” ha effettivamente scritto? Moscati gioca al rialzo, “mille e ventuno” (p. 64). Troppe, anche per uno che, pur genio e regolatezza, fu tuttavia “eccessivo” già nella quantità. Se confrontiamo le varie filmografie in Rete (il sito ufficiale e www.chimai.com tra le più attendibili) e su carta (per tutte, quella in appendice a Inseguendo quel suono), la cifra si dimezza tranquillamente. La fanzine dedicata al Maestro, dopo minuzioso conteggio, sentenzia 435 (4), numero forse non matematicamente esatto e però assai vicino alla realtà. E v’è un grande fascino in questa ricerca del Numero, nello scandaglio maniacalmente puntiglioso, il moltiplicarsi dei titoli, un universo elastico, che prolifera, si estende, si contrae, cangia di continuo; instabile, mai definitivo. Gli abbagli più numerosi e frequenti sono i film – documentari compresi - che hanno utilizzato musiche, o frammenti di musiche scritte in precedenza per altre pellicole. Se si aggiungono gli spot pubblicitari (alcuni con musica ex novo, altri con ricicli), le false attribuzioni (Corri uomo corri, Per pochi dollari ancora, Canadesi supersex…), le “supervisioni” e “consulenze musicali”, i film interrotti (Old Gringo, Endless Love…), i numeri lievitano. E poi c’è il capitolo, tutto da scrivere e da immaginare, dei film rifiutati, quelli che non volle, o non poté, commentare con le sue note, “almeno quanti ne ho fatti” (5”). E allora, altro che mille e ventuno. Ecco, forse Moscati con la sua iperbole ha disegnato non il vero ma il verosimile; ha voluto suggerirci che la musica del Maestro è anche quella che avrebbe potuto fare – che gli fu offerta -, e non fece (come Pinocchio di Matteo Garrone, affidato poi a Dario Marianelli, e Momenti di trascurabile felicità di Daniele Luchetti che chiamerà poi Franco Piersanti) (6). Una mole di note possibili, virtuali; universi di storie, di immagini, di stimoli, travasati magari nelle opere da farsi. Tutti lo volevano, non poteva accontentare tutti. Lo avevano richiesto Kubrick, Clint Eastwood… Gli sarebbe piaciuto lavorare con Olmi, musicare Fantozzi… Tutto un cinema sfiorato, incontrato l’espace d’un matin, dissoltosi nel travail journalier di baudelairiana memoria. In quest’ottica aperta, visionaria, oziosa forse per alcuni, i “mille e ventuno” titoli in cerca d’autore stanno comodi, plausibili, reali.

Note:
(1)    Una bibliografia abbastanza completa è reperibile in http://www.chimai.com/index.cfm?screen=books&id=56.
(2)    E. MORRICONE, Inseguendo quel suono. Conversazioni con Alessandro De Rosa, Milano, Mondadori, 2016, p. 350.
(3)    https://www.comingsoon.it/cinema/news/ennio-morricone-per-voyage-of-time-di-terrence-malick/n51383/ et passim in Rete.
(4)    DIDIER THUNUS, Just How Many Movies?, in Maestro – THE ENNIO MORRICONE ONLINE MAGAZINE, Issue#15, 1April 2018, pp. 53-60.
(5)    Inseguendo quel suono, p. 98.
(6)    Maestro – THE ENNIO MORRICONE ONLINE MAGAZINE, Issue#17, June 2019, p. 5.

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