E fu sera e fu mattina

cover_e_fu_sera_fu_mattino.jpgRemo Baldi
E fu sera e fu mattina (2014)
RB 888174502687
23 brani – Durata: 65’00”



Occorre tenere sempre e attentamente d’occhio, per quanto il mercato lo consenta, la produzione indipendente italiana, a basso costo e marginale ai grandi circuiti, perché spesso vi si annidano autentiche sorprese, piccole gemme cinematografiche e – non di rado – scoperte musicali delle quali augurarsi un prosieguo lungo ulteriori, più ampi percorsi.
È senz’altro questo il caso di E fu sera e fu mattina, film praticamente autoprodotto tramite sottoscrizioni di piccoli enti e privati cittadini, diretto dal piemontese Emanuele Caruso e uscito da poco sul territorio nazionale nei circuiti di qualità. Una storia sub specie di favola d’ispirazione biblica (donde il titolo), ambientata in un immaginario paesino delle Langhe e sospesa fra realismo magico e parabola umanistica.
Una sfida per il mercato italiano e non solo, nonché l’occasione per annotarsi il nome di un giovane compositore bergamasco, diplomato in pianoforte e in musica ad utilizzo multimediale, organizzatore di rassegne concertistiche, autore di musiche per corti e documentari, attivo a livello seminariale e come collaboratore agli arrangiamenti per vari artisti.
Il soundtrack di E fu sera e fu mattina appare all’ascolto di una disarmante, incantata e incantevole semplicità, sia per l’organico (archi, pianoforte, un clarinetto, un’arpa) sia per l’andatura tranquilla, piana, malinconicamente orizzontale dei percorsi musicali. Una semplicità che però non deve trarre in inganno. Le architetture melodiche di Baldi s’intrecciano come fili di un unico percorso lirico, si riannodano e si ritrovano su diversi piani, compiono percorsi a volte circolari per riagganciarsi contrappuntisticamente ad ulteriori idee nel frattempo intervenute. Baldi è un musicista che conosce le risorse del “rubato” e le misteriose alchimie del camerismo schubertiano. Il tema principale, o “Tema di Avila”, che percorre soave l’intera partitura, è esposto secondo un tempo binario, come quasi tutti i brani dello score, contribuendo così all’impressione di un’andatura regolare e quieta, di uno scorrere fluido e dolente insieme del tempo e degli eventi. Il pianoforte, cui siede lo stesso autore, risuona di arabeschi sognanti e limpidamente bachiani (“L’annuncio”) e il frequente ricorso al suo abbinamento con l’arpa di Cristina Giorgi produce una sensazione di suono liquescente, cristallino e trasparente; anche il ricorso a sommessi, ma penetranti ostinati, contribuisce al climax fatato e incombente insieme della musica, come in “Riunione”, dominato dall’arpa ma con una struggente entrata degli archi. Baldi appare anche saldamente in possesso di un “mèlos” straordinariamente toccante e vibratile, spesso affidato al clarinetto estremamente sensibile di Michela Ciavatti (“Domani”), ed enunciato in modalità sospesa sugli accordi pianistici, che ruotano intorno a centri tonali minori come cerchi nell’acqua. Il clarinetto ci ripropone serenamente il tema di Avila in “Toio”, laddove “Tu gioca con loro” procede per accordi pianistici lenti preparando di nuovo l’ingresso delicato, pudico del clarino e poi dei commossi archi (Valentina Corvino e Gabriele Bellu ai violini, Andrea Maini viola, Sebastiano Severi cello). “Ferite che non guariscono” è forse uno degli apici dell’album, realizzato e registrato vicino a Bologna da Marco Biscarini e Francesco Erdas: un dialogo quasi straziante nel suo nitore lirico fra arpa e clarinetto, fondato ancora sul tema di Avila – rallentato e traslato in una chiave più bassa – e nel quale vengono ad interporsi gli interventi solistici degli archi. Lo stesso elemento risuona quasi solenne in “La Messa e il pianto”, grazie agli impasti degli archi a sostegno dello scambio fra piano e clarino. Quest’ultimo si propone in un più mosso disegno di quartine in “Senza speranza”, sempre a stretto contatto col pianoforte, in quello che si rivela un contrappunto emotivo fortemente vincolante e che Baldi carica di una tormentata, anche se pacata, intensità lirica. “Nuova vita” reimpegna