I bastardi di Pizzofalcone & La porta rossa con Intervista a Stefano Lentini

Andrea Ridolfi, Vito Abbonato, Raiz
Ludovico Fulci
I bastardi di Pizzofalcone (2017)
Rai Com
Cd 1, brani 23 – Durata: 69’57”
Cd 2, brani 9 – Durata: 21’35”

Stefano Lentini
La porta rossa (2017)
Rai Com
23 brani – Durata: 79’00”

Il “Commissario” (nella sua variante italiana del questore o vicequestore, e anglotedesca dell'ispettore) è una figura, un character televisivo - per non parlare del cinema - di lunghissima storia. Nulla a che spartire con i “team” investigativi americani o con il multiforme mondo dei “private eyes”. Qui parliamo del lavoro paziente, testardo, spesso antieroico dei funzionari che consumano suole e notti alla ricerca di verità spesso inafferrabili o comunque dolorose da scoprire. Figure spiccatamente individuali, che si differenziano anche dalla struttura polifonica di serie come Squadra antimafia, Distretto di polizia, La squadra ecc.

Una storia lunghissima e affascinante, che non a caso si accompagna a musiche, spesso sotto forma di semplici canzoni o “sigle”, impresse nella memoria dello spettatore. In principio possiamo situare Jules Maigret, che in Italia ebbe il volto padano di Gino Cervi e si accompagnava alla struggente “Un giorno dopo l'altro” di Luigi Tenco, cover di “Le temps files ses jours” di Jacques Chaumelle. Ma il commissario di Simenon vanta una vasta gallery di volti e musiche, per rimanere solo alla tv, che va dai contributi di compositori come Nigel Hess e Ron Grainer sino al recentissimo score di Samuel Sim per la versione interpretata da un inedito e imprevedibile Rowan “Mr. Bean” Atkinson! Un gradino sopra gli altri si situa il Maigret poco conciliante e arcigno di Bruno Cremer nella serie francese prodotta degli anni '90, molto autoriale e ricca di grandi firme (da Pierre Granier-Deferre a Claude Goretta a Denys de la Patellière), e con una partitura insolitamente drammatica e scolpita di Laurent Petitgirard.
Bisognerebbe però ricordare anche il crepuscolare, paterno commissario De Vincenzi interpretato da Paolo Stoppa in una serie anni '70 tratta dai romanzi di Augusto De Angelis e con le musiche malinconiche di Bruno Nicolai. Ma l'icona del commissario ha subìto ben presto una rapida evoluzione, specie in area germanofona, grazie a figure come il roccioso commissario Koster della serie Der Alte, cui sono succeduti i commissari Kress e Herzog, tutti con musiche movimentate e americaneggianti di Klaus Doldinger (La storia infinita, 1984, con Giorgio Moroder), o il Guido Brunetti di una Venezia tutta inventata dalla scrittrice Donna Leon (titolo anche della serie, con musiche di Andrè Rieu): ma soprattutto l'indimenticabile e indimenticato ispettore Derrick di Horst Tappert, marchiato da quel tema inconfondibile di Les Humphries, bipartito fra un bruciante scatto jazzistico iniziale e un valzerino da organetto. Senza scordare ovviamente il pastore tedesco più celebre dai tempi di Rin-Tin-Tin, ossia Rex, protagonista dell'omonima fortunatissima serie con musiche a quattro mani di Gerd Schuller e Peter Wolf. Senz'altro più movimentati e convenzionali i contributi dello stuolo di compositori (ricordiamo solo Klaus Galternicht e Reinhard Scheuregger) della serie action Squadra speciale Cobra 11...
Ma sotto altre latitudini si muovono tipologie più complesse. In Francia, ad esempio, figure rassicuranti e paciose come Il commissario Moulin di Yves Rénier (anche qui opera una pattuglia di musicisti dove spicca il nome di François De Roubaix) e soprattutto Il commissario Cordier di Pierre Mondy (musica ammiccante, “familiare” e spiritosa di Nicolas Jorelle e Frédéric Porte) si alternano ad un personaggio più tormentato come Il commissario Navarro interpretato da Roger Hanin, su musiche graffianti del bassista Jannick Top, già nella band progressive Magma. Nel frattempo nuove figure si affacciano, sempre più caratterizzate musicalmente: Il Commissario Manara, spin-off di Una famiglia in giallo, chiama in causa nientemeno che Paolo Buonvino, mentre lo scatenato e pasticcione Ispettore Coliandro, “il braccio maldestro della legge” inventato dal giallista Carlo Lucarelli e provvisto di adrenalina dalla regia dei Manetti Bros., coinvolge il duo Pivio e Aldo De Scalzi. Negli ultimi vent'anni tuttavia la scena commissariale è prepotentemente occupata da tre personaggi che ne detengono forse tuttora il monopolio: Il commissario Montalbano, Wallander e L'ispettore Barnaby. Niente potrebbe renderli più diversi, dal contesto geografico (mediterraneo, nordico e british) alle origini letterarie, dagli interpreti agli stili registici sino, ovviamente alle musiche: il personaggio creato da Andrea Camilleri e interpretato da Luca Zingaretti (e da Michele Riondino in versione prequel, con musiche di Andrea Guerra) viaggia su una partitura geniale di Franco Piersanti, irta di ricercate dissonanze, ritmi sghembi, accenni di milonga e un lungo, insinuante, serpentino tema principale