The Rocky Horror Picture Show

cover_rocky_horror_picture_show.jpgUn condensato di erotismo sbarazzino… at the late night double-feature, picture show.

C’era una volta, in un castello lontano lontano, uno Sweet Transvestite, sceso sulla terra dal pianeta Transilvania…e Richard O’Brien, autore di una piccola produzione teatrale londinese, scritta nell’attesa di un qualche ingaggio da attore. E come Rocky è figlio dell’ingegno del dottor Frank-n-Furter, così il Rocky Horror si deve proprio ad O’Brien.

Il giovane autore infatti mostrò il suo script, il Rocky Horror Picture Show, a Jim Sharman, un regista (col quale aveva già lavorato in passato, e con cui lavorerà in futuro) che cercava un soggetto per una rappresentazione al Royal Court Theatre. Il caso volle che Sharman si mostrasse interessato, tanto da voler portare lo show di O’Brien nel piccolo teatro Upstairs (sopra il Royal Court). Ora, l’idea c’era, la volontà di farne uno spettacolo pure, mancavano però i fondi per mettere in scena lo spettacolo. A questo proposito, si decise di spedire in giro alcune cassette con incisa la prima canzone, “Science Fiction Double Feature”; tra i destinatari c’era Mr. Michael White, produttore di Oh! Calcutta!. White, piacevolmente colpito da questo primo ascolto e sentite le altre canzoni, decide di produrre il Rocky Horror.
E’ il giugno 1973, si va in scena. Tra gli spettatori c’è l’icona del cinema horror Vincent Price: che sia di buon auspicio? Risposta affermativa. Lo spettacolo ottiene un buon successo di pubblico e ottime recensioni. Il successo dello show cresce, tanto da dover traslocare dal Royal Court al Comedy Theatre (che contiene ben 400 posti). A questo punto non era lontano il salto alla celluloide, facilitato dal fatto che gran parte del cast sarebbe stato composto dai medesimi attori impegnati nello show. Ma si sa, la fortuna è fatta di piccole coincidenze felici… fu così che Lou Adler, un produttore discografico americano, che tra le altre cose venne convinto da Britt Ekland ad assistere al Rocky Horror, prende l’aereo, volò a Londra e, dopo nemmeno 36 ore, si assicurò i diritti per la rappresentazione del musical negli Stati Uniti.
Marzo 1974. Il Rocky Horror sbarca a Los Angeles. Alla prima, il pubblico è un pavé di star del rock come Elvis Presley, Keith Moon e Carole King, alcuni futuri grandi attori (Susan Sarandon e Barry Bostwick, che saranno scelti come protagonisti della versione cinematografica), e guarda un po’, i dirigenti della 20th Century Fox, invitati dall’abile Adler nella speranza di concludere un accordo per la produzione del film. Come si dice, la fortuna aiuta gli audaci: pochi mesi dopo, in Inghilterra, iniziano le riprese.
Nel cast ci sono diversi attori che avrebbero in seguito conseguito grandi successi, come Susan Sarandon (vincitrice di un Oscar) nella parte di Janet, Barry Bostwick (vincitore di un premio Tony per The Robber Bridegroom) nella parte di Brad Majors, Tim Curry (più volte nominato all’Emmy) nella parte di Frank-n-Furter e Meat Loaf (un rocker che ha inciso una dozzina di album) nel ruolo di Eddie. Terminate in fretta le riprese, nel dicembre del 1974, il film è già pronto per la post-produzione e, per il lancio, viene organizzata una proiezione in grande stile al Belasco Theater di New York, nel marzo del 1975. Purtroppo però, nonostante il cast sia praticamente lo stesso che aveva sbancato a Los Angeles, lo show non è propriamente un successo. Si attende quindi il riscontro cinematografico: un musical trasgressivo e ammiccante, libertino e catartico, sessualmente stuzzicante e fresco. Un condensato di umorismo velatamente erotico avrebbe di lì a poco conquistato platee e fans per i prossimi trent’anni. Ma a cosa si deve tutto questo successo? In primis alla colonna sonora.
I brani composti da Richard O’Brien sono, infatti, orecchiabili, accattivanti e, dato importante, contengono non solo la trama, ma ne seguono lo svolgimento e ne arricchiscono il significato. Sempre a proposito di colonna sonora, è interessante notare come, dopo la prima versione del 1986 (ODE Records), ne siano uscite altre, più o meno interessanti e più o meno introvabili (1986 Pacific Records, 1989 Rhino Records, 1990 Pacific Records Limited Edition Picture Disc Release, 1994 Castle Communications, 1995 Rhino Records 20th Anniversary 24K Gold CD, 1996 Festival Records 21st Anniversary Australian 24K Gold CD).
Inizialmente musical poi film, il Rocky Horror avrebbe trovato il successo dalla commistione delle due forme, mutando in una terza forma: lo spettacolo teatrale coadiuvato dallo “spettacolo/interazione” del pubblico. Quel che più colpisce è che le geniali trovate cinematografiche (la bocca truccata di rossetto rosso fuoco che canta su sfondo nero, i personaggi trasformati in statue, la pseudo-orgia nella piscina e lo spettacolo teatrale nello spettacolo solo per citarne alcune) una volta riportate on stage non perdono la loro potenza, anzi, si arricchiscono del contributo della platea e della forza propria della musica dal vivo. Perfettamente bilanciato tra ballate lente e movimentate, ritmi di vere e proprie danze (come il “Time Warp”), e bizzarre invenzioni rockettare, quello del Rocky Horror Picture Show è uno score che si presta a molteplici funzioni: il semplice ascolto, il sottofondo, e persino l’ascolto per emulare i protagonisti con la versione karaoke offerta dal DVD!
