Hundraåringen som klev ut genom fönstret och försvann

cover_100_year.pngMatti Bye
Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve (Hundraåringen som klev ut genom fönstret och försvann, 2013)
MovieScore Media MMS14014  
15 brani – durata: 25’23”



Già soprannominato il “Forrest Gump svedese”, il film di Felix Herngren tratto dal romanzo d’esordio del giornalista Jonas Jonasson (2009, Bompiani) è divenuto subito un piccolo caso cinematografico. Campione d’incassi in patria, vi si respira infatti una comicità di stampo squisitamente nordico: quanto dire che vi si coniugano esperienze da teatro dell’assurdo (vicine al cinema di Aki Kaurismäki) con gag quasi da cinema muto, in un’estetica contemplativa del paradosso che trasforma l’eleganza, la sobrietà dello stile in consapevole verve caricaturale, sempre in estrema leggerezza.
Un taglio pressoché onirico, dove l’improbabile e l’impossibile sono la norma, e il cui taglio giallo-comico-avventuroso si risolve in una concatenazione di eventi esilaranti e apocalittici dei quali si trova ad essere ad un tempo testimone e protagonista il vegliardo di cui al titolo, interpretato dalla star 50enne del cinema di Stoccolma Robert Gustafsson. Un’impostazione del genere trova quasi naturalmente nel soundtrack un controcanto cangiante, colorato e inafferrabilmente aleatorio, che dà conto dei vari momenti e dei mille colpi di scena in una incessante intercambiabilità di stili e di tonalità. Il 48enne Matti Bye non è solo un’autorità nella musica cinematografica del suo paese, ma è anche un formidabile pianista-improvvisatore ed ha al proprio attivo la sonorizzazione di alcuni capolavori del cinema muto svedese come Il carretto fantasma (1921) di Victor Sjöström e La leggenda di Gösta Berling (1924) di Mauritz Stiller; artista e performer dai svariati interessi, Bye lavora spesso sulla sinergia tra immagini e suoni nell’arte contemporanea, ed è particolarmente versato nelle esperienze multimediali, dove la sua inesauribile fantasia ha modo di esprimersi appieno. Sono caratteristiche che risaltano in questo score rutilante e ammiccante, dove il polistilismo sembra quasi un imperativo diegetico. Il linguaggio è volutamente semplice dal punto di vista armonico, quasi elementare, fanciullesco, mentre la strumentazione scintilla e oscilla da movenze buffonesche a citazioni jazz, a folclorismi beffardi. Una specie di sapido divertissement, insomma, lucidamente costruito e altrettanto lucidamente smontato nelle sue componenti costitutive.
L’”Intro” di sapore rotiano ci trasporta idealmente sotto il tendone di un circo (e l’elefante del film non è presenza casuale…) con una marcia brillante e un po’ sgangherata scandita dalla tuba, mentre “Esteban”, per piano e flauto, è un malinconico moto perpetuo interrotto quasi da un punto interrogativo. “Red Square” e “Escape from gulag” giocano, come si evince dai titoli, con moduli di musica popolare russa: balalaika e coro nel primo, più il piano nel secondo saltellano su un movimento di danza arguto e ripetitivo, la cui cellula melodica viene ripresa e dilatata jazzisticamente in “Manhattan”, secondo un evidente atteggiamento di sberleffo paragershwiniano. Bye sembra perlustrare spiritosamente tutti i generi, i contenitori e le situazioni musicali a disposizione, e voler creare per ciascun brano un’atmosfera, un’ambientazione ad hoc; “Espionage” fa così il verso alla musica standard dei film di spionaggio alla 007, mentre “Truman becomes President” si propone come composta sonata per piano e archi sulla scorta di un tema declinante; “The flight to Bali” è una pagina eterea, onirica, dove riecheggia il suono distante ed evocativo della tromba, e “Funeral March” la rapida caricatura di una marcia funebre, nuovamente immersa in un’atmosfera da circo equestre. L’ombra di Nino Rota aleggia ancora in “Dinner with Tage Erlander”, dall’organico strumentale marionettistico, per lasciare spazio in “The road” alla ripresa del malinconico tema di “Esteban”, sempre sostenuto da un pianoforte in movimento. Tambureggiante e zingaresco “Djibouti” innesca una specie di clownesco can-can che si oppone al pianismo cullante e circolare di “New friends in the camp”, mentre “Pim” riprende “Djibouti” con ritmo appena un po’ più rallentato, insistendo su quella tonalità giocherellona e quasi cartoonistica che è un po’ la cifra dominante della partitura. E sotto la quale si svolge anche “The end”, passerella conclusiva sempre a ritmo di marcia comicamente solenne.
In buona sostanza, Matti Bye ci fa compiere in questo score svelto e frizzante un ”viaggio” caleidoscopico dentro un secolo di stili e moduli musicali, sottobraccio al protagonista del film, sull’onda di una fantasia accesa e di un eclettismo linguistico che sembra destinato a riservare molte ulteriori sorprese.

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