Intervista esclusiva a Paolo Vivaldi

Le Rifrazioni di un compositore per il Cinema e la TV - Intervista esclusiva a Paolo Vivaldi
a cura di Gianmarco Diana
per Colonnesonore.net

Intervista registrata l’8 febbraio 2021 in collaborazione con “CinematiCA – Suoni da e per il Cinema

Colonne Sonore: Partiamo dalla pubblicazione del tuo recente album per piano solo “Refractions”, uscito a dicembre dello scorso anno: puoi raccontarci la genesi del disco? Ha a che fare anche con il ‘momento storico’ e la fase di emergenza mondiale che stiamo vivendo?
Paolo Vivaldi: Avevo già pubblicato un disco “The Solo Piano” nel 2013 con un’etichetta siciliana e questo disco è un po' la “seconda parte” di un lavoro che avrei voluto registrare già precedentemente negli anni, ma che non avevo mai trovato il tempo di realizzare. Quindi ho raccolto dei brani, alcuni scritti anche durante il periodo del lockdown a casa e li ho pubblicati con la Telecinesound, questa nuova etichetta legata con il catalogo americano della APM Music, la più grossa library di Los Angeles, che raccoglie vari compositori da tutto il mondo.

E’ un progetto dedicato alla libera scrittura, alla figura del compositore puro, tirato fuori da quella ‘gabbia’ nella quale è spesso rinchiuso il compositore di musica per le immagini. “Refractions” è una raccolta di brani scritti ed eseguiti con uno stile molto personale, anche perchè cerco di non cavalcare quest’onda del “minimalismo” che c’è in giro, che sarebbe un “doppione”, e forse non mi rappresenterebbe.

CS: Ti riferisci a compositori come Michael Nyman o Philip Glass ed al loro minimalismo musicale applicato al cinema?
PV: No, assolutamente. Magari! Io mi riferisco ad un altro tipo di ‘minimalismo’ tipicamente italiano, che si muove su direzioni “fuorvianti”, almeno rispetto a quello che è il mio stile, e non mi ci ritrovo. Non mi rispecchio in questo tipo di scrittura, quindi scrivo quello che sento e che voglio scrivere: una scrittura libera, anche se sicuramente tematica, essendo io uno che viene dal cinema, dalla televisione e dal teatro. E poi io amo scrivere dei temi, cosa che ormai è diventata un po' vintage.
Le colonne sonore oggi sono più dei sound design che delle scritture musicali.

cover paolo vivaldi refractions

CS: Come hai sottolineato, l’album esce per la Telecinesound Records, etichetta legata all’omonimo storico studio romano, già di proprietà di Bruno Canfora, poi del grande Maurizio Majorana (bassista dei MARC 4, musicista e session player per le orchestre della RAI, il cinema, la televisione e la radio): negli anni sono passati in questo studio i migliori musicisti della Golden Age della musica italiana!
PV: Anni d’oro, dai ‘50 fino ai ‘90, forse irripetibili, anche e soprattutto perchè la tecnologia ha condizionato e cambiato tutta l’impostazione di come si scrive e realizza una colonna sonora oggi. Infatti, per tornare a “Refractions”, ho voluto scrivere un disco per solo pianoforte, ma molto articolato nella varietà dei suoi stili: ci sono brani che ricordano Satie, altri che come colore richiamano Sakamoto, un autore che io amo moltissimo e che ho conosciuto quando già scrivevo in quello stile. Quando ho sentito le prime cose di Sakamoto ho avuto un momento di smarrimento, tipo “sono io che sono ispirato da lui o ci troviamo?” e lo ritengo uno dei più grandi geni del Novecento, un compositore che è riuscito a fondere nel suo linguaggio tutto l’Impressionismo Europeo (Ravel, Debussy, Scriabin) con la cultura giapponese, nella sua immensa musicalità che spazia da progetti con Alva Noto, sospesi tra elettronica e musica concreta, a temi pazzeschi come per Il tè nel deserto o L’ultimo Imperatore. Una poliedricità impressionante. Anche secondo me un compositore di musica da film deve saper scrivere in molti stili, mantenendo la propria mano.