che fotografa perfettamente l'universo insieme realistico e simbolico in cui si muove “lo sbirro di Vigata”. Il tormentato, sofferente poliziotto uscito dalla penna di Henning Mankell ha avuto tre versioni seriali, di cui la prima sconosciuta fuori dalla Svezia e interpretata da Rolf Lassgård, con musiche abbastanza piatte di Thomas Lindahl; assai più note le serie interpretate da Krister Henriksson, con uno score dolente e molto psicologico di Adam Nordén, e da Kenneth Branagh, forse il più intimamente “nordico” e lacerato, quasi bergmaniano, di tutti, in una serie di tv-movie inglesi pregevoli ed affrescati musicalmente con grande sobrietà da Martin Phipps. Ed infine Barnaby, il tenace poliziotto della provincia inglese uscito dai romanzi di Caroline Graham e interpretato prima da John Nettles poi, con più accentuati aspetti brillanti, da Neil Dudgeon: e per il quale il compositore Jim Parker sfoggiò il celebre, penetrante valzerino-leitmotiv rispolverando nientemeno che il caro vecchio theremin, antenato di tutti i synt e (Rózsa docet...) sigillo musicale di ogni atmosfera mystery o comunque inquietante.
Sin qui l'esistente, e aspettando in RAI la new entry di Maltese – Il romanzo del commissario, con Kim Rossi Stuart e musiche del tedesco Rolf Hildenbeutel, attivo in tv e già compositore per un'altra serie commissariale al femminile, Kommissarin Lucas.
Ma se ci siamo dilungati in questa premessa ricapitolativa non è per infliggere al lettore una sorta di sadismo nozionistico o tassonomico, bensì perchè mai come in questo genere televisivo il contesto – anche musicale - è importante, eccome, per spiegare e illustrare l'evoluzione di una prassi che ha ormai raggiunto livelli qualitativi che poco o nulla hanno da invidiare alle musiche per il grande schermo. Lo ha già confermato il successo del raffinatissimo lavoro di Bottega del Suono (Corrado Carosio e Pierangelo Fornaro) per Rocco Schiavone, la più originale e amara tra le serie poliziesche italiane recenti, lavoro non a caso laureato dal Premio della nostra testata per la miglior musica di fiction tv; ma è un risultato che trova conferma anche nelle altre due serie succedutesi a breve distanza sugli schermi della tv di Stato, I bastardi di Pizzofalcone e La porta rossa.
La struttura corale, policentrica e realistica della prima, tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni e diretta da Carlo Carlei, ha sollecitato un contributo a più mani ma fortemente omogeneo sul piano musicale. Vi hanno infatti concorso da una parte un trio formato da Andrea Ridolfi, romano, eclettica ed esperta figura di compositore polistrumentista direttore d'orchestra e “programmer” molto attivo nella musica applicata sia in tv (la serie di Raitre La squadra) che nel documentario, dal trapanese Vito Abbonato, anch'egli molto presente nelle fiction tv, e da Raiz, al secolo Gennaro Della Volpe, napoletano verace, cantautore, già voce degli Almamegretta e occasionalmente attore. Il terzetto, che aveva già firmato le belle, partecipi musiche per la fiction Il sindaco pescatore, dedicata al sindaco di Pollica Augusto Vassallo trucidato dalla camorra nel 2010, si fa qui carico di una parte apparentemente più esornativa e descrittiva dello score, dove ritmi mediterranei aggiornati in un impasto vocale e strumentale moderno (“I bastardi”, sigla d'apertura, e “Mystic town”) si alternano a pagine strumentali più classiche e severe (“T theme”, “Lojacono e Marinella” con uno struggente assolo di violoncello) o a manipolazioni sonore per piano e archi di sapore vagamente new age (“Tears of father”). Si avverte comunque la presenza di una malinconia pervasiva, quasi intossicante, nel melodizzare apparentemente tradizionale ma disturbato degli archi (“Metafisico”), non immune da tentazioni minimaliste o da aristocratiche rarefazioni “ambient” (”Cosmic birth”) tra le quali non sorprende di trovare, nei titoli di coda, una citazione quasi letterale da “Time”, scritta da Hans Zimmer per Inception; prevale però un'immediatezza comunicativa palpitante, emozionata anche se controllata (“Freezed”) sin quasi a sfiorare un'ipnotica immobilità (“Air one”). Se una voce femminile evocativa (“Samira”) sembra voler increspare l'asciutta, scabra severità del decorso musicale, due autentici adagi per archi come “Tema cinque” e “Big dream” chiudono il cerchio all'insegna di quel classicismo melanconico e molto concentrato che ispira tutto il contributo dei tre musicisti.
