Il mio Pinocchio - Intervista esclusiva a Dario Marianelli

 

Il mio Pinocchio - Intervista esclusiva a Dario Marianelli

Il premio Oscar e Golden Globe Dario Marianelli – per Espiazione del 2007 con la regia del sodale Joe Wright – è stato nominato ai prestigiosi premi italici del David di Donatello per la sua colonna sonora originale per il Pinocchio di Matteo Garrone. Pisano (classe 1963), ma londinese di adozione, Marianelli ha all’attivo un curriculum cine-musicale di enorme rispetto, con 14 vittorie e 49 candidature nel suo carnet compositivo e una settantina di score tra corti, documentari, serie, film dal respiro intimista e indipendente o facenti parte del mainstream internazionale hollywoodiano, spaziando tra i generi, lavorando con registi considerevoli quali Terry Gilliam, Neil Jordan, Lasse Hallström, Bille August e il summenzionato Wright, per il quale ha realizzato quasi tutte le musiche delle sue pellicole (cinque film sin d’ora).

Lo abbiamo incontrato, proprio subito dopo aver avuto la notizia della nomination ai David di Donatello, per farci raccontare la sua esperienza professionale con l’ennesima trasposizione di Garrone della novella di ‘Pinocchio’, questa volta più fedele al celebre romanzo formativo per ragazzi ‘Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino’ di Carlo Lorenzini soprannominato Collodi, e alla notissima versione televisiva anni ’70 di Comencini con Nino Manfredi. Ma non solo di Pinocchio abbiamo dicusso!



Colonne Sonore: Che impronta ha lasciato nella sua memoria di bimbo lo storico e indimenticabile sceneggiato Pinocchio di Luigi Comencini del 1972 con le musiche esemplari e poetiche di Fiorenzo Carpi? E cosa ha significato per Lei essere chiamato da Matteo Garrone per musicarne l’ennesima fedele trasposizione?
Dario Marianelli: Guarda, se mi metto a parlare di Carpi non smetto più… Qualche anno fa, grazie a sua figlia Martina, sono riuscito ad avere le scansionature di tutti i suoi manoscritti del Pinocchio. Non ti posso nemmeno incominciare a dire l’emozione di vedere i segni a matita fatti da Carpi dei primi abbozzi delle prime idee dei vari temi. Quei temi me li ero portati in testa per anni, nella memoria, ogni tanto li suonavo al pianoforte per le mie figlie: quando uscì il DVD della serie e l’ho riguardata insieme alle mie bambine, mi è sembrato che la musica che riascoltavo dopo tanti anni mi riportasse indietro un pezzo di me stesso. I temi di Carpi sono tutti memorabili, semplici ma raffinati e non scontati, c’è sempre un velo di malinconia mescolato all’arguzia leggera, e al mestiere consumato. A me il libro Pinocchio me lo leggeva mio padre la sera a letto, da piccolo. L’ho riletto da solo da adulto, e poi di nuovo l’ho letto alle mie figlie. Leggendo da adulto mi ha sorpreso quanto “moralismo” Collodi infila spesso e volentieri: ma la sorpresa è più che altro dovuta al fatto che da bambino, quei passaggi moralistici passavano senza lasciare alcuna traccia. La traccia invece la lasciavano le avventure e disavventure, l’immaginario visivo che si scatenava nella testa mentre uno cercava di figurarsi che aspetto avevano i personaggi, le situazioni, le paure; tutte le cose che per me Matteo Garrone è riuscito a trasportare nella sua versione. Con Matteo ci siamo parlati quando aveva già girato diverse scene, e ci siamo “acchiappati” velocemente, mi pare. Il riferimento a Comencini e a Carpi era abbastanza inevitabile, e credo che per entrambi fosse ovvio quanto difficile sarebbe stato navigare una nuova versione che fosse fresca ma anche fedele all’originale di Collodi; e per me trovare una voce musicale mia, ma che da qualche parte contenesse un omaggio a Carpi, della cui musica sono innamorato da sempre.

CS: Quale versione della celebre novella di Collodi, se le ha viste e le sono state di spunto per la sua attuale composizione, le è piaciuta maggiormente, tra quella stranota animata di Walt Disney del 1940 con la colonna sonora premio Oscar di Leigh Harline, Paul J. Smith e Ned Washington, Le straordinarie avventure di Pinocchio del 1996 con score di Lee Holdridge e Rachel Portman e il Pinocchio di e con Roberto Benigni (che nel film di Garrone interpreta Geppetto) con le musiche di Nicola Piovani?
DM: Del Pinocchio di Disney avevo una vaga memoria, non buona, devo ammettere. Per me, toscano, che riconoscevo in Pinocchio anche una parte di cosa significa sentirsi toscani, l’americanissimo cartone animato sembrava più sacrilego che divertente. E anche le altre versioni di cui parli avevano colonne sonore piuttosto turgide, da orchestra troppo grossa, che non mi avevano convinto. Sicuramente la scelta di Carpi, geniale, di un’orchestra impossibile dove il clavicembalo convive coll’armonica a bocca, e il flauto dolce con la chitarra elettrica, mi sembrava la strada più “vera” — ho cercato di percorrerla a mio modo e così facendo omaggiare, anche se lateralmente, il genio di Carpi.