CS: La tua carriera nel cinema è cominciata ufficialmente nel 1995, per poi proseguire a gonfie vele fino ad oggi, ma – scorgendo la tua filmografia e l’elenco dei tuoi lavori fra cinema e televisione - mi sembra di notare una preponderanza di scores per la TV, spesso in partnership con la Rai, in particolar modo per quanto riguarda le colonne sonore dei biopic e delle biofiction: così, ti è capitato di sonorizzare le vite di personaggi che vanno da Alberto Sordi a Rita Levi Montalcini, da Alcide De Gasperi a Rino Gaetano, da Albert Einstein a David Copperfield, fino ad Adriano Olivetti o Edda Ciano, per non citarne che alcuni. E’ in qualche modo una conseguenza di un’ennesima crisi del settore cinema in Italia, o ci sono altre ragioni?
PV: Direi più una inevitabile casualità, anche perchè la televisione, da un punto di vista  economico, è importante perchè veniamo pagati a minutaggio, mentre nel cinema veniamo pagati ad incasso e con delle quote veramente penose: il compositore di musica per il cinema guadagna bene solo se fa le colonne sonore dei grossi film di successo, mentre se fa film piccoli stenta parecchio, perchè deve aspettare la messa in onda televisiva che a sua volta è totalmente condizionata dai passaggi su Sky o su altra piattaforma, perciò, se anche dopo passa in RAI, tutto subisce delle maggiorazioni, etc etc... sono tutti argomenti un po' spinosi.
In ogni caso, con il cinema ho avuto un percorso diverso, ho fatto degli incontri diciamo non molto fortunati, a parte quello con Claudio Caligari per Non essere cattivo (2015), per cui ringrazio ancora Dio per aver partecipato a quel capolavoro di film! Però il cinema italiano è particolare per il mio modo di scrivere, o forse sono io troppo “ingombrante” per il cinema italiano, non lo so; fatto sta che il cinema italiano prevede ormai una scrittura di una essenzialità, di una “pochezza” che sinceramente non mi si addice. Io amo scrivere una musica che si compenetri nel film, non che sia semplicemente un sottofondo, e purtroppo ormai nel panorama del cinema italiano non ci sono molte possibilità di fare qualcosa in tal senso, anche perchè è difficile, le produzioni e i registi faticano, e sono pochissimi i film che incassano. Il film di Caligari è uno di quegli esempi fortunati in cui, pur essendo tutti “piccoli”, siamo riusciti a fare un film che è andato agli Oscar nel 2016 – il 28 settembre 2015 viene designato come pellicola rappresentante il cinema italiano alla selezione per l’Oscar al miglior film straniero del 2016. Il 18 dicembre 2015 è stato escluso dalla candidatura, non riuscendo a entrare, purtroppo, nella short-list – e per il quale ho avuto anche l’onore della candidatura ai David di Donatello, in una cinquina di compositori con Morricone e Desplat, per cui personalmente sentivo di avere già vinto! Il cinema italiano con questa pandemia ha preso l’ultima botta, perchè purtroppo nelle sale non ci entra più nessuno; io ho dei figli di 18 e 20 anni che i film se li vedono su Netflix e simili. Il concetto di andare in sala sta diventando vintage, come il vinile. La globalizzazione e queste piattaforme hanno in qualche modo distrutto la sala cinematografica e la fruizione dei film, problema di cui l’Italia già soffriva da anni, e questa è la realtà. La televisione ti da, invece, la possibilità di fare dei grossi progetti e delle produzioni importanti come quelle che hai citato tu ed altre; ho avuto la fortuna di fare tante biografie, da Olivetti a Luisa Spagnoli, Mennea, De Gasperi, Einstein, etc.