Ai quali va però aggiunto quello autonomo, pur se più breve, del messinese Ludovico Fulci, anch'egli attivo in cinema e tv non meno che nella musica concertistica, già collaboratore di Pupi Avati ed Ennio Morricone. Ed è interessante notare come Fulci cerchi tonalità psicologiche omogenee a quelle del trio Ridolfi-Abbonato-Raiz, semmai accentuando quella vena lirica, a tratti patetica, che rende le vicende del commissariato immaginato da De Giovanni così condivisibili e toccanti. Ecco allora riproporsi la forma dell'adagio per archi (“Dal ricordo di lui...”, “Giuseppe e Michele”) in un'estrema attenzione al fraseggio – soprattutto dei violini primi e secondi – dove c'è spazio per ampi passaggi solistici del cello o del pianoforte (“Il risveglio”). Fulci risolve poi le situazioni di tensione più per sottrazione che per accumulo, come nel moto perpetuo degli archi di “Inseguimento”, o puntando su spiazzamenti atonali o effetti di esecuzione (“L'uccisione di Samira”, “Pisanelli in ospedale”), ma l'impronta rimane quella di uno score meditativo e quasi luttuoso, gravido di presagi (“Lojacono torna sulla scena del delitto”), e in fin dei conti di agrodolce e solitario pessimismo.
L'introduzione, nelle normali coordinate di una serie poliziesca, dell'elemento soprannaturale, “spiritico” (presente anche in Rocco Schiavone, col fantasma della moglie Marina, e accennato pure nei Bastardi, dove anche il veterano Pisanelli colloquia con la moglie defunta), ha decretato il particolare, squillante successo de La porta rossa, diretta da Carmine Elia da un'idea ancora di Carlo Lucarelli con Giampiero Rigosio, stimolando d'altra parte un giovane compositore eclettico, rigoroso e insieme fantasioso come Stefano Lentini (The Grandmaster, Bakhita, Braccialetti rossi vincitore a suo tempo del nostro Premio dei Lettori) a ricercare e trovare soluzioni efficaci ma anticonvenzionali. La sua partitura è una crestomazia di invenzioni polistilistiche a tutto campo, un florilegio di idee continue volte non a “commentare” né tantomeno a prevaricare l'azione quanto piuttosto a proporsi come personaggio in più, come metodo di narrazione sonora.
Così, i Main title della canzone “It's not impossible” offerti dalla malinconica, cullante voce del cantautore british Charlie Winston, sono un ottimo biglietto da visita generale che si allinea agli altri elementi presenti; il grandioso sviluppo techno-sinfonico (verrebbe da dire, ancora, zimmeriano) di “They see”, ad esempio, colpisce per il respiro poderoso ma anche per il suo afflato romantico, mentre la stupenda “Aria for Anna Mayer”, che contiene uno dei temi principali dedicato al personaggio interpretato da Gabriella Pession, anche grazie alla vocalità struggente e disperata di Carolina Gentile, acquista il sapore di un vero e proprio straziante lamento d'amore, nel quale non sorprende che echeggino anche reminiscenze morriconiane (ad esempio nell'utilizzo del fischio di Elena Somarè). La ripresa in più occasioni di questa melodia, ed in parrticolare in “The Red door suite in C minor” in un dialogo a tre fra violino, cello e oboe, su un sommesso ostinato degli archi fino al dispiego cantabile della seconda parte, rappresenta forse il culmine lirico di un lavoro nel quale anche gli elementi “misteriosi”, di pura suspense (“Phone call”) trovano una forma, uno stile, un rigore estetico tutt'altro che comuni nelle musiche da fiction che vanno per la maggiore: anche perchè Lentini opta per sonorità soffuse, delicate, di rarefatto intimismo, dove si fanno notare il pianoforte (suonato dall'autore insieme a Gilda Buttà), gli assoli di chitarra o gli interventi sottovoce degli archi...
È una logica di understatement musicale che non ambisce a “scomparire”, tutt'altro, puntando anzi ad emergere proprio grazie al proprio incantato, “spettrale” (et pour cause...) disegno complessivo. Vale anche per lo sfuggente, indefinito “Theme of Vanessa” o per la notturna, impressionistica ripresa strumentale del Tema di Anna in “Aria for Anna”, affidata alle variazioni del sax di Pasquale Laino. Impressionante poi “Ghosts”, un lentissimo soliloquio pianistico di Gilda Buttà, il cui tocco sembra prosciugarsi progressivamente sino all'inafferrabilità, in una sorta di ricerca dei confini fra suono e silenzio.
L'idea più forte del lavoro, comunque, è rappresentata dal coinvolgimento del secondo movimento “Allegretto” della Settima Sinfonia di Ludwig Van Beethoven. Un'idea del regista Carmine Elia, che serve nella fiction a separare i singoli episodi, quasi dei “quadri” o degli “atti”, e che nella propria iterazione finisce con l'assumere un rilievo drammatico e leitmotivico straordinariamente coinvolgente. Qui emerge in particolare l'attento lavoro della Rai National Symphony Orchestra sotto la vibratile e ipersensibile direzione di Emanuele Bossi, che sceglie uno stacco di tempo molto equilibrato (troppi direttori leggono questo movimento come un “adagio”, altri come un “allegro”: complice anche l'avarizia di Beethoven in termini di indicazioni metronomiche), sul quale Lentini ha inserito alcuni suggestivi e rispettosi elementi variativi, in particolare nell'uso delle percussioni e di un coro di sottofondo, che sillaba un testo “inventato”, senza senso compiuto eppure fortemente evocativo.
Quasi un modo per risvegliare davvero, all'ascolto, le ombre inesplorate e affascinanti di un “altrove” e di un “dopo” in cui tutti, nel fondo della propria anima, vorrebbero poter credere.

