Nicola Scardicchio, illustre "sconosciuto"

Nicola ScardicchioIl discepolo di Rota si racconta: l'occasione mancata per la musica da film italiana

Incontro finalmente Nicola Scardicchio, in un’aula del conservatorio di Bari. È appena tornato da un concerto che ha diretto presso la sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Questa è la sintesi di una piacevolissima “chiacchierata-fiume” che ha spaziato su tanti argomenti non solo cinemusicali, dai quali è emerso il compositore, il direttore d’orchestra e l’appassionato docente di storia della musica, ma soprattutto una persona simpatica e schietta. 
 Per chi non conoscesse il M° Nicola Scardicchio, rimando alla pagina di Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Scardicchio), pubblicata su autorizzazione del nostro, e dalla quale vengono fuori una formazione e una carriera costellate da nomi illustri come Raffaele Gervasio, Leonard Bernstein, Gian Francesco Malipiero, Bruno Maderna, Luciano Berio, Arturo Benedetto Michelangeli, Maria Callas, Renata Tebaldi e ancora Pasolini, Moravia, De Chirico, Visconti, solo per fermarsi qui. Ma primo tra tutti il suo maestro, e non solo di musica, Nino Rota.

ColonneSonore: Tra i tanti nomi che saltano all’occhio leggendo le tue note biografiche, ce n’è uno che mi ha subito ricordato una frase. Stravinski diceva che qualsiasi sua musica sarebbe andata bene per qualsiasi film. Cosa voleva dire secondo te?

Nicola Scardicchio: Si tratta del periodo delle lezioni di Harvard, e fa riferimento alla oggettività della musica, adattabile a qualunque cosa che produca un significato. Certo una marcia funebre su un film come Bambi forse è fuori luogo, ma, a parte le caratterizzioni volute, ogni musica ha i suoi ritmi interni; Stravinski non aveva alcuna intenzione di adeguarsi fisiologicamente alla durata delle sequenze, tanto che non apprezzò che la sua "Sagra della Primavera" fosse utilizzata per il film disneyano Fantasia, non tanto per l’accostamento a quelle immagini, quanto per lo stravolgimento che la musica subì in montaggio per farla durare quanto serviva; anche Bernstein, nella sua esperienza per il film Fronte del Porto di Elia Kazan, decise di chiudere con la musica da film, il dover adattare le leggi di organizzazione architettonica musicale al metraggio cinematografico lo fecero sentire meno libero. All’opposto, Rota era contentissimo di questo, il fatto di avere un “ostacolo da saltare”, fare in modo che ci fosse una analogia tra immagine e musica, realizzare un’opera musicale che coincidesse con quella cinematografica, era per lui una sfida artistica; avendo io avuto modo di guardare le partiture originali del maestro, si vedeva chiaramente che non c’erano forzature, come per esempio togliere o mettere due note per far quadrare la musica con la scena; si trattava di frasi coerenti in sè, che andavano di pari passo al ritmo cinematografico, secondo un processo analogico.

CS: È questa la specificità del compositore di musica per film?

NS: 
Sì, e secondo me ci sono due modi di intervenire nettamente separati: da un lato la musica a metraggio, la carta da parati, il “mickeymousing”, in cui il ritmo della musica e quello della scena vengono sovrapposti, come nel film L’uomo che sapeva troppo di Hitchcock; lì addirittura la partitura era preesistente, e il ritmo del montaggio è stato ricavato dalla musica; dall’altro lato ci sono i compositori che procedono per analogia, e che si chiedono “Quanto dura questa sequenza? Cosa succede in questa sequenza? Qual è il climax espressivo?”. A partire da questo il compositore segue un percorso parallelo, cioè, il compositore con i suoi mezzi fa ciò che fa il regista.

CS: Esiste un pregiudizio sui compositori di musica per film in ambito accademico?

NS: L’unico pregiudizio, anche mio, viene fuori quando la musica per film la scrivono quelli che non conoscono la musica. Rota diceva una cosa per me fondamentale: “meglio una bella canzone, che un brutta sinfonia”. Non si tratta di morale, ma di una deontologia che impone di saper fare ciò che si sa di saper fare. Le grandi partiture di John Williams per Harry Potter, per esempio, sono vere e proprie sinfonie; stimo molto il compositore americano, e una mia vecchia idea è quella di invitarlo qui a Bari per dirigere le musiche di Rota, e qualche amico di Rota che diriga le musiche di Williams, la stessa orchestra nella stessa serata, perchè secondo me c’è affinità tra i due compositori.

CS: Nel panorama italiano, quale compositore di musica per film stimi particolarmente?