CS: Partendo dal fatto che la scrittura per il cinema e quella per la televisione sono diverse, in particolare per la ‘serialità’ che contraddistingue la seconda, per un compositore come te – che scrive, arrangia orchestra da solo i propri brani e dirige in studio i musicisti – quale approccio ti è più congeniale? E quanto ti manca dirigere l’orchestra, visti i tempi?
PV: Che diriga e suoni le mie cose è una scelta, oltre che un piacere, anche perchè ho fatto degli esperimenti con un direttore professionista, ma la verità è che un direttore, anche se sale sul podio, non ha la percezione di quello che veramente tu vuoi che ‘esca’ dalla musica. Dirigere con il click è un’esperienza assolutamente diversa, che non ha niente a che fare con il dirigere a braccio come fanno i direttori di musica classica, dove veramente devi sempre portare il gesto in anticipo perchè l’orchestra arriva sempre dopo (in realtà il battere è sul rimbalzo del battere) e con il click mi sono specializzato a dirigere per ore e ore di registrazioni, producendo ad una velocità assurda, anche perchè non si ha né tempo, né budget, e bisogna produrre quantitativi immani di musica in poco tempo. E poi so come far camminare un’orchestra, con i tempi, registrando un pezzo dopo l’altro, ed in seguito con il mio collaboratore storico Alessandro Sartini, che è bravissimo e sta in regia, oppure mi da il cambio e dirige anche lui, quando facciamo turni massacranti.
L’orchestra per fortuna mi manca fino a un certo punto, avendo diretto le musiche per la fiction Rita Levi Montalcini a giugno/luglio 2020, ed in corso ho altre registrazioni. In ogni caso, secondo me dovrebbe essere la norma che il compositore diriga le proprie cose, come lo faceva Trovajoli, come lo facevano Morricone, Piccioni, e tanti altri.
Oggi molti non dirigono le proprie cose anche perchè non ne hanno, forse, le competenze o la dimestichezza, anche perchè – ripeto – è cambiato tutto e la figura del compositore di musica da film non è quella che era prima, o che è ancora oggi in alcuni paesi che non sono l’Italia, dove al contrario un po' chiunque si ingegna per diventare un compositore di colonne sonore solo perchè prende due loop, mette due chitarre e un pad e ha fatto il film.
Purtroppo la responsabilità non è di chi fa questo, ma è di chi chiede questo. Evidentemente vuol dire che gli va bene così. Molti non dirigono e nemmeno suonano perchè non hanno un’estrazione di studio: io mi sono diplomato in composizione e direzione d’orchestra non per fare il compositore di musica classica contemporanea, ma per fare questo, le colonne sonore. Molti dei miei colleghi non hanno nemmeno il diploma di solfeggio, e a me dispiace dirlo, ma qualcuno lo deve dire. Anche se non serve a nulla, perchè quelli che ci chiedono il lavoro purtroppo non si pongono minimamente il problema se uno sia preparato musicalmente, ma vogliono semplicemente sentire qualcosa. Spesso non hanno alcuna Cultura musicale, questo è il vero grande problema. Un tempo esistevano quei grandi registi – i Fellini, i Visconti – ed era tutta un’altra storia. Il mercato è cambiato moltissimo ed ha condizionato tutto, ma io so fare così, ed è così che ho imparato.

cover rita levi montalcini

CS: Parole forti, che ho letto e sentito anche in bocca ad altri tuoi illustri colleghi, a partire da Ennio Morricone.
PV: Ho incontrato Ennio a febbraio del 2020, perchè originariamente le musiche per la fiction Rita Levi Montalcini doveva farle lui, ma ormai non ce la faceva per l’età. Allora Alberto Negrin - il regista – ha chiesto ad Ennio chi voleva che lo sostituisse nel lavoro e Morricone gli ha indicato il mio nome. Sono andato a trovarlo una domenica mattina, il 22 febbraio, insieme ad Alberto, e abbiamo pranzato e parlato tanto. E’ stata una delle ultime visite che ha ricevuto, poi è scattato il lockdown ed infine Ennio se n’è andato a luglio scorso.