foto stefano lentini2

Intervista esclusiva a Stefano Lentini sulla fiction La porta rossa

Se è vero che ormai molta fiction televisiva ha pienamente surrogato le aspettative un tempo riservate al cinema, non deve allora stupire che anche i musicisti delle fiction tv si stiano rivelando i veri e propri continuatori e innovatori della grande tradizione cinemusicale italiana. Tra questi Stefano Lentini, 42 anni, romano, è un nome di assoluto spicco, il cui catalogo spazia ormai su oltre un decennio e rivela un'estrema attenzione selettiva, una grande sensibilità e nessun timore di confrontarsi anche con le categorie – sempre insidiose - della popolarità. Di qui le sue partiture – tra le altre - per la fortunatissima (e coraggiosa) serie Braccialetti rossi o per Non è mai troppo tardi, con Claudio Santamaria nei panni del maestro tv Alberto Manzi, così come Bakhita, sulla religiosa sudanese beatificata da Giovanni Paolo II, o Il sorteggio, sul primo processo al nucleo storico torinese delle Brigate Rosse; o, sul grande schermo, Maresia di Marcos Guttmann, Sarà un paese, debutto di Nicola Campiotti o l'impegnativo The Grandmaster di Wong Kar-wai dove, affiancando Shigeru Umebayashi, Lentini ha composto un suggestivo e imponente “Stabat Mater”.
Autore dunque cosmopolita e curioso, alieno dai percorsi facili, polistrumentista raffinato ed eclettico, Lentini confessa di serbare tra i suoi primi ricordi musicali Brahms e gli Alan Parsons Project, in quella che sembra già una dichiarazione programmatica. E non è un caso che classico e moderno si ritrovino ora anche nel lavoro che ne ha decretato definitivamente la popolarità, ossia la fiction RAI La porta rossa, diretta da Carmine Elia e ideata da Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi, protagonisti Gabriella Pession e Lino Guanciale, premiata dal pubblico in quanto esperimento abbastanza raro di connubio fra elementi del poliziesco classico, “noir” metropolitano, commedia gialla, melò, ma soprattutto una componente soprannaturale, da “ghost story”, decisamente inconsueta per la fiction nostrana. Una partitura, quella di Lentini, con presenze prestigiose come quella del cantautore britannico Charlie Winston nei titoli di testa e della pianista Gilda Buttà, tanto cara a Morricone.