il clarinetto in una breve riesposizione coesa dal pianoforte, mentre il cantabile degli archi divisi in “Fuggire, restare” introduce una nuova idea accordale del pianoforte sul quale il clarinetto elabora disegni e frasi in crescendo alternate ad un ansioso gioco di pause e lavorando su sonorità quasi debussyane. Cello e viola a voce piena dominano “La telefonata”, nella ricerca di un cantabile di calda, avvolgente malinconia,. Più cupo e scandito nell’incipit è “Vitale e il cedro”, che tuttavia nello sviluppo si apre concertisticamente ad un pianismo comunicativo, sempre sorretto dalla tessitura mobile degli archi, in un disegno melodico di catturante bellezza. Se “Il bar vuoto” ci ripropone l’ormai familiare bipartizione fra pianoforte e clarinetto quasi sospesi in una reciproca contemplazione, il mèlos travolgente del violoncello invade “Don Ernestino”, mentre è l’arpa in rilievo ad attendere prima il clarinetto poi gli archi in “A volte non basta una vita”; qui più che altrove, proprio nella costruzione per strati del brano appare chiaro il metodo compositivo di Baldi, che procede per enunciati singoli, messi poi in progressivo e avviluppante contatto reciproco da una tecnica contrappuntistica ferrea e da una ricerca armonica che lavora per sottrazioni più che per accumuli. Ancora il violoncello quasi straziante di Severi leva il suo arpeggio doloroso e penetrante in “L’ultima alba”, lasciando poi il pianoforte a rintoccare su uno dei rari, ma puntuali e “surreali”, interventi dell’elettronica di sfondo. Nuovamente un composto, accigliato fraseggio degli archi apre “Il congedo” per lasciare spazio al tenue lirismo del clarino sulle evoluzioni del pianoforte e concludersi con uno dei rarissimi momenti mossi della partitura, grazie ad accordi rapidi e accentati degli archi: tre sezioni, queste, che ancora una volta si cercano e si completano quasi interrogandosi vicendevolmente. “Giulia” non è che una riapparizione particolarmente triste e pensosa del tema di Avila, introdotta dagli archi, esposta dal piano e poi ripresa dai primi, ma nuovamente sviluppata dal piano su un effetto corale che sembra provenire da lontananze siderali. Il senso del “magico”, del miracolistico, si sposa sempre in Baldi con una vena crepuscolare e meditativa molto “umanizzata” e psicologicamente ripiegata sulle intermittenze dell’animo umano. Il clarinetto si eleva verso zone acute, raddoppiato dalle voci, e gli archi chiudono con un’esposizione franca del tema.
Ancora piano e arpa, su un disegno regolare e binario, aprono lo splendido “Verso la fine”, affidandone la prosecuzione al clarino su un pedale di archi: ci si accorge appena di come i materiali tematici del compositore siano parchi, lineari, all’insegna di una francescana limpidezza, e questo perché il loro interagire è continuo, e il dialogo tra le diverse voci strumentali appare improntato ad una scrittura incredibilmente lucida, toccante e insieme sorvegliata: nel brano ora citato, la coda parte da accordi del piano, chiama in causa il cello, e poi di nuovo il piano su uno spasimante tremolo degli archi che si chiude in un unisono. Quasi stentatamente, nel brano conclusivo che prende il titolo dal film, il pianoforte enuncia l’idea portante del tema di Avila, mentre sono poi gli archi, in uno slancio emotivo pieno e quasi agitato, a riprendere l’idea, prima di una rarefatta coda pianistica.
Si situano in posizione isolata due brani: “Festa di Sant’Eurosia”, quasi un momento di source music popolaresca, in cui l’organico per chitarre, violini e fisarmonica e la ritmica ricordano una “square dance” da film western; e il brano “Il resto verrà da sé” di Pierfranco Serra, eseguito dai cuneesi Kerkadelak.
Dunque un nome, e una carriera, agli inizi e tutti da seguire, resi ancor più meritori in quanto hanno preso l’abbrivio con un prodotto, per usare le parole del compositore, «mosso solo dalla passione e dalla perseveranza di un gruppo di giovani testardi nel credere che il cinema sia un sogno raggiungibile e alla portata dei coraggiosi».
Passione, perseveranza e coraggio ai quali va tutto il nostro sostegno.



Stampa