CS: Le posizioni di altri tuoi colleghi convergono, spesso, con le tue opinioni: parliamo infatti di compositori di estrazione classica, formatisi accademicamente al conservatorio, mentre tu sottolineavi la folta presenza di musicisti ‘prestati al cinema’ dal rock, dal pop o dall’elettronica, o anche di ‘non-musicisti’, nel novero dei compositori di soundtracks.
PV: Basta prendere, ad esempio, le grandi serie Sky e la musica dei Mokadelic. Io li ritengo molto interessanti, ma non sono compositori di colonne sonore.
E’ un’altra cosa. Possono essere utilizzati nelle colonne sonore, ma non sono dei compositori di colonne sonore. Lo stesso Ludovico Einaudi, che ha scritto la colonna sonora per quel film meraviglioso, Quasi amici, afferma di non essere per questo un compositore di colonne sonore. Un compositore di colonne sonore deve essere in grado di scrivere “la qualunque” cosa, mentre questi musicisti vengono chiamati per quello che “sono”; anche Lucio Dalla scrisse le musiche per la fiction Artemisia Sanchez per la regia di Ambrogio Lo Giudice (con il quale ho fatto la fiction I ragazzi dello Zecchino d’oro e la serie Tutta la musica del cuore) e Dalla diede delle canzoni alla produzione e loro se le montarono sulle immagini. E’ un po' la stessa cosa. Ma poi è il concetto stesso di scrivere a sync sulle immagini, ormai non lo fa veramente quasi più nessuno.
I Mokadelic hanno scritto 12 pezzi e poi ci sono i montatori che li montano sulle scene di Gomorra. Ma questo non è scrivere per il cinema, con tutto il rispetto.
La sonorità è molto interessante, il sound è molto particolare, però è più semplice per un compositore come me replicare il sound dei Mokadelic che per loro replicare una colonna sonora come, ad esempio, quella che ho composto per la fiction Olivetti, dove i riferimenti sono andati da Yann Tiersen a Bernard Herrmann, perchè il tema d’amore che ha voluto il regista Soavi (tra l’altro nipote di Olivetti) era ispirato dal tema d’amore composto da Herrmann per Vertigo di Alfred Hitchcock. Il finale con il funerale di Olivetti è “Love Theme from Vertigo”, riscritta da me.