Colonne Sonore: Il suo, Lentini, sembra un lavoro straordinariamente ricco e stratificato, polistilistico: c'è dentro il pop e il sinfonico, il classico e la canzone, il techno-epico e l'assolo e altro... Basta scorrere l'elenco di contributi che vi sono confluiti. Ma lei aveva un concetto forte, di guida unitaria nella scrittura?
Stefano Lentini: Sapevo esattamente quale mondo dovevo esplorare, quale emozioni e quali suoni: volevo che la musica fosse profonda e toccante ma allo stesso tempo tetra e notturna. Credo che la maggior parte delle scene del film siano state girate di notte, doveva essere tutto connesso con le notti di Trieste. C’era un’idea di base comunque, che è stata quella di trattare la musica come un personaggio della narrazione e non come un commento. Questo ha influito su tutto, sulla libertà espressiva, sull’uso, sulla scelta della musica e sul montaggio.

CS: Come nasce la prestigiosa collaborazione con Charlie Winston, il cantautore british ospite nel soundtrack con “It's not impossible”?
SL: Sono innanzitutto un grande fan di Charlie, seguo la sua produzione dal 2009 e sono innamorato della sua musica e della sua poetica. Una domenica pomeriggio, dopo essere tornato da Londra dove avevo appena terminato le sessioni di mix, stavo ascoltando il suo ultimo EP ed ho avuto la chiara percezione che non ci sarebbe potuta essere una vocalità migliore per la storia del commissario Cagliostro. Avevo già una musica per la sigla dei titoli di testa ma non ero del tutto convinto, volevo una canzone che fosse intima ma positiva, toccante e ricca di speranza. In studio ho buttato giù l’idea di “It’s Not Impossible (Main Title)” e l’ho fatta sentire a Carmine che l’ha approvata immediatamente. Così ho scritto al managment di Charlie, e lui ha accolto il progetto con enorme energia e dopo tre giorni ho ricevuto il provino cantato.

CS: Ha scritto sul girato o prima o durante? Lo chiedo perché ci sono dei momenti molto evocativi che sembrano quasi precedere e giustificare l’azione.
SL: Ho iniziato a scrivere sulla sceneggiatura, uno dei temi principali “Theme for Anna Mayer” (il personaggio interpretato dalla Pession, ndr) è nato dalla lettura e da un incontro con Carmine. Poi sono andato avanti mano a mano che mi arrivava il girato. Carmine mi ha rivelato che durante le riprese spesso aveva in cuffia la musica che gli mandavo. forse anche questo ha influito.

CS: Il brano pianistico finale del CD "Ghosts" da chi è suonato? Da lei o da Gilda Buttà? Ci sono un tocco di una asciuttezza e intensità impareggiabili.
SL: È Gilda, impareggiabile… concordo.

CS: Come è nata l'idea incredibilmente efficace di utilizzare, con alcune manipolazioni, l'Allegretto della Settima Sinfonia di Beethoven per le cesure fra un episodio e l’altro?
SL: Fu un’idea di Carmine di cui mi parlò al telefono poco dopo il nostro primo incontro. Voleva utilizzare questa musica e mi chiese se era possibile farne una versione per la nostra storia. Aveva già immaginato le carrellate finali di chiusura di ogni episodio con il II Movimento. Infatti la serie nasce come una stagione di 12 episodi anche se nella versione italiana sono stati accorpati in coppie. Questo ha implicato che in ogni serata la Settima apparisse due volte, in realtà è alla fine di ciascuno dei 12 episodi.

CS: Ho notato che nella trascrizione il coro sillaba un testo che pare di senso compiuto... o è invece una sillabazione puramente fonetica? In ogni caso dal punto di vista della drammaturgia musicale è veramente un colpo d’ala!
SL: Grazie! E' un testo originale in una lingua inventata, un mio diletto....

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