Arrow

cover_arrow_season2.jpgBlake Neely
Arrow (Id., 2013 – seconda stagione)
La-La Land Records LLLCD 1317
29 brani – Durata: 78’01”



Non di sola Marvel vive il composito universo dei supereroi cinetelevisivi di derivazione fumettistica, che ha conosciuto nell'ultimo ventennio un'autentica esplosione: agguerrita concorrente è infatti la DC Comics, che annovera nella propria scuderia gente come Batman, Superman, Wonder Woman e – più defilati – Lanterna Verde e la pattuglia di Young Justice.
Tra i characters meno noti ma più ”storici” vi è senz'altro Arrrow (in italiano Freccia Verde), sorto nel 1941 dalla fantasia di Mort Weisinger e George Papp, al secolo Oliver Queen, miliardario-giustiziere mascherato come una sorta di Robin Hood moderno, micidiale nel maneggiare l'arco e dedito – dopo essere naufragato con il suo yacht rimanendo confinato per cinque anni su un'isola deserta – ad un'indefessa lotta contro il crimine nella città immaginaria di Starling City.
Settant'anni dopo la sua nascita cartacea, nel 2012, Greg Berlanti, Marc Guggenheim e Andrew Kreisberg crearono per il canale CW Television Network la versione televisiva del personaggio, in una serie di due stagioni (la prima da noi passò su Italia 1) che lanciò le fortune del protagonista Stephen Amell e, malgrado l'affollatissima concorrenza, ottenne lusinghieri riscontri d'ascolto sia in patria che all'estero.
Apprezzatissimo orchestratore e direttore d'orchestra, Blake Neely non vanta forse la notorietà fracassona e tuttofare di un Brian Tyler o di un Djawadi (per restare a musicisti ormai cooptati nelle avventure supereroiche) ma è pur sempre un compositore attento e scaltro, oltre che provvisto di particolare sensibilità: doti che si rivelano particolarmente utili quando ci si ritrova a dover comporre complessivamente quattordici ore di musica (sia pure col supporto dell'addictional composer Nathaniel Blume), com'è avvenuto per questa seconda stagione. E non si parla a caso di sensibilità, perchè lo score di Neely si distanzia apertamente dai toni pompieristici e assordanti di molta produzione similare, privilegiando invece colori scuri, sonorità cupe quanto pacate ed echi sinistri, arricchiti da un sapiente utilizzo di percussioni elettroniche (“City of heroes/Canary”); in questo contesto il profilo espressivo della partitura allude più ad una sotterranea malinconia che a titanismi supereroimistici, malinconia ben espressa in alcune semplici, lineari ma efficaci idee melodiche, come quella per archi di “Love is the most powerful emotion”. Un sound più artefatto e ipnotizzante caratterizza invece “A new kind of evil” o “Blind spot”, dove la ritmica delle percussioni si svela particolarmente indovinata nel rendere acusticamente la scansione incalzante della striscia disegnata trasposta su schermo; così, il tema scolpito dagli ottoni in “Roy becomes a hero” si appaia alla melopea orientaleggiante di “Heir to the demon” e alla misteriosa, sommessa immobilità di “Get your soul back”, che ribadisce l'orientamento del compositore verso una tavolozza più impressionistica e intimista che spettacolare od enfatica.
Naturalmente non mancano gli scatti d'azione, quasi tutti fondati sull'accensione di interruttori ritmici travolgenti, nei quali il ricorso all'elettronica si rivela pressochè indispensabile (“This ends tonight”), soprattutto in pagine come “Tunnel fight” sospinta da un tambureggiare implacabile e da saettanti ottoni; e se “The scientist” si basa su una scrittura raffinatamente giocosa e trasparente, quasi magica (legni e archi saltellanti oltre all'intervento del coro), e “Purest heart” è un'impalpabile ballata pianistica, l'intarsio dialettico di contrasti ricercato meticolosamente da Neely produce per converso pagine come l'incombente “Deathstroking/Creating an army with a needle” o “The essence of heroism”, che mette in luce anche alcune geometrie quasi bachiane. Da sottolineare anche la puntualità e la precisione con cui il musicista enuclea e sviluppa cellule tematiche per ciascuno dei personaggi, pur in direzione di una semplificazione sintetica che esclude complicazioni contrappuntistiche ma punta piuttosto ad una agevole riconoscibilità. Ma ancora una volta è la scelta coerente di non alzare i toni e preferire un tessuto di sonorità costantemente livellato e contenuto a rivelarsi vincente, in quanto foriera di una tensione interna (“A.R.G.U.S.'s suicide squad” o “Secret destiny”) che scaturisce dalla qualità dei timbri evocati più che dallo spettro dinamico.
Ovvio che il rischio sia quello del settofondo un po' monotono, ma il vantaggio – e l'antidoto – è quello di un soundtrack che non sgomita o urla per farsi sentire, bensì attira l'attenzione oscillando fra picchi ritmici secchi, precisi, e un procedimento di sottrazione assolutamente auspicabile.

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