 cover il contagio

CS: Qualcuno sostiene che l’attuale situazione della musica applicata alle immagini deriverebbe da una degenerazione dell’utilizzo delle temporary tracks in fase di montaggio, che spesso ha portato i registi a non poter più fare a meno dei brani sui quali sono state appoggiate le immagini, arrivando a chiedere al compositore di turno di realizzare una musica identica o dello stesso tipo. Cosa ne pensi?
PV: Io di temporary tracks ne ho usate a tonnellate, in particolare con Soavi. Se becchi un regista che ha gusto – come Michele Soavi, Umberto Martino o Ricky Tognazzi – che usano temp tracks belle ed amano compositori come Thomas Newman o Bernard Herrmann appunto, l’abilità sta nel prendere quel linguaggio e farlo tuo. A quel punto è come se tu componessi à la manieur de, come facevano i grandi compositori, nello stesso modo in cui “Le tombeau de Couperin” di Ravel è un lavoro fatto sullo stile di Couperin, ma reinterpretato da Ravel. Ed allora ti si apre un mondo. Tutta la musica classica è un gioco di citazioni e di manierismo su quello che hanno fatto gli altri musicisti prima di te; voglio dire, su Antonio Vivaldi ci ha studiato Mozart! Il problema è che, se su queste temp tracks tu appoggi, ad esempio, Thomas Newman o Hans Zimmer e poi chiami uno di questi compositori di cui parlavamo prima, questi non sanno dove mettere le mani, perchè per scrivere una cosa del genere devi conoscere il Novecento.
Poi, ovviamente, se il regista mette una temp track e poi chiama Morricone e gli chiede di rifarla è un deficiente! (risate) però, credimi, anche autori come Desplat e Zimmer si trovano le temp track di altri compositori o musica di repertorio: la consuetudine risale ai film in pellicola, quando andavi in moviola, guardavi il film, prendevi i tempi, avevi più margine di meditazione e di realizzazione, mentre oggi i montatori montano mentre il regista gira e, ormai, montano tutti con la musica, anche perchè vedere la prima di un film senza musica è insostenibile. Al netto degli equivoci che possono sorgere, dunque, io ringrazio se le temp tracks sono belle perchè ti garantiscono una linea che sai che piace al regista ed approvata dalla produzione e, a quel punto, le fai tue e diventa anche uno studio.
Una volta trovai delle temp tracks di Mark Isham che mi ispirarono particolarmente ed alla fine il regista mi disse che avevo superato quelle musiche in bellezza ed intensità. Credo sia un atteggiamento che appartiene alla Cultura: anche gli Impressionisti si copiavano l’un l’altro, o registi come Quentin Tarantino o Clint Eastwood non hanno paura di ammettere il proprio debito verso Sergio Leone.
La citazione è frequente anche nella musica classica, nel jazz non ne parliamo.
Insomma, il problema non è la temp track, ma la mancanza di preparazione, lo ribadisco. Ricordo che sul finale del film Il contagio di Daniele Coluccini - che andò al Festival del Cinema di Venezia - Daniele, che era un pianista, aveva appoggiato l’Adagio del “Concerto in Sol per pianoforte e orchestra” di Ravel, così tanto per gradire, uno dei pezzi più belli della storia dell’umanità, ed io ho dovuto riscrivere un brano in quello stile ed ho goduto, però il risultato finale non era più Ravel, ma il mio. Viceversa, in uno dei mie primi film, Banditi del 1995, con Ben Gazzara, la colonna sonora fu interpretata dalla band degli Aires Tango (che leggevano la musica) e dal geniale pianista Antonello Salis, che suonando ad orecchio, aveva necessità di registrare in maniera libera. Ma era ovvio che per me andasse bene, perchè avevo scelto lui e volevo il suo stile, altrimenti avrei chiamato qualcun altro. Mentre altri registi o compositori gli chiedevano cose inadatte al suo stile, al che lui rispondeva “ma chiamate uno che fa il liscio!” (risate).

cover uno nessuno cento nino
    
CS: Parliamo di te come docente di musica applicata e del tuo ultimo score per il documentario Uno nessuno cento Nino di Luca Manfredi.
PV: Io insegno alla Saint Louis di Roma, al conservatorio di Fiesole, a Tor Vergata ed ho avuto un sacco di allievi, alcuni splendidi, ma quando tu gli chiedevi “scusa, mi scrivi un tema?” non c’era nulla da fare. Però stavano attenti al compressore, a che sample o filtro avevano usato. Ma di che stiamo a parlare? Ormai è lo sbando.
Quest’estate ho fatto un film con Roberto Perpignani – storico montatore di Bernardo Bertolucci – e purtroppo anche lui ha detto queste stesse cose: “non c’è più proprio l’amore per questo mestiere, che è un mestiere artigianale. Ormai è tutto tecnicizzato, non c’è più nulla che abbia a che fare con l’emozione del momento.
Ovviamente, se riesci a portare i ragazzi sul sentiero dell’empatia, gli fai vedere alcuni film e fai notare loro come un certo tema su una certa scena – che ne so, ad esempio, in Schindler’s List, piuttosto che in un film italiano – non è casuale.
Ho appena realizzato con Luca Manfredi un bellissimo documentario per Rai Uno e Sky su Nino Manfredi, Uno nessuno cento Nino, visto che a marzo sono i cento anni dalla nascita di Nino.
Io mi sono andato a rivedere C’eravamo tanto amati o Pane e Cioccolata e ho scritto delle musiche in quello stile e mi sono reso conto ancor di più del baratro attuale. Pensa a quei meravigliosi temi di Armando Trovajoli per Riusciranno i nostri eroi..., C’eravamo tanto amati, Nell’anno del Signore, Brutti Sporchi e Cattivi o alla straordinaria musica di Fiorenzo Carpi per il Pinocchio di Comencini, ma stiamo a capire i livelli? Ho voluto fare delle musiche in stile, e parliamo di capolavori assoluti del cinema italiano. Oggi di che parliamo? Di serie televisive in cui ti chiedi: “ma la musica c’è o non c’è?”. Io dico, prima o poi, si dovrà ritornare a scrivere in questo modo.