La soundtrack segue piuttosto fedelmente l’iter del film/spettacolo; ecco perché, nell’illustrare i brani che compongono la colonna sonora, sarà inevitabile seguire la storia del film. Lo show si apre con “Science Fiction/Double Feature” che potremmo definire la summa del Rocky Horror, o meglio il prologo della storia.
cover_rocky_horror_picture_show2.jpgSiamo al matrimonio di una coppia di amici di Brad e Janet (Barry Bostwick e Susan Sarandon), e Brad si dichiara a Janet, regalandole un anello di fidanzamento e cantando “Dammit Janet”. I due fidanzatini non perdono tempo, e decidono di mettersi in viaggio, in macchina, per comunicare la buona notizia al vecchio professore di entrambi, il dottor Everett Scott (i due si erano conosciuti durante le sue lezioni). Così, sotto un diluvio universale, in una serata di novembre, Brad e Janet si ritrovano bloccati da una gomma a terra. In cerca di un telefono, vedono in lontananza un castello, e decidono di bussare, quando Janet, piuttosto perplessa, intona una delle più belle e melodiche canzoni “Over at the Frankenstein Place”. Una volta al castello, vengono accolti da uno strano maggiordomo gobbo, Riff-Raff, che li invita ad entrare. Ma quella non è una notte come le altre, è la notte della Convention annuale dei Transylvani. Gli ospiti del castello, vestiti con abiti improponibili, ballano il “Time Warp”, una danza collettiva coinvolgente (un salto a sinistra, uno a destra e poi il movimento pelvico che scatena sempre la platea) intonata già da qualche minuto da O’Brien stesso. Spaventata dallo strano comportamento dei Transylvani, Janet vorrebbe andar via, e mentre Brad cerca di farla ragionare, giunge la scena da tanti (sottoscritta compresa) considerata la più bella scena del cinema, il più bel momento a teatro e uno dei brani più forti della colonna sonora. Eccolo, è lui, il sexy padrone di casa, Frank-n-Furter, che scende da un ascensore interno al castello, e si presenta (e qui Tim Curry avrebbe meritato l’Oscar) al ritmo della favolosa “Sweet Transvestite”, biglietto da visita sonoro (e in un certo senso programma della serata) di questo sexy trans in guepiere, tacchi vertiginosi e reggicalze. Dopo aver convinto i due giovani a passare la notte nel castello, Frank rivela loro di essere uno scienziato sul punto di compiere la propria opera suprema, la creazione di un ragazzone biondo e muscoloso, al solo fine di soddisfare le sue voglie, con tutte le specificazioni contenute nella solenne “I Can Make You a Man”. Siamo nel laboratorio del dottor Furter, dove l’esperimento sta per compiersi, Rocky, la creatura prende vita ma Riff-Raff, la sua incestuosa sorella Magenta e la giovane Colombia, una groupie di Frank, accolgono la sua nascita con freddezza. In quel momento, da una cella frigorifera viene fuori il giovane Eddie (che prima di servire come donatore di organi per Rocky, era stato l’amante di Frank e quindi di Colombia), un biker teppista (Meat Loaf) molto Elvis poco Presley che si scatena nella rockettara “Hot Patootie-Bless My SoulEddiex”. Eddie carica la giovane Colombia sulla moto ma viene assalito da Frank che, armato di una picca, lo uccide in modo sanguinario. Eliminato Eddie, Frank si apparta con Rocky nella sua nuova suite matrimoniale, Brad e Janet vengono accompagnati nelle loro stanze (separate). Ma le sorprese non sono finite, durante la notte Janet riceve la visita di Brad, lo accoglie nel suo letto, ma scoprirà che in realtà si tratta di Frank, tra le cui braccia si lascia andare. Poco dopo Janet corre in camera di Brad che la accoglie nel suo letto… anche questa volta in realtà si tratta di Frank, e anche questa volta il piacere vince. Nel frattempo i servitori di Frank liberano Rocky dalle catene, mentre Janet, disperata per ciò che ha fatto con Frank, vaga per il castello e vede su un monitor il fidanzato intento ad amare Frank. Sconvolta, s’imbatte in Rocky, ferito dai cani da guardia, lo cura e poi, lo seduce a colpi di “Touch-A, Touch-A, Touch Me”. Segue dopo la collettiva “Rose Tint My World: Floor Show/Fanfare/Don’t Dream It/Wild and Untamed Thing” sulle cui note scorrono le immagini più poetiche dell’intero musical, che, come in ogni favola che si rispetti, accompagnano verso la fine della vicenda. Riff-Raff e Magenta non si lasciano incantare dalla splendida “I’m Going Home” cantata sempre da Curry, e uccisi Frank e Rocky, si apprestano a tornare in Transilvania.
Un vero viaggio iniziatico, almeno per Brad e Janet che, svestiti nella nebbia, cantano “Super Heroes”, a conclusione della loro avventura e presa di coscienza.
Per tutti noi invece, il Rocky Horror Picture Show, contenuto e raccontato interamente nella colonna sonora, resta una salutare boccata di trasgressione, uno spettacolo unico e immortale.
Enter at your own risk, avverte la scritta al cancello del castello di Frank… perché se ancora non sapete chi siete… lui ve lo mostrerà… “Don’t dream it, be it

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