“Una grande lezione di musica per film” – Parte Diciassettesima

“Una grande lezione di musica per film” – Parte Diciassettesima

Colonne Sonore, per dare una tangibile risposta alle molteplici domande di giovani lettori che stanno studiando composizione e che vorrebbero in futuro diventare compositori di musica applicata alle immagini, ha deciso di farsi soccorrere da coloro i quali vivono in prima persona l’Ottava Arte e la creazione di musica per film e serie, chiedendo ai compositori stessi di rispondere a sei domande che la nostra redazione ha ritenuto stimolanti e soddisfacenti sul come diventare autori di musica per film.
Di seguito, quindi, le sei identiche domande a cui molti compositori italiani e stranieri hanno risposto per aiutare i futuri giovani colleghi che si confronteranno con la Settima Arte e la sua musica.

Domande:

1) Che metodologia usate nell’approcciarvi alla creazione di una colonna sonora?

2) Qualora non abbiate la possibilità, per motivi di budget o semplicemente vostri creativi, di usare un organico orchestrale, come vi ponete e quali sono le tecnologie che vi vengono maggiormente in aiuto per portare a compimento un’intera colonna sonora?

3) Descriveteci l’iter che vi porta dalla sceneggiatura alla partitura finale, soprattutto passando per il rapporto diretto con il regista e il montatore che talvolta usano la famigerata temp track sul premontato del loro film, prima di ascoltare la vostra musica originale?

4) Avete una vostra score che vi ha creato particolari difficoltà compositive?
Se sì, qual è e come avete risolto l’inghippo?

5) Come siete diventati compositori di musica per film e perchè?

6) Che importanza ha per voi vedere pubblicata una vostra colonna sonora su CD fisico oggi che sempre di più si pensa direttamente al digital download?

Mauro Crivelli (compositore di Il peso di una piuma, Lovebirds – Rebel Lovers in India, Deadshock)

1) Normalmente parlo molto con il regista, cerco di trovare i punti importanti del film dove la musica deve sottolineare o enfatizzare al meglio i personaggi o alcune scene chiave, dopo di questo passo qualche giorno a scrivere la musica, anche solo delle bozze di temi o ambienti sonori che possano raccontare al meglio la storia. Normalmente parto dal pianoforte e poi passo alla vera e propria orchestrazione. A questo punto mi presento dal regista con le idee che ho elaborato e su quelle iniziamo a lavorare seguendo la sceneggiatura passo passo. E da quel momento inizia il “viaggio”.

2) Sempre più spesso i budget per le colonne sonore sono ristretti al minimo e quindi ci tocca arrangiarsi al meglio. Per fortuna ho uno studio di registrazione in casa che mi consente la totale autonomia per la lavorazione di una colonna sonora, dalle idee di base, la registrazione fino ai passi di post produzione, mixaggio e sincronizzazione. Utilizzo prevalentemente librerie sonore Midi ai quali sovrappongo spesso la registrazione di strumenti solisti registrati dal vivo. Nel corso degli anni questa mi è sembrata una scelta più che buona per trovare il giusto compromesso per un impasto sonoro bilanciato e non avere un suono completamente digitale.

3) Leggendo la sceneggiatura già arrivano normalmente delle idee, e comincio ad appuntare queste sulla carta, anche se si tratta di semplici cellule melodiche o tessuti sonori. Una volta discusse con il regista inizio la fase di orchestrazione che può essere un processo molto lungo perché un’idea sonora può avere quasi infinte possibilità di realizzazione e di combinazioni sonore. Ma sempre confrontandomi con il regista si arriva presto alla decisione finale che comporta da parte mia un’attenta orchestrazione e arrangiamento prima su carta e poi infine utilizzando librerie sonore. Il discorso con il montatore è decisamente diverso. La Temp Track personalmente mi mette molto a disagio perché il rischio enorme è che la mente del montatore (e talvolta anche del regista) si fissi inevitabilmente su quella “deformando” poi l’idea che arriva dal compositore, che a quel punto risulterà troppo diversa. Io mi impongo sempre su questo chiarendo prima questo tipo di disguido che potrebbe verificarsi e quindi evitando anche delusioni da parte di entrambi.