CS: A tale proposito, è interessante notare come, negli ultimi 15 anni, una serie di artisti non italiani abbiano tributato omaggio al cinema di genere ed alle colonne sonore italiane, sia in ambito cinematografico che musicale.
PV: Tarantino ad esempio ci va pazzo, per questo ha voluto Morricone su The Hateful Eight, pensando che gli avrebbe regalato il sound dei Western di Sergio Leone, solo che Ennio lo ha fregato e gli ha fatto Bartok! (risate). Morricone me lo ha raccontato: “ad un certo punto Tarantino è venuto proprio a casa mia! E’ stata Maria, mia moglie, che mi ha convinto, io non lo volevo fare. E lei mi ha detto: “fallo, fallo, con questo ti danno l’Oscar”. Morricone ha detto a Tarantino: “lo faccio, ma come dico io. Non ti aspettare che ti faccia il Western!”. Ed infatti ha scritto un capolavoro: il pezzo “L’ultima diligenza” sembra Bela Bartok.
Per tornare all’attualità, in Italia ci sarebbe la possibilità di tornare a questi standard, ma ci vogliono i film che te lo consentano, i registi con uno spiccato gusto musicale e soprattutto, ribadisco, una grande preparazione del compositore chiamato.
Purtroppo, dopo la riforma dei conservatori, la situazione è cambiata perchè una volta il corso durava dieci anni – io a Santa Cecilia sono entrato pischello a 15 anni e ne sono uscito uomo a 25 – più i tre anni di direzione d’orchestra. Ho fatto il corso di studi tradizionale, e nel frattempo suonavo il jazz (avevo diversi quartetti), ho suonato ai matrimoni, sei mesi sulle navi da crociera negli Stati Uniti, con i prestigiatori e persino nei bordelli a Lugano! Insomma per formare un compositore ci volevano almeno dieci anni, più le materie complementari e le esperienze parallele.
Oggi ci vuole un triennio, e la chiudo qui.

CS: Per concludere questa intensa chiacchierata, volevo chiederti dei tuoi progetti attuali e futuri.
PV: Sto lavorando con un gruppo ad un nuovo progetto che si chiama Cinematic Quartet, con Dario Rosciglione al contrabbasso, Marco Guidolotti (che ha già suonato con me sulla colonna sonora di Non essere cattivo) al sax soprano, ed Alessandro Marzi alla batteria, ed è un disco molto particolare, perchè pur mantenendo la mia impronta ed il mio stile, lo definirei quasi un crossover tra il jazz e il pop stile Coldplay. Il gruppo si è formato grazie alla direzione artistica che mi hanno dato al “Wood Natural Bar”, un bellissimo locale sulla Prenestina a Roma, ubicato in mezzo ad un bosco, dove abbiamo girato un video in cui reinterpretiamo un mio tema tratto dalla fiction La vita promessa di Ricky Tognazzi; ma con il gruppo abbiamo arrangiato anche classici delle colonne sonore come Metti, una sera a cena di Morricone, Ultimo tango a Parigi di Gato Barbieri, Il té nel deserto e Furyo di Sakamoto. Il disco uscirà a breve per Alfa Music e, appena sarà di nuovo possibile, porteremo questa musica nei club e nei teatri.

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