NS: Franco Piersanti scrive ottima musica; anche Piovani, ma Franco mi sembra più “croccante”. Piovani va un po’ dietro a certe idee musicali del “fare alla maniera di...”, sembrerebbe avere un po’ meno personalità.

CS: Cosa ne pensi di quelle colonne sonore che vanno un po’ contro il sistematico ricorso al tematismo, in cui non è immediatamente riconoscibile un’idea melodica, come se fosse smontata dalla partitura?

NS: 
Raffaele Gervasio ci diceva che i temi sono come i personaggi di un romanzo, chi ascolta o legge deve ricordarli; in un pezzo di musica, se al posto del tema c’è un effetto sonoro in un certo senso è la sua assenza che si fa presenza, come dire, anche l’assenza è una sottolineatura; in quel caso a farsi personaggio è il suono. Ne Il padrino ad un certo punto c’è una scena terribile, e nello stesso momento c’è un effetto sonoro realizzato solo con due corni a ottava che fanno uno sforzato e un diminuendo, basta... ma è un colpo allo stomaco! Peggio di un intero requiem... non c’è tema, ed è come dire “non ci sono parole”. È geniale l’efficacia risultante dalla economia estrema, la quale a volte si affida, se non al tema, a quella che Schoenberg, nel suo famoso Trattato di Armonia, chiama la “melodia timbrica”. 
Mi viene in mente il film Roma di Fellini, molto apprezzato da Pasolini per il fatto che ci fosse poca musica, quasi in stile documentaristico, di testimonianza; una colonna sonora troppo presente, con dei temi in evidenza avrebbe interferito con il carattere del film, avrebbe bloccato l’atemporalità del racconto; la colonna sonora si affida così alle canzoni dell’epoca del fascio, che fanno il colore, e ad un “temino”, che pure c’è, ma che è discreto, non si impone, un tema che nega la sua presenza, diventando un colore.

CS: Mi vengono in mente le parole del M° Bacalov che a lezione ci diceva che spesso, scrivendo la musica per film, le note del tema sono l’ultima cosa rispetto al contesto in cui la melodia è immersa.

NS: Certo, anche i film che hanno grandi personaggi tematici a livello musicale, poi hanno un arredamento sonoro in cui un effetto, uno strumento, un colore servono per creare l’atmosfera. Penso al fischio di Alessandro Alessandroni nelle musiche di Morricone per i western di Leone, o allo scacciapensieri... a prima vista timbri lontani anni luce dall’universo sonoro del West, ma che invece, analogicamente, ci rientrano di diritto e si percepiscono immediatamente; spesso in un film non è necessario che venga fuori il tema; il tema a modo suo è un personaggio che deve entrare nel momento giusto.

CS: Come dire, il compositore di musica per film ovvero “l’arte della discrezione”...

NS: Assolutamente.

CS: Nicola, conoscendoci da un po’ e conoscendo la levatura della tua carriera, ho sempre avuto in mente una curiosità che ora ti chiedo di togliermi: con tutte queste esperienze, collaborazioni, le tue conoscenze, la tua passione per il cinema e il tuo preziosissimo discepolato con Rota, ho sempre pensato che fossi ad un passo dal diventare un compositore di musica per film. Perchè non è accaduto? C’è un motivo?

NS: Mi è stato proposto varie volte, devo dire, ma sono cose che non si sono mai realizzate. Ho avuto modo di scrivere per il teatro, il balletto, per un documentario, ma mai per il cinema e, sinceramente, mi dispiace perchè lo adoro, una forma che oggi occupa lo spazio che nell’800 occupava il melodramma, una forma conglobante, una “armonia di cose armoniche”, come Aristotele definiva la tragedia.
Devo però ammettere che c’è una mia responsabilità per questa ancora mancata esperienza. Quando morì Rota, con Fellini ci riproponemmo di rivederci al più presto. Ciononostante il momento era di tale dolore per entrambi che l’idea di vederci e pensare alla composizione non ci venne proprio. Fellini in quei giorni girava con parecchio disagio, quasi senza motivazione, La Città delle Donne; la mancanza del suo musicista ma soprattutto la mancanza dell’amico erano incolmabili. Giorni dopo gli eredi e parenti di Rota, che conoscevo bene pur non essendo persone presentissime nella vita del maestro, mi dissero di chiamare Fellini; il regista, proprio per il film che stava girando, sperava che, come discepolo di Rota, fossi disposto a dargli una mano sulla colonna sonora. Pur avendo con Federico un rapporto cordiale e una discreta consuetudine, devo confessare che quella proposta mi intimidì; e poi sai... scrivere la musica per Fellini, dopo Rota...