CS: Sono evidenti e dichiarati i richiami a Carpi nel suo score per il nuovo Pinocchio con Roberto Benigni. Vi è tutta la malinconica e fiabesca elegia rurale, in forma di lento valzer, che era la predominante della partitura dello sceneggiato con Nino Manfredi e Gina Lollobrigida, sia da un punto di vista strumentale che armonico, però è anche vero che vi è la sua cifra stilistica ben riscontrabile, quel ‘Tocco British’ che da sempre contraddistingue le sue colonne sonore (vedi il brano “Fuga dal pescecane”). Si rivede in quanto da me affermato? Ed eventualmente perché?
DM: Come dicevo, per quanto riguarda la strumentazione, certo, i richiami sono più che dichiarati, e spero che siano recepiti per quello che volevano essere; il riconoscimento di un approccio alla strumentazione, quello di Carpi, che mi pareva molto più appropriato che non l’orchestra tradizionale. E hai ragione rispetto all’armonia: c’è un’aspirazione a un certo tipo di semplicità non semplicistica, che è una delle doti per me più spiccate della musica di Carpi. Il tocco British è difficile da quantizzare… A parte il fatto che sono trent’anni che vivo a Londra, a volte mi chiedo se non fossi stato un po’ British anche prima di partire, e il “tocco” me lo sono portato dietro quando son partito dall’Italia. Ma quello che dici forse tocca un punto abbastanza elusivo della musica per le immagini. Credo che tu abbia ragione, che nella colonna sonora di questo Pinocchio ci siano due approcci abbastanza diversi fra loro: uno più “oggettivo” (forse è quello che ti richiama di più a Carpi) dove la musica cerca di tenere la sua strada senza subire troppe pressioni da quello che succede sullo schermo. Lo chiamo l’approccio “oggettivo” perché l’altro, invece, cerca di amplificare degli stati d’animo soggettivi, come nel pezzo che menzioni della “Fuga dal Pescecane”. Ma è parecchio complicato tenere questa distinzione. Anche nel Pinocchio di Carpi esistevano momenti di questo tipo, più “soggettivi”.

CS: La traccia “Babbo mio, se tu fossi qui…” contiene in nuce tutta la musicalità popolare della commedia dolceamara italica di Carlo Rustichelli, Nicola Piovani, Riz Ortolani, ovvero dei grandi Maestri della sontuosa tradizione cine-musicale del passato. Cosa le è rimasto dentro e cosa le manca, oggi come oggi nel panorama dell’attuale musica applicata, del modo di comporre di questi illustri nomi, soprattutto se rapportato al suo lavoro per Garrone?
DM: Di sicuro Piovani è un grande maestro, ma proprio “del passato” non mi pare! Ma capisco a cosa ti riferisci: io credo che l’influenza di questi grandissimi che menzioni, e di tanti altri che hanno contribuito a creare il suono “dolceamaro italico” sia ancora più che viva e presente in tanti compositori che scrivono adesso. Certamente io la sento molto, e sono piuttosto cosciente di quanto certe mie predilezioni armoniche e melodiche non ignorino il fatto che sono cresciuto fra gli anni ‘60 e ‘70 in Italia; e allora mi piacerebbe menzionare anche Simonetti, Umiliani, Trovajoli, Cicognini. Forse in questo Pinocchio ho cercato quella voce più del solito, e mi fa piacere se ce la senti.

CS: Il pezzo “Il gatto e la volpe” è una marcetta grottesca e disillusa al contempo. Ha preso ispirazione nel comporla sia dall’interpretazione storica dei comici siciliani Franco Franchi e Ciccio Ingrassia che furono i furfanti Gatto e Volpe nello sceneggiato del 1972 oltre a quella attuale più cinica e malevola di Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini?
DM: Entrambi. La versione di Carpi era un tango sbilenco con qualche nota volutamente “storta”. Io ho usato la marcetta con lo stesso scopo: è una musica che prova a metterti di mezzo ma non riesce completamente.

CS: Secondo Lei come viene fuori dalle immagini la sua partitura in Pinocchio?
DM: Ormai sono troppo vicino al lavoro per poter giudicare obiettivamente. Rispetto ad altre versioni di Pinocchio, quella di Matteo ritrae il lato più dolce del personaggio, e meno, invece, quello più bizzoso e stizzoso che proiettava Andrea Balestri nella versione di Comencini. Mi pare che nel nostro film prevalga il carattere più tenero e generoso di Pinocchio, e che la musica appoggi quella tendenza — dove magari nella versione di Comencini il burattino era spesso birbante e insolente, e la musica pure.