4) Le difficoltà ci sono sempre in ogni lavoro, penso. Il nostro di compositori non fa eccezioni. In particolare ricordo la collaborazione con il regista parmigiano Giampaolo Bigoli, lavoravamo ad un documentario per Rai International, che parla dei matrimoni combinati in India. La musica che avevo scritto era molto elettronico-minimalista, per evitare il cliché della musica etnica su un documentario. In una scena però Giampaolo mi aveva chiesto per la prima volta che ci fosse un forte richiamo all’India. Il problema per me era abbastanza importante perché la mia partitura non era stata pensata per un organico di strumenti etnici. Dopo svariate ri-orchestrazioni e manipolazioni sonore decisi di isolare una cellula tematica di 3 note e di doppiarla con un normalissimo Sitar che andava a sovrapporsi in modo naturale al resto anche se era completamente diverso. Su questo poi il mix ha fatto molto, perché il suono del sitar andava a “fondersi” direttamente con quello dell’elettronica ed il risultato fu soddisfacente per entrambi.

5) Dopo anni di studio di musica decisi che la strada dello strumentista non faceva per me e su consiglio di un mio insegnante decisi di iscrivermi al corso di composizione che frequentai da privatista. Negli anni successivi venni a contatto attraverso una lezione con il Maestro Morricone (era il 2004) e a quel punto ho preso la decisione di studiare musica per film specializzandomi sia in Italia (sono stato allievo di Bacalov) sia all’estero. La cosa che mi ha da subito interessato è la possibilità di creare qualcosa di nuovo che non esisteva. Mi affascina molto sottolineare paesaggi e stati d’animo con qualcosa che vada oltre la sola immagine e che possa far percepire allo spettatore qualcosa di più profondo e la musica in questo è perfetta!!!

6) In questa epoca che ci avvia ad una completa digitalizzazione, il supporto fisico perde valore materiale ma ne acquista molto in termine di prestigio. La mia musica è distribuita sui principali Digital Stores, e la cosa mi piace molto. Ma la possibilità del supporto fisco resta ancora una cosa molto attraente, per ora non ci sono riuscito tranne per qualche decina di copie autoprodotte, ma sarebbe molto soddisfacente in futuro avere anche una distribuzione fisica.

Gabriele Panico (compositore di Babbo Natale, Il successore e della serie Rai Angelo – Una storia vera)

1) Sono un compositore. Il mio lavoro è costruire segmenti di tempo musicali destinati all’ascolto mettendo assieme (comporre) grammatiche, funzioni, variabili, limiti e intuiti. Affinché questi segmenti possano funzionare cinematograficamente, devono “reggersi in piedi” già da soli. Creare una colonna sonora ti costringe a lavorare con dei parametri anche extramusicali: durate, aderenze, contrasti, luce, profondità, pathos. Il primo nodo che cerco di sciogliere, quindi, è individuare il rapporto tra tempo filmico e tempo metronomico. Questa chiave ritmica, intesa in senso ampio e non esclusivamente percussiva, mi consente contemporaneamente di indagare in profondità sulle scelte di regia e di riuscire a proporre una partitura profondamente aderente e non solo didascalica. In genere, il resto delle componenti di un pezzo – dalla strumentazione all’armonia - viene fuori non appena poso questa prima pietra.

2) Quando lavoro in solitaria anche come esecutore, il meccanismo della sovraincisione resta una disciplina fondamentale. Fin dai miei primi lavori in questo ambito, ho dovuto da subito sviluppare tecniche, tempi e capacità strumentali che mi hanno permesso di sopperire, quando non disponibili, alla mancanza di veri ensemble. L’elettronica e, più precisamente, il digitale aiutano non poco evidentemente. Non tanto dal punto di vista della composizione quanto da quello della realizzazione. In generale, comunque, sono un grande utilizzatore di tecnologie e di processi elettronici anche applicati agli strumenti acustici. Nonostante le differenti direzioni musicali che il cinema mi permette di esplorare, la ricerca sul timbro resta una mia grande costante. E l’elettronica mi consente di scavare il più possibile anche in questa direzione.

3) Un attendibile esempio di questo iter è il recente rapporto costruito con Luca Bianchini, regista della serie Rai Angelo – Una storia vera. Oltre alla sceneggiatura, provini, appunti dal set, visioni furtive dei “giornalieri”... è stato lo scambio diretto con Luca che mi ha acceso delle idee. La sua ostinazione a non porre filtri e amplificatori alla realtà complessa dei protagonisti, i grigi scenari delle periferie, la grande voglia di riscatto che ha alimentato la sua scelta di girare quel film mi ha ispirato un linguaggio scuro e duro ma pronto ad accendersi e a colorarsi. Ho iniziato producendo tre temi e delle variazioni che pare abbiano funzionato da subito. In sala montaggio ho ritrovato Andrea Facchini con cui lavoro spesso e siamo molto amici. Il lavoro, quindi, si è sviluppato abbastanza velocemente nonostante la composizione seriale del film. La sintonia sonora, figlia anche di alcuni ascolti comuni, si è costruita già nei primi incontri.

4) Premetto che ogni lavoro per il cinema inizia sempre con un grande punto interrogativo. La fortuna di lavorare con autori molto differenti tra loro (documentaristi, videoartisti, commediografi, autori televisivi, neorealisti) appaga la mia (presunta) voracità di ascoltatore, metabolizzatore e scrittore di musica. Detto questo, ribadisco che ogni pellicola rappresenta un punto zero. Ogni volta. Mi riconosco un linguaggio molto ampio ma anche molto connotato. E declinarlo a favore di una serie di immagini ordinate e fotografate da un altro soggetto è di per se un inghippo. Questo mestiere resta un mestiere musicale. Anche se ci troviamo nel mondo delle immagini in movimento: qualcuno, da qualche parte, dovrà ascoltare come suona una nave affondata, la redenzione di un assassino, la costruzione di un enorme torre o il più disperato degli abbracci. Solo che lo spartito lo suggerisce la cinepresa.

5) Le mie prime composizioni per le immagini sono state per due brevi film di Edoardo Winspeare. Il primo era una biografia su di un prete-filosofo, il secondo era un documentario per il format Ballarò di Rai Tre. Nel primo caso ho lavorato con strumenti elettronici, nel secondo avevo a disposizione un’intera banda! Come vedi, da subito ho sperimentato i due estremi... Sul perchè abbia iniziato a comporre per il cinema, posso solo dirti che mi piace lavorare con dei parametri. Mi piace sperimentare suoni e linguaggi anche in seno ad altri ambiti espressivi, non solo nelle forme concerto. Inoltre, mi rassicura il fatto che nella mia musica per il cinema riaffiorino elementi sia della mia attività di compositore accademico che quelli provenienti dalle mie produzioni Larssen. Vuoi vedere che sono le immagini a mettere pace tra due anime apparentemente distanti?

6) Io sono molto legato al supporto fisico. A mio avviso, il supporto ha contribuito in molti casi e generazioni a sviluppare attenzione ed educazione all’ascolto. Temo sempre molto le pareti di hardisk esterni pieni zeppi di file digitali... tendiamo ad accumulare materiali anche per la semplice facilità di reperimento. Ma è probabile che un ascolto attento non lo si darà mai a gran parte di quei tera bytes salvati. Indubbiamente, però, la pubblicazione digitale dei lavori ti proietta in portali e negozi virtuali in tutto il mondo. Per chi non è legato alla pop music più immediata e di stagione questa è una gran bella opportunità. Discograficamente curo prevalentemente le uscite dedicate alla musica contemporanea e sue declinazioni (il mio ultimo lavoro, “Orsobruto” uscito per Pocket Panther Records, cerca di fondere il jazz elettrico con la musica da camera) e alla musica elettronica nelle sue mille sfumature. In quest’ultimo caso, uso il nome della mia piattaforma produttiva: Larssen. Ovviamente, il digitale è una tappa discografica obbligata e per molti aspetti più snella. Ma preferisco comunque far stampare i miei lavori. Le stesse tracklist nascono e sono organizzate in base a durate e sequenze per supporti fisici (anche vinili). Diciamo che fisico e digitale possono accontentare sia chi vive di portatilità che di collezionismo, sia chi ascolta in movimento sia chi ha una poltrona e vuole dosare per bene l’attenzione. Da qualche anno mi si propone una raccolta di mie colonne sonore. Io ci provo a disegnare una tracklist... il duro è selezionare! Forse proprio il digitale potrebbe risolvere l’impasse: pubblicare tutto senza problemi di spazio e durate.

FINE DICIASSETTESIMA PARTE

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