CS: Un’eredità obiettivamente troppo pesante.

NS: Esatto. Quelli che c’hanno provato hanno fatto un buon lavoro, ma onestamente non ricordiamo quei film per la musica; anche Bacalov che collaborava frequentemente con Rota, scrivendo per lui eccellenti strumentazioni e arrangiamenti, non ebbe la stessa incisività; insomma, ci voleva un musicista che fosse “almeno” un Rota. È una cosa che comincio a dire solo adesso con maggior sfacciataggine perchè fino a qualche anno fa c’era la soggezione dell’esser stato suo discepolo, era quindi facile fare il panegirico ad una persona a cui sei stato così vicino; ma oggi come oggi, anche da docente di storia della musica, mi rendo conto che nel ‘900, personalità così individuate, così chiare con se stessi nel loro concetto compositivo ne ho visti e conosciuti ben pochi... Britten, Shostakovich, anche Bernstein, che è un ottimo compositore ingiustamente vessato dalla critica che lo classificava come “un direttore d’orchestra che compone”, mentre personalmente ritengo che la musica di West Side Story non sia meno bella della Boheme, entrambi capolavori assoluti. Troppo spesso però Bernstein è stato fatto a pezzi. Ricordo un suo concerto cui ho assistito; prima dell’inizio del concerto incontrai un amico critico musicale, che eviterò di nominare, molto conosciuto nell’ambito, il quale alla sola lettura del programma esclamò “Aaah, ci sarà da prenderlo in giro...”. Insomma, prima di ascoltare il concerto aveva già deciso il suo verdetto! Mi rendo conto che non era nemmeno in malafede, nel senso che si trattava della opinione diffusa della critica “intellettuale” che spesso non coincide con “intelligente”, e che aveva un pregiudizio sul suo essere americano, sulla sua musica che “si ascolta con le orecchie” e non necessariamente di avanguardia, e in più sull’essere un famoso direttore d’orchestra.

CS: Squilla il tuo telefono e vogliono te come compositore per un film. Chi vorresti che fosse il regista?

NS: Più che un regista ti dico un genere, un film tipo Harry Potter, sono un vero appassionato, e mi affascinano le storie su ciò che ancora non comprendiamo, incluso il potere della mente. Nel primo film della saga, nel loro apprendistato i giovani maghi devono imparare con enormi sforzi a sollevare una piuma... la cosa che mi piace è il concetto che anche in un mondo fantastico ci sia l’idea del lavorare duramente. Giuseppe Verdi diceva che il genio è sgobbare. A casa di Rota poi c’era uno splendido tavolo da marina, di quelli in mogano rosso, piedi in ottone, completamente ricoperto di carta da musica, colla, ritagli, lamette in completo disordine. Gli dissi: “Maestro che bel tavolo, peccato trattarlo così...”, e lui: “quale uso migliore per lavorarci?”.

Antonio Tuzza insieme a Nicola ScardicchioCS: Se Rota non fosse venuto a Bari, oggi il conservatorio sarebbe diverso? Cosa ha lasciato di riconoscibile?

NS: 
Innanzittutto ha lasciato una classe di insegnanti vissuti nella consapevolezza che la musica si fa in una certa maniera, e che ci sono cose che non si devono fare. Era una persona di una umanità straordinaria, ha fatto lezione a tutti quelli che sono passati per il conservatorio in quegli anni, dal bidello a Riccardo Muti, nato con lui, il quale, visto il giovane talento, lo spedì a studiare a Napoli dove c’era una vera orchestra. La grandezza di Rota come maestro era quella di non dire mai a nessuno cosa dovessero fare, bensì come realizzare ciò che noi ci eravamo proposti di fare. Da un punto di vista musicale, ha fatto nascere un’orchestra vera e un ente lirico; egli era convinto che ogni città degna di questo nome dovesse avere un’orchestra e un pubblico, per ogni genere di musica, anche quella dei suoi detrattori. Anche il nostro conservatorio, qui a Bari, non è un conservatorio “provinciale”, pur con i suoi mille difetti, è una struttura di cui si parla con molto rispetto, ed è uno dei più grandi d’Italia dal punto di vista delle iscrizioni.

CS: Nicola, cosa bolle in pentola?

NS: 
Sto scrivendo un pezzo per chitarra sola che è una cosa difficilissima! Meglio, così sono costretto a studiare. Se posso confidare un desiderio, mi piacerebbe scrivere un musical su Sherlock Holmes, una forma di spettacolo che adoro...

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