CS: Il tenero tema portante del film si sublima nell’interpretazione canora dell’intensa e delicata vocalità di Petra Magoni nel brano “Passo passo”. Com’è nata l’idea di coinvolgerla nella canzone dei titoli di coda?
DM: Già nelle prime conversazioni con Matteo era nata l’idea di usare una voce femminile per il tema della Fata. Ho contattato Petra, mia concittadina (parlo di Pisa, non Londra) e voce fenomenale, proprio perché sapevo quanta immaginazione poteva portare a un colore così importante. Verso la fine del lavoro, quando ormai mi preparavo a venire a Roma per registrare la partitura, Matteo quasi di sfuggita mi chiese se avevo pensato a che cosa potevamo fare per i titoli di coda. Avevamo già ormai il tema della Fata come uno dei temi principali, e ho pensato che forse potevo trovare delle parole adatte per trasformare quel tema in una canzone. Non ero convinto che Matteo avrebbe accettato l’idea, ma con Petra abbiamo cominciato a lavorare, abbastanza speditamente, mentre lei era in giro per concerti, poi in giuria a San Remo, poi negli Stati Uniti, ma insomma fra un viaggio e un altro è riuscita ad andare in studio e a registrare diverse versioni della canzone. La feci sentire a Matteo pochi giorni prima del missaggio finale del film, e gli piacque molto.



CS: Come ha accolto la candidatura al prestigioso premio David di Donatello per le musiche di Pinocchio?
DM: Ogni candidatura è un grandissimo complimento, e quindi fa un grandissimo piacere.

CS: Cosa ha comportato nella sua carriera, lontano dall’Italia, aver musicato due opere italiche di registi importanti quali Marco Tullio Giordana (Nome di donna) e Garrone (Pinocchio)?
DM: Dal punto di vista della carriera, non so; dal punto di vista della soddisfazione mia personale di aver lavorato con registi ispirati e stimolanti, un grande piacere e onore. Il fatto che le opere siano italiche è secondario, direi. Però mi sono divertito molto a venire a Roma a lavorare. In questo momento sembra il ricordo di un’altra vita, quando ancora si poteva saltare su un aereo la mattina, comprando il biglietto il giorno prima, e magari ritornare la sera stessa dopo aver incontrato il regista davanti a un piatto di spaghetti al cacio e pepe…

CS: Transitiamo dal fantasy popolare italiano di Garrone al bombastico sci-fi d’oltreoceano Bumblebee del 2018, spin-off della saga blockbuster miliardaria Transformers. Nel suo ambito compositivo cosa ha voluto dire passare da una mega produzione hollywoodiana ad un film, sì dal respiro internazionale ma pur sempre dal budget altamente differente, quindi da una compagine orchestrale enorme a una formazione ridotta e quasi cameristica? Un respiro di sollievo e una quasi riappropriazione del suo stile primigenio o semplicemente una variante piacevole nell’atto prettamente compositivo?
DM: Mi ero già ridimensionato, dopo il bombastico e prima del popolare, con un’escursione nel bucolico — avevo lavorato a una nuova versione britannica di The Secret Garden; doveva ahimè uscire questo Aprile scorso, ma per ovvie ragioni è stato rimandato. E comunque avevo usato l’occasione per rifarmi il palato usando un’orchestra assai più modesta di quella di Bumblebee, anche se un poco più nutrita di quella che ho usato poi per Pinocchio. E hai perfettamente ragione comunque: è stato sia un respiro di sollievo che una riappropriazione (Anche se il bombastico ha i suoi vantaggi…)



CS: Il suo prossimo score, già concluso, è un altro fantasy: il succitato drammatico favolistico Il giardino segreto con Colin Firth e Julie Walters, remake del film con il medesimo titolo del 1993 di Agnieszka Holland e musiche stupende di Zbigniew Preisner. Ha ascoltato la composizione del compositore polacco? Come si è approcciato a quest’altro elegiaco romanzo fiabesco?
DM: Non ho visto la versione di Agnieszka Holland. La musica che ho scritto per Il Giardino Segreto è piuttosto semplice. L’aspirazione principale era quella di investire il giardino di una personalità propria, un po’ come se fosse una grande creatura che si risveglia da un letargo lunghissimo quando viene riscoperto dalla bambina protagonista. In questa versione il giardino si anima, letteralmente; anche se non è chiaro se ciò che vediamo di magico avviene solo nell’immaginazione dei protagonisti. C’è molto del gotico Jane Eyre, in The Secret Garden; atmosfere misteriose su brughiere piene di nebbia; notti insonni passate in una casa enorme e sinistra. La musica cerca di dare corpo “tangibile” a presenze invisibili: quella dello spirito del giardino, o quella di memorie che rimangono incomprensibili quasi fino alla fine. Molto British…

Un ringraziamento speciale alla generosità e simpatia del Maestro Marianelli nell'averci concesso questa sua intervista e ad Alice Atkinson dell'agenzia Air-Edel per aver fatto da